Al Teatro Vascello in scena il tentativo di incasellare la solitudine umana.
Immaginate un organo politico istituito per risolvere problemi sociali legati alla solitudine, con tutte le ambiguità e i dilemmi che ne derivano. Sembra l’inizio di un film di finzione, invece è storia: in Gran Bretagna nel 2018 è stato fondato il Ministero della solitudine. Traendo spunto da questa notizia di attualità, la compagnia lacasadargilla ha elaborato uno spettacolo intitolato come il Ministero in questione che vanta una scrittura interamente originale elaborata in gruppo da tutta la compagnia, a partire dagli attori stessi. Solitudine, isolamento, alienazione. Strizzando l’occhio alle avanguardie teatrali degli anni ‘70, Il Ministero della solitudine esplora dinamiche disfunzionali derivanti da un’incapacità di relazionarsi con il prossimo. I cinque personaggi entrano in scena camminando, ognuno per conto proprio, a più riprese. Per alcuni minuti tutti portano avanti la propria camminata solitaria, uscendo di scena e rientrando subito dopo. Lentamente nei passi si insinuano movimenti ripetitivi e anomali, fino ad arrivare ad accenni di ballo. Uno stare al mondo solitario scandito da tic e atteggiamenti che indicano squilibrio e alienazione. Sono infatti movimenti scoordinati e stranianti, che stonano e appaiono decontestualizzati.
Questa camminata indica anche una vicinanza fisica che non si traduce in interazione: ognuno va per la propria strada ignorando completamente l’altro, senza neanche accorgersi della sua presenza. Successivamente prendono parola alternandosi in discorsi altrettanto solitari, brevi monologhi, sfoghi in cui vomitano incubi, sogni e pensieri. E non a caso uno dei primi temi che emerge è l’indifferenza: una donna racconta di essere caduta e di essersi ferita, disperata perché nessuno le viene incontro per aiutarla. Essere invisibili nella folla, questo il timore maggiore. Una critica sociale al completo distacco, alla mancanza di empatia della società. Lo stesso Ministero della solitudine si scoprirà colpevole di questa “politica”.
Un Ministero inefficiente, basato su premesse troppo arbitrarie e assenza di umanità. Le persone sono numeri, da scartare o selezionare su basi arbitrarie, protocolli e procedure standard. Un ministero che semplicemente riflette la società stessa e la sua scarsa volontà di considerare gli individui come tali.
La causa della solitudine tuttavia non ha solo origine sociale, sembra partire dall’individuo stesso questa difficoltà, come una condizione esistenziale. Ognuno vive nella sua bolla e lo spettacolo porta avanti una retorica dell’incomunicabilità. Tuttavia piano piano notiamo che ci sono dei segni che affiorano in più storyline, dei nessi illogici che legano i personaggi. Dunque la solitudine appare come una condanna nata dall’incapacità dell’essere umano di cogliere questi indizi, di interpretarli e vedere il disegno comune che rende tutti interconnessi l’uno all’altro. O almeno questa è un’interpretazione, perché Il Ministero della solitudine è uno spettacolo complesso, che invita a una moltitudine di letture. Lentamente iniziano a stabilirsi delle connessioni tra i personaggi, ma sono fallaci e solo apparenti, la realtà è che ognuno parla da solo, perché l’altro non ascolta, proiettato su se stesso, incapace di stabilire un legame profondo. Solo la musica forse potrà giungere in soccorso e fare da collante tra due solitudini. La musica che nello spettacolo è presente sia in funzione diegetica che extradiegetica. Irrompe con tutta la propria forza, creando un effetto straniante e destabilizzante, una musica contemporanea che sfocia anche nella canzone italiana inscenando un momento di karaoke.
Il Ministero della Solitudine è un’opera teatrale ricca di spunti ed echi di un teatro sofisticato e moderno.
C’è perfino il non senso di Beckett e del teatro dell’assurdo. Ci sono poi immagini e squarci di sogni o di realtà quasi inverosimili pur nella propria verosimiglianza, come l’ape che muore sulla finestra, un qualcosa di perfettamente realistico a cui viene data una valenza surreale.
La scenografia mobile vede alternarsi un frigorifero, una porta trasparente che emana una luce dorata e un futuristico ed elegante distributore automatico, con dentro bevande, fiori e buste, che sembra quasi più una vetrina colma di soprammobili. Ai lati dei tavolini con sedie e cuscini per terra.
Come accennato abbiamo cinque personaggi: Primo (Emiliano Masala), un cleaner-moderatore, che ripulisce i social network da contenuti squallidi soggetti a censura, ha una storia d’amore con una Real Doll su sedia a rotelle, che gli permette di vivere una relazione con un “dialogo” a lui congeniale, avendo accanto qualcuno che lo ascolta e lo fa sentire amato; Teresa (Caterina Carpio) scrive un romanzo autobiografico ed esterna sicurezza e socialità borghese, quando in realtà è profondamente sola ed infelice; Alma (Giulia Mazzarino) è una sognatrice che aspetta qualcosa o qualcuno e che riflette sulla materia e sulle dinamiche dell’universo; il personaggio di Francesco Villano è un complottista che sogna di costruire un alveare e per fare ciò chiede un sussidio al Ministero; Simone (Tania Garribba) è un impiegata del Ministero che con agghiacciante freddezza cataloga e riorganizza la vita dei selezionati e scarta i non idonei.
L’interpretazione degli attori è distaccata, in linea con il teatro d’avanguardia, come se si volesse comunicare una condizione di anestesia e alienazione con la recitazione stessa. C’è anche umorismo e ironia, nonché una vera e propria partitura fisica di gesti innaturali o decontestualizzati, eccessi e ripetizioni, danze meccaniche e canzoni.
Quest’opera ci parla anche di una solitudine che nasce dal desiderio di qualcosa di irraggiungibile, che sia l’amore di uno sconosciuto che venga a salvarci o la riconquista delle cose perse o ancora la comprensione dell’universo. Una fallimentare ricerca dell’assoluto che degenera in un abissale insoddisfazione. Il testo è criptico e affascinante, un vortice di nessi e non sensi, immagini e voci.
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Il Ministero della solitudine – Parole di Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano – Drammaturgia del testo di Fabrizio Sinisi. – Regia è di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni – Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano – cura dei contenuti Maddalena Parise – luci Luigi Biondi – costumi Anna Missaglia – aiuto regia Alice Palazzi / Caterina Dazzi – assistente al disegno luci Omar Scala – Teatro Vascello fino al 23 febbraio.