E l’Italia giocava alle carte e parlava di calcio nei bar
Eravamo in tanti ieri sera al Teatro Kaos a ricordarci del golpe Borghese: qualcuno tra i più giovani sarà andato diligentemente a informarsi prima di prendere posto da spettatore, posto che il titolo dello spettacolo non ammetteva disguidi, richiamando a chiare lettere lo strillo “Colpo di Stato”. Ma dove? Ma quando? Ma chi era ‘sto Borghese cui era intestato il golpe?
Qualcuno tra i più avanti negli anni, come il sottoscritto, ricordava più o meno tutto e si sentiva –colpevolmente- dispensato dal conoscerne di più i dettagli.
Ma è proprio in quella locuzione avverbiale diminutiva più o meno che per decenni la storia di una vicenda oscura e grave potenzialmente (ancora un avverbio, ma di questo potremmo fare a meno, visto che in tutti i sistemi democratici ciò che viene perseguito penalmente è proprio l’attentato alle istituzioni, perché non rimane tempo quando invece riesce…) che ha beneficiato del benevolo e frivolo confinamento nel perimetro del golpe da “operetta”.
Dentro quella ridotta avverbiale del più o meno si è perfino aggrovigliata la giustizia italiana che con colpevole ritardo, dopo 14 anni dai fatti, ha istruito un processo a carico dei noti esecutori (per i mandanti no, non c’è mai abbastanza provvista indiziaria) per poi dichiararli tutti allegramente assolti. Sarà che le verità sono emerse a rate, tra le balbuzie degli organi istruttori, le confessioni dei pentiti di mafia, le commissioni di inchiesta parlamentari (troppo infiltrate da amici), ma è un fatto che neanche le verità giudiziarie, quelle che non avrebbero fatto più male a nessuno, a decenni dai fatti e dalle morti naturali dei suoi protagonisti, sono riuscite ad arrivare a compimento. L’estensore di una delle pronunce assolutorie avrebbe cestinato la vicenda definendola niente più che un “conciliabolo di quattro o cinque sessantenni”.
E allora non resta che cercare luce nello straordinario giornalismo d’inchiesta dell’epoca: forse in quel territorio -che dovrebbe aver goduto per definizione della libertà intellettuale- si potrebbero trovare risposte capaci di emanciparci dai perimetri del più o meno.
E da qui vorremmo partire per parlare del valoroso spettacolo Colpo di Stato messo in scena da Emanuele Cecconi, che cura l’adattamento e la regia, insieme ai suoi compagni di scena.
C’è tempo fino a questa sera per correre a vedere questa rappresentazione, che unisce l’agito teatrale con la tecnica dell’inchiesta televisiva, con tanto di montaggio e di ellissi narrative. Sulla scena tre attori (di primissima scelta, già apprezzati in precedenti esperienze teatrali: Salvatore Cuomo, Valerio Palozza e lo stesso Emanuele Cecconi) che si alternano nelle sembianze dei vari protagonisti di questa vicenda, con l’aiuto di voci fuori campo e piccoli supporti visivi.
Il racconto prende il via da una informativa di polizia giudiziaria finita nelle mani di Camillo Arcuri, coraggioso giornalista di inchiesta di stanza al quotidiano Il Giorno. Lui è stato destinatario -da una fonte oscura ma degna di fede- di un febbrile ordito di incontri presso la villa di un industriale a Capo Santa Chiara, nei dintorni di Genova. Qui si sarebbero dati convegno a più riprese, industriali, uomini dello Stato, militari felloni, intellettuali della destra estrema, impegnati a dare una risposta energica a quel disordine che muoveva da qualche anno dalle piazze movimentiste d’Italia e che si stava imponendo come un freno ideologico alla produzione industriale.
Il Comandante Principe Nero, Junio Valerio Borghese – che presiedette la prima di queste riunioni – dichiarò ai convenuti che era già in piedi “un’organizzazione militare di professionisti, pronta ad agire per impedire con la forza l’avvento al potere dei comunisti e per instaurare un regime di tipo gollista”.
Tanto perché fosse chiaro a tutti i convenuti che non si fosse dalle parti di uno sterile velleitarismo, il Principe Nero (già capo della X Mas) aveva distribuito incarichi, allertato colonne fiancheggiatrici di soldati, redatto piani di occupazioni di Ministeri e di sedi Rai. Qualcuno aveva perfino ricevuto l’incarico di rapire l’allora Capo dello Stato Saragat o di uccidere il Capo della Polizia. E c’era anche la data dell’ora X: la cosiddetta “Operazione Tora Tora” si sarebbe dovuta compiere la notte dell’Immacolata, tra il 7 e l’8 gennaio 1970.
Lo spettacolo fa nomi e cognomi, vediamo sfilare attori e comprimari di quegli anni opachi, tutto versato nelle colonne di un redazionale pronto a essere stampato dall’intrepido Arcuri, che aveva resistito anche davanti alle oblique esortazioni a lasciar perdere, pervenutegli da più parti. Ma il giornalismo d’inchiesta di quegli anni avrebbe trovato il limite della diffusione su quotidiani che dipendevano da gruppi editoriali che rispondevano a interessi superiori. E l’inchiesta non trovò mai ospitalità, neppure su colonne di altre promettenti realtà del Quarto potere, come l’Espresso.
Va da sé che anche nella notte dell’Immacolata del 1970 non accadde proprio niente di quell’ordito golpista: ma non fu chiaro neanche da chi dipese lo stop. Qualcuno azzardò che quella notte non accadde nulla perché pioveva a dirotto… Mah!
“Colpo di Stato – Il Golpe Borghese, storia di un’inchiesta censurata” – Adattamento teatrale e regia di Emanuele Cecconi – con Salvatore Cuomo, Valerio Palozza ed Emanuele Cecconi – aiuto regia Valerio Palozza – assistente alla regia Maria Di Massa – luci PZT – scenografia Cecilia Sensi – costumi Madame Almalé – organizzazione Alessandra Romano Produzione Piano Zero Teatro – dal 14 al 16 novembre al Kaos Teatro