Ascanio Celestini con Laika al Teatro Vittoria chiede solo di uscire dalla nostra ‘comfort-zone’
Dopo il successo ottenuto con Rumba. L’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato, rappresentato lo scorso aprile sempre qui al Teatro Vittoria, Ascanio Celestini propone , questa volta una delle sue opere più significative: Laika, nata nel 2015 e facente parte di quella che l’autore definisce la Trilogia dei poveri cristi, comprendente anche Pueblo e Rumba.
Maestro del teatro di narrazione, Celestini utilizza parabole, racconti e un’efficace dialettica per svelare la crudezza dello sfruttamento, dell’alienazione e dell’ingiustizia sociale. Laika, portato in scena per la prima volta quasi dieci anni fa, continua a essere sorprendentemente attuale, sottolineando come poco sia cambiato da allora.
Attraverso un linguaggio diretto e immaginifico, Celestini costruisce personaggi indimenticabili, mantenendo viva l’attenzione del pubblico con ripetizioni e una vocalità avvincente, in uno spazio scenico volutamente essenziale. La scenografia è minimale: sei lampade delimitano lo spazio ristretto, affiancate da cassette di plastica colorata e un sipario rosso. A completare l’atmosfera intima, i ritmi della fisarmonica di Gianluca Casadei, che interpreta Pietro, coprotagonista muto del dialogo che invece viene realizzato con la voce fuori campo di Alba Rohrwacher.
In scena, Celestini incarna un Cristo moderno al quale, forse per un fraintendimento verbale, in un bar della periferia viene servita della sambuca e racconta ai clienti del bar le storie di alcuni abitanti del quartiere: un senzatetto nordafricano, i facchini del supermercato, un’anziana signora atea e una donna affetta da demenza senile, una “donna impicciata”, una prostituta Sono personaggi che evocano un’umanità emarginata, abitanti delle periferie sociali e geografiche. La narrazione di questi “luoghi comuni” sono necessari a una narrazione che cerca di rassicurare lo spettatore, offrendo volti familiari e figure archetipiche, pur celando un’amara critica ai mali della società: paura del diverso, pregiudizi e solitudine.
Celestini interpreta con un romanesco genuino, dando vita con passione all’anima tormentata e santa di questi personaggi dimenticati, posti ai margini della società benpensante. La cagnetta Laika, simbolo di resilienza e forza, diventa l’emblema degli esclusi, proprio come lo fù nel contesto della missione spaziale sovietica da cui non fece mai ritorno.
Il pubblico viene così portato ad immergersi in una parabola che rispecchia la vita reale, nelle storie di persone simili a quelle che spesso incontriamo sulla nostra strada ed ignoriamo. Questo viaggio teatrale invita a cambiare prospettiva, a osservare la società, l’umanità e le sue contraddizioni con occhi diversi. I personaggi non rivelano caratteristiche fisiche o psicologiche, né esprimono emozioni; si definiscono solo per ciò che fanno e dicono. Essi esistono nei racconti di Celestini solo perché sappiamo “cosa fanno” e “cosa dicono”. Eppure, attraverso i loro gesti e le loro parole, emergono immagini vivide di sofferenza e lotta, come quella del senzatetto che dorme nel supermercato, un tempo facchino, mentre ora osserva i nuovi operai, altri facchini neri, che resistono con la mano alzata a reggere il cielo che sembra cadere, opponendosi ai crumiri che cercano di entrare.
Un unico grande rammarico: la risposta del pubblico è stata, forse, meno intensa del previsto; platea e galleria non erano del tutto piene. Sarà perché lo spettacolo era già noto? O forse perché Ascanio ci sfida a uscire dalla nostra comfort-zone, e questo ci fa paura?
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Laika – di e con Ascanio Celestini – con Gianluca Casadei, fisarmonica – voce fuori campo Alba Rohrwacher – Teatro Vittoria 5/11/2024
Foto: ©Grazia Menna