Il rito di Ingmar Bergman: l’epifania del dionisiaco

Al teatro Vascello il rito pagano dell’assurdo demolisce le mura del razionale.

Tre attori e un giudice. Un’indagine nei meandri dell’oscurità umana va in scena nella magica cornice del teatro Vascello a Roma sotto la regia di Alfonso Postiglione. Lo spettacolo è Il rito, tratto dal testo integrale originale dall’omonimo film televisivo di Ingmar Bergman del 1969.

I tre attori di fama internazionale Thea Winkelmann (Alice Arcuri), Sebastian Fischer (Giampiero Judica) e Hans Winkelmann (Antonio Zavatteri) sono convocati nello studio del magistrato Ernst Abrahmsson (Alfonso Postiglione) per rispondere dell’accusa di atti osceni in un numero del loro ultimo spettacolo di varietà. Il giudice dovrà indagare su questa presunta oscenità, ma la sua curiosità si spingerà oltre i confini del caso in sé, coinvolgendo la vita privata e intima degli attori. Un interesse morboso che gli si rivolterà però contro, scardinando ogni sua certezza.

Dall’oscurità emerge al centro del palcoscenico il cupo studio, circoscritto ad un’area limitata e circondato dalla nudità di uno spazio bianco spoglio che non ha artifici scenici ma è espressione del vissuto interiore dei personaggi, sempre in continua mutazione e divenire. Invece lo studio del giudice è ben dettagliato e realistico: libreria, scrivania, sedie e un proiettore. Uno spazio delimitato, sopraelevato, e ordinato che galleggia sospeso su una piattaforma dispersa in un magma di irrazionalità, un’isola sicura in un mare indecifrabile di avversità e illogicità. La scenografia di Roberto Crea costruisce dunque  un palcoscenico nel palcoscenico. Una parentesi di spazio in cui le recite dei personaggi hanno luogo, in cui tra verità e finzione si porta avanti l’indagine dell’inconscio. 

Dietro la gentilezza e l’ospitalità di Abrahmsson si celano un irrefrenabile voyeurismo, insicurezza e impulsi soffocati. Il disordine irrompe nelle trame della vita del giudice, quel disordine che connota la vita dei tre teatranti. Thea è sposata con Hans ma Sebastian è il suo amante. Un triangolo di desideri e fragilità umane. Vulnerabilità e libido, insicurezza e sessualità. 

Una rete di relazioni che ruota intorno all’ipersensibilità di Thea e al suo bisogno di amore e attenzioni. 

Lei è divenire, sostanza in movimento, continuo mutamento e instabilità.

Il suo umore è mutevole, soggetto a scatti di rabbia e momenti intensi di angoscia. Nevrotica e seducente, usa la sua bellezza e il suo malessere per attirare il desiderio e la compassione delle persone. La sicurezza e la calma di Hans la tengono in equilibrio e la rassicurano, ma una dipendenza emotiva la lega al carattere focoso, impetuoso e pessimista di Sebastian. 

Thea, Hans e Sebastian. Una trinità pagana e blasfema la loro, come blasfema è la sovrapposizione del volto di Thea all’immagine sacra di Maria da parte del giudice Abrahmsson. A interrompere la sua estenuante indagine è l’epifania del divino che si compie proprio nel numero di varietà incriminato e ripercorso nel suo studio. Questo numero si erge  come una preghiera che attinge alle forze dionisiache più oscure e viscerali. 

L’inibizione si disintegra, la follia e la fisicità spezzano i vincoli della ragione e della censura.

Bergman con il suo testo, tradotto da Gianluca Iumiento, 

affronta la limitatezza della ragione e il fallimento del potere razionale e politico nel tentare di contenere l’irragionevolezza e gli istinti più profondi e animaleschi dell’essere umano. In un’estasi finale ogni ordine costituito si disintegra e l’assurdo si rivela in tutta la sua potenza ed enigmaticità. Si sottolinea anche l’impossibilità di spiegare completamente l’arte e la necessità di viverla mettendo a rischio se stessi ed entrando in contatto con la parte più nascosta della realtà e del nostro essere. Il processo creativo diventa il tramite per una catarsi rischiosa e necessaria che conduce a una nuova e ultima consapevolezza di se stessi.

 La musica pulsante e ipnotica è di Paolo Coletta, i costumi ispirati al mondo del cabaret tedesco anni ‘30 e a Liza Minnelli sono ideati da Giuseppe Avallone. Come già accennato la regia e l’adattamento sono di Alfonso Postiglione, che affronta questo materiale intenso e stratificato con disinvoltura, tra leggerezza e profondità, offrendo una lettura affascinante e suggestiva, grazie anche alla bravura degli attori. 

Un’alba dell’assurdo e un tramonto del raziocinio che conquistano e lasciano interdetti tra stupore, sgomento e catarsi.

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Il Rito di Ingmar Bergman – traduzione di Gianluca Iumiento – con – Alice Arcuri (Thea Winkelmann) – Giampiero Judica (Sebastian Fischer) – Alfonso Postiglione (Giudice Ernst Abrahmsson) – Antonio Zavatteri (Hans Winkelmann) – adattamento e regia Alfonso Postiglione – scene Roberto Crea – costumi Giuseppe Avallone – musiche Paolo Coletta – disegno luci Luigi Della Monica – partitura fisica Sara Lupoli – aiuto regia Serena Marziale – produzione Ente Teatro Cronaca – Teatro di Napoli – Teatro Nazionale – Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival – – durata 100’  – Teatro Vascello dal 21 al 26 gennaio 2025