Laceranti emozioni senza luogo e senza tempo al Teatro Ai Colli di Padova
Portare in scena Novecento vuol dire mettersi alla prova con uno dei migliori testi di Baricco, e recitare il miglior Baricco vuol dire portare in scena uno degli scrittori più talentuosi della contemporaneità. È una grande sfida, di quelle che ti danno un motivo buono per andare a teatro. Perché confrontarsi con un testo così famoso e apprezzato vuol dire fare i conti con delle aspettative, e accettare anche il rischio di non essere all’altezza. Tutti questi elementi rendono il Novecento di Gioele Peccenini uno spettacolo interessante fin dalla premesse: un teatro non facile, una scommessa, un azzardo creativo. Tutte qualità che al teatro contemporaneo fanno un gran bene.
È anche facile, in ogni caso, imbattersi in messe in scena giustificate soltanto dall’amore del regista di turno per il testo rappresentato e poco altro. Per fortuna, il coraggio di questo spettacolo nello specifico non si esaurisce nelle sue promesse. L’ingresso al Teatro ai Colli di Padova (di cui cui Peccenini è direttore artistico) è già un momento di contatto con il racconto: ci si muove al buio, cercando i posti a sedere con le luci dei cellulari, mentre tutto attorno i suoni dei vapori e degli ingranaggi di una grossa nave ci avvolgono. Prima ancora che l’attore entri in scena, lo spettacolo si manifesta.
Poi tutto inizia per davvero: Peccenini, oltre che registra anche interprete principale, compare sul palcoscenico, e ha inizio il lungo monologo che definisce l’esperienza teatrale. Si parla di musica e di mare, di vita e di morte, e si parla dell’importanza di dare un confine alle cose per poterle definire. È un monologo denso, difficile, e l’attore lo gestisce tutto, dall’inizio alla fine, mantenendo sempre un grado di intensità adatto. È difficile distrarsi quando testo e interprete lavorano così bene assieme, e risulta evidente fin dalle prime battute che la passione per il monologo di Baricco si è trasformata in Teatro consapevole.
In realtà, chiamare questa specifica versione di Novecento un monologo sarebbe anche abbastanza riduttivo, perché l’utilizzo che la scena fa della musica è così totalizzante e interno all’azione del racconto che il tutto finisce col risultare una specie di duetto tra l’attore e il pianoforte. Il pianista è sempre in scena, ed è un personaggio: è Novecento stesso. Suona in risposta alle battute dell’interprete principale, completandole. Il suo non è un semplice lavoro di accompagnamento, ma una parte integrante dell’economia narrativa della messa in scena. In certi momenti, succede anche che Novecento dica qualcosa attraverso la bocca del pianista.
Il resto lo fa Peccenini, supportato da un lavoro di scenografia e di illuminotecnica sempre attento alle esigenze della storia. Lui interpreta Tim Rooney, il narratore, e attraverso la sue voce prendono vita anche i piccoli e grandi altri personaggi che abitano o il transatlantico Virginian, un microcosmo narrativo denso e mai banale.
Novecento è un viaggio che ha a che fare con un uomo solo e, in qualche modo, con tutti noi. Ci sono i nostri sogni e le nostre paure, c’è tutto quello che ci rende capaci di capirci l’un l’altro. La versione di Peccerini è fedele all’identità del testa ed è allo stesso un modo una cosa nuova, unica e irripetibile: in un paio di parole, è Teatro.
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Novecento – La leggenda del pianista sull’oceano – di Alessandro Baricco – diretto e interpretato da Gioele Peccenini – Pianoforte: Giovanni Scalabrin; Tromba: Leonardo Villani; Clarinetto: Salvatore Pennisi; Chitarra: Leonardo Luison – Disegno luci: Alberto Maria Salmaso – Teatro Ai Colli di Padova dal 5 al 7 dicembre 2024
Foto di scena di ©Francesca Boldrin