
“SARABANDA” al Teatro Biondo di Palermo
11 Marzo @ 21:00 – 16 Marzo @ 17:30 CET

Teatro Biondo di Palermo
Dall’11 al 16 marzo 2025
SARABANDA
di Ingmar Bergman
traduzione Renato Zatti
regia Roberto Andò
personaggi e interpreti
Johan Renato Carpentieri
Marianne Alvia Reale
Henrik Elia Schilton
Tieghi Karin Caterina
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
musiche Pasquale Scialò
suono Hubert Westkemper
aiuto regia Luca Bargagna
assistente ai costumi Pina Sorrentino
assistente alle scene Sebastiana Di Gesù
direttore di scena Sandro Amatucci
datori luci Theo Longuemare, Giuseppe Di Lorenzo
fonico Alessandro Innaro
capomacchinisti Fabio Barra, Enzo Palmieri
macchinista Vittorio Menzione
elettricista e fonico di palco Diego Contegno
sarta Nunzia Russo
foto di scena Lia Pasqualino
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale / Teatro Nazionale di Genova / Teatro Biondo Palermo
in accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di Joseph Weinberger Limited (agente del copyright), Londra, per conto della Ingmar Bergman Foundation
durata: 1 ora e 40 minuti senza intervallo
«Sarabanda – spiega Andò – è il film-testamento di Ingmar Bergman. Il grande regista lo girò nel 2003 con una telecamera digitale, affidandolo a due attori simbolo della sua filmografia come Erland Josephson e Liv Ulmann. È concepito in dieci scene in cui, volta per volta, si avvicendano due dei quattro personaggi che ne compongono il disegno. Una struttura musicale che allude alla sarabanda, una danza per coppie solenne e lasciva che venne proibita nella Spagna del sedicesimo secolo, per poi essere adottata da grandi compositori come Bach o Handel».
In questa sorta di testamento artistico, il maestro svedese torna a parlare dei protagonisti di Scene da un matrimonio diventati, trent’anni dopo, più maturi ma anche più spietati. Il loro è un ultimo confronto che, in presenza di un figlio e di una nipote, evidenzia le molteplici sfumature delle relazioni umane e familiari e la loro capacità di generare rimpianti, rimorsi, rancori. Il mistero dell’amore e dell’odio, l’ineluttabile conflitto tra genitori e figli, tra indifferenza e attaccamento morboso, la vecchiaia, l’angoscia degli “ultimi giorni”, lo scenario della vita, “troppo grande” per la debolezza umana, sono i temi di questa Sarabanda, danza lenta e severa in cui le coppie si formano e si disfano: dieci scene, dieci dialoghi in cui i personaggi s’incontrano a due a due, per sciogliersi definitivamente nell’esecuzione di padre e figlia della omonima suite bachiana.
Un testo scomodo nella sua cruda onestà, ma il cui vero messaggio non è affidato alle parole, ma ai silenzi e ai gesti: alla tenerezza di un abbraccio, di un tenersi per mano, di un denudarsi accettando di rivelare l’uno all’altro la fragilità di corpi segnati dal tempo e dal peso di vivere.
«Il Bergman di Sarabanda – sottolinea ancora il regista – non sembra credere più a nulla, è disperatamente distruttivo, e incatena i propri personaggi a un pessimismo totale sul senso delle relazioni umane».
Note di regia
Sarabanda, film-testamento di Ingmar Bergman, è concepito in dieci scene in cui, volta per volta, si avvicendano due dei quattro personaggi che ne compongono il disegno. Una struttura musicale che allude alla sarabanda, una danza per coppie solenne e lasciva che fu proibita nella Spagna del XVI secolo per poi essere adottata da grandi compositori come Bach e Handel. Anche se è ritenuto un sequel di Scene da un matrimonio, Sarabanda è un film del tutto autonomo. La famiglia, la solitudine, l’arte come possibile redenzione, la vecchiaia, la morte sono alcuni dei temi attorno a cui ruotano i dialoghi di quella che si può definire una vera e propria pièce di teatro, nella quale Bergman non sembra credere più a nulla, è disperatamente distruttivo e incatena i personaggi a un pessimismo totale sul senso delle relazioni umane.
Il plot è un pretesto: Marianne va a trovare Johan, il suo ex marito, nella casa isolata dove si è ritirato. Il soggiorno dovrebbe durare pochi giorni e invece si prolunga per alcune settimane. L’animo dell’uomo è inquieto, in rotta col mondo e anche con il figlio Henrik che vive poco distante da lì insieme alla figlia diciannovenne, Karin, promettente violoncellista. L’andamento in cui si incastrano le scene è musicale e i nodi, i conflitti dei personaggi, non sembrano sciogliersi mai, si susseguono irrisolti nella loro brutale drammaticità, anche se a volte sembrano inchinarsi all’ineffabile. La vita è rappresentata nella dimensione di un’angosciante bipolarità – la depressione è il vero tema sul cui è costruito il film – in un’assillante resa dei conti con i fantasmi del passato, con la paura della morte, con il senso di colpa.
È decisivo il valore del silenzio e del gesto. I personaggi si rivelano più in quello che non dicono che in quello che dicono. In Sarabanda ci si parla per ferirsi, o per riferire di ferite passate, senza che sia mai possibile una minima intesa. Come è difficile trovarvi una traccia di speranza. Anche se forse, l’autore sembra affidarla a Karin, la giovane aspirante solista che verso la fine della pièce esprime l’intenzione di liberarsi del padre per entrare nell’orchestra diretta da Claudio Abbado, sperimentando la gioia di suonare con gli altri. Per il resto, regna l’amarezza, il risentimento, l’odio.
Come in Festen di Vinterberg, film molto amato da Bergman, non c’è salvezza per la coppia, come non c’è ricomposizione possibile per il filo di trasmissione genitori-figli. Un inferno strindberghiano dove cova solo il disamore, dove non c’è spazio per alcuna trascendenza. Un canto sulla mancanza d’amore che nella sua intensità si rovescia in una spasmodica ricerca d’amore. Un poema sul paesaggio interiore dello sconforto e del congedo dal mondo. Roberto Andò
Calendario delle rappresentazioni – Sala Grande
mar.11 mar. ore 21.00
mer. 12 mar. ore 17.00
gio. 13 mar. ore 17.00
ven. 14 mar.. ore 21.00
sab. 15 mar. ore 19.00
dom. 16 mar. ore 17.00
Teatro Biondo
Palermo, IT 90133 Italia + Google Maps 091 743 4341
Visualizza il sito del Luogo