Intervista a Mariella Nava e a Daniela Poggi protagoniste di “Figlio non sei più giglio” in tour con la regia di Stefania Porrino
Figlio non sei più giglio, uno spettacolo creato da tre donne: Daniela Poggi, Mariella Nava e Stefania Porrino, un’attrice, una musicista e una scrittrice. Tre donne che non si rassegano al fatto che diventi “normale” sentir parlare di femminicidi. In tournée fino al Marzo 2025 con enorme successo. Ne parliamo con le protagoniste, in attesa del 25 Novembre, giornata dedicata alla lotta contro la violenza di genere.
Tanto è stato scritto sul tema del femminicidio: cosa c’è di nuovo nel vostro approccio?
Nava: Il punto di osservazione della tematica. Questa volta al centro della scena c’ è una madre, la madre del colpevole di un femminicidio. Sempre una donna, quindi, tradita due volte e che si interroga indagando se può avere qualche responsabilità anche lei, se ha allevato ed educato nel modo più giusto, come credeva, al rispetto e all’ amore, quel figlio che non riconosce più, quel figlio tanto amato e che mai avrebbe pensato capace di ferire e uccidere.
Poggi: Di nuovo c’è tutto perché nessuno ha mai messo in scena il dramma interiore della madre del colpevole. Noi spostiamo lo sguardo, la prospettiva: “Qual è la morte peggiore, quella del corpo o quella dell’anima”. Una madre che non sa più chi ha messo al mondo è straziante. Lacerante. E mette in discussione tutta la sua vita.
Partite da Jacopone da Todi per affrontare una delle potenziali origini del problema:l’educazione che lega certe madri a certi figli, in che termini lo presentate?
Nava: È un destino che sembra opposto eppure coincide. Anche questa madre si chiama Maria e piange non un figlio ingiustamente condannato e morto sulla croce da innocente, ma un figlio che provoca lo stesso doloroso strappo perché è colpevole, perché dovrà espiare tutta la sua colpa, un figlio che esiste ma è come se non ci fosse più, come non fosse più vivo e sano nell’ anima, come lei avrebbe voluto.
Poggi: Svisceriamo e scandagliamo passo dopo passo il rapporto tra i due: dalla notizia della gravidanza, alle fiabe e allattamento, alla gelosia verso una ragazza che entra nella vita di lui, ai suoi gesti violenti verso la lucertola, alla solitudine dei social e le istigazioni, oltre ad una adolescenza colma di rabbia. Fino al non guardarsi mai negli occhi. Nello spettacolo sottolineiamo molto questa frase: prima nella domanda a lui: ma la guardavi negli occhi mentre lei gridava, mentre la colpivi; e: guarda tuo figlio negli occhi, osservalo bene.
Esiste a vostro parere una possibilità di rieducazione delle generazioni più giovani su questo aspetto?
Nava: È un processo lungo, di recupero dei valori fondamentali e non effimeri della nostra vita, ma non impossibile. Va recuperata la sensibilità, va allenata la capacità di immedesimazione nell’ altro. Il dialogo pacato. L’ ascolto. I veri responsabili siamo noi adulti. Alzare il tono della voce e parlare sul parlare degli altri con arroganza è diventato normalissimo in TV. Direi che è la regola dell’Auditel. Conosciamo forse qualche programma di successo dove non accada? Dove non ci siano gare? E poi chi è che ha inventato e dato in mano a loro questi diabolici cellulari? Chi è che lì dentro sparge contenuti spesso violenti e fortemente diseducativi? Chi ne consente la divulgazione? Chi parla di un mondo basato sui soldi, sugli affari facili, chi fa corsi di business e guadagni senza etica e competenze? Sono i quarantenni, i cinquantenni di oggi che creano questi modelli fasulli, illusori e pericolosi. I ragazzi sono stati usati per i loro interessi. A loro io consiglio di difendersene, di ritrovare l’orizzonte lontano da guardare, di riscoprire un verso di una poesia, la complicità delle relazioni non brevi, i colori di un sogno, e anche il sudore, sì, la fatica e la bellezza della conquista, della costruzione, della conoscenza e del merito, l’antidoto per non cadere nelle trappole, nelle maglie della rete, appunto!
Poggi: Sì, esiste se saremo capaci di dar loro attenzione, di ascoltarli. Dobbiamo cercare di entrare nel loro mondo così lontano e diverso dal nostro. Costruire una complicità culturale attraverso la lettura, l’arte, i viaggi. Aiutarli a crescere nella loro autostima incentivandoli non a essere i primi i migliori ma a valorizzare le loro caratteristiche. Dedicare tempo, ascolto vero. Oggi i giovani vivono il poliamore o l’amore fluido. Vogliono tutto ma non sanno neppure cosa vogliono, forse solo esistere agli occhi del mondo. Inserirli in percorsi nella natura, renderli consapevoli del valore degli esseri animali, della bellezza che ci circonda. Eliminare il concetto del “potere” e “ricchezza” valorizzando ciò che sei veramente. Una nuova comunicazione dalla politica alla scuola alla famiglia coinvolgendo l’intera società
Come è nata la vostra collaborazione e che ruoli rispettivamente ricoprite?
Nava: Daniela mi ha cercata e mi ha proposto il suo progetto. Io la stimavo e seguivo da tempo quindi è stata un’intesa facile. Le ho fatto ascoltare alcune mie canzoni e le abbiamo scelte insieme sui vari punti toccati dal prezioso testo scritto da Stefania Porrino. Durante il melologo, così lo chiamiamo, mi inserisco perfettamente nei pensieri e nelle domande che Maria rivolge a se stessa, a volte sottolineandole emozionalmente, a volte contrastandole, perché anche io sono una madre di un adolescente che sembra essere un bravo ragazzo nel pieno dell’entusiasmo del suo primo amore e a cui Maria mi consiglia di dedicare più attenzione, di guardarlo più a fondo negli occhi e non tralasciare neanche i più piccoli dettagli del suo comportamento.
Poggi: Desideravo collaborare con Mariella da molti anni perché spesso porto in scena recital con musica dal vivo. Ho chiesto a Chiara Giuria il contatto e le ho proposto un percorso insieme. Oggi siamo una squadra famiglia! Nulla avviene se non ci confrontiamo prima. I ruoli sono di due madri: io la madre uccisa nell’anima, lei una madre che accoglie il mio dolore e si responsabilizza sul futuro di suo figlio ancora giovane
La musica ha una funzione fondamentale nello spettacolo: in che termini?
Nava: serve a rilevare ogni respiro, ogni momento dei ricordi di questa donna madre che è Maria. Anche lei ha amato un uomo da cui si è sentita poi trascurata e tradita, anche lei ha sperato e immaginato un figlio che poi ha concepito, atteso partorito e allevato con le migliori aspettative. Ad ogni passaggio io aggiungo un accento sonoro, la sua cornice musicale, il suo tema, la sua canzone con il testo inerente, con le parole che suonano come eco dell’intera vita e insieme speranza di un futuro sociale in cui crescere uomini e donne migliori.
Poggi: La musica è coprotagonista della parola. Sottolinea ed evidenzia il pensiero il ricordo il vissuto. Un connubio perfetto.
Lo spettacolo sta ottenendo prestigiosi riconoscimenti: quali e con che qualità di soddisfazione da parte vostra?
Nava: Siamo sicuramente contente delle targhe e medaglie che ci stanno consegnando, ma il nostro intento è un altro. Fare rumore in un tempo sordo è necessario. Noi cerchiamo di farlo bene nei piccoli teatri dove si racconta l’esistenza umana e dove l’Arte diventa maestra. Ci piacerebbe anche arrivare nelle aule magne delle scuole o fare venire i più giovani nei teatri. In fondo il teatro lo frequentano sempre le teste troppo bianche, i più adulti, e manca la parte più importante, gli “attori” protagonisti del mondo di domani. Sono loro le platee che contano, devono tornare a sedersi su quelle splendide poltrone dei teatri…! Venire fuori dalle loro stanze tristi e aprire la fantasia incontrandosi.
Poggi: Immensa profonda gratitudine. Ricevere un premio o riconoscimento vuol dire aver seminato bene, nella giusta direzione, con passione e rispetto verso coloro che decidono di vederci ascoltarci e applaudirci. Vuol dire “esistere per merito e qualità “in questo marasma, questo frullatore che è il nostro mondo.