Produzione, distribuzione, box office. I conti non sempre tornano!

Tra piccole e grandi uscite, il problema resta. Come riempiere le sale italiane

I Festival del Cinema più importanti (ma quanti sono in Italia?), sono ormai alle spalle e dopo quello di Sanremo che notoriamente  non si occupa di cinema, salvo promuovere qualche film o serie televisiva in uscita  (Verdone nell’ultimo capitolo di Vita da Carlo veste addirittura i panni  del “bravo presentatore”), la prima vetrina cinematografica internazionale di rilievo che verrà è indubbiamente quella di Berlino  che nella prossima edizione a febbraio 2025,  renderà omaggio ai grandi studi cinematografici di Babelsberg riconquistati alla ex DDR,  dopo la caduta del muro di Berlino nel novembre del 1989; gli stessi dove iniziarono a muovere i primi passi  geni come Fritz Lang e Billy Wilder fuggiti  dalla follia del nazismo di Hitler  insieme a un’icona femminile come Marlene Dietrich.

Ma che cosa resta delle centinaia e centinaia di film piccoli e grandi che senza sosta ci hanno proposto da maggio a ottobre le rassegne internazionali inclusa la Festa del Cinema di Roma?

Nelle sale cinematografiche italiane come logica insegna, i film dopo i Festival dovrebbero essere programmati al pubblico prima di finire inevitabilmente sul piccolo schermo previo abbonamento (vedi Amazon, Netflix etc…). In realtà sono pochi quei film che superano al box office il “sogno” di pareggiare i conti dei produttori e delle le società distributrici che li rappresentano. Ma come si calcola se un film al solo botteghino riesce a pareggiare il costo produttivo? Gli esperti dicono, che fatta eccezione dei così detti diritti d’antenna, si calcola al netto di tasse e percentuali, la resa di un film nei cinema definita dagli addetti ai lavori “la moltiplicazione della serva”. Ora mettiamo il caso che un film sia costato a copia 5 milioni di euro; per andare pari al box office è necessario moltiplicare per tre. Quindi quel film per pareggiare i conti, ne deve incassare almeno 15 di milioni. Prendendo per buona questa valutazione a mio avviso ne vedo pochi in grado di sostenere in positivo il solo bilancio dei costi anche quando nelle sale e nelle classifiche dei vari box office si esulta quando in poco più di due mesi un film tanto pubblicizzato (a proposito le spese pubblicitarie vanno tutte scaricate sul borderau), ha incassato poco più di 3 milioni di euro con l’auspicio di  arrivare a 30( ma quando…),  a fronte che di un costo di 20 milioni spesi. E allora?

A meno che non ci siano accordi particolari, il film  “x” tanto pubblicizzato,  sostenuto dalla critica ma che non ha ricevuto il consenso da parte del  pubblico in sala, non può reggere la media incassi prevista dal contratto di noleggio finendo inesorabilmente “smontato” come si dice in gergo per venire poi inserito  nel grande gioco gestito dalle multinazionali delle pay tv,  confusi con altri film nelle varie programmazioni proposte.

E quindi domanda sorge spontanea: Al di la dei riconoscimenti e dei red carpet più o meno divertenti, che fine fanno i film (e sono tanti) che neanche arrivano nelle sale o in rete e soprattutto come e quanto può aiutare l’economia di un film con le cosi dette vendite dei diritti distributivi compresi quelli d’antenna per pareggiare i costi dei finanziamenti pubblici e privati?

Per fare un esempio: Quanto è disposta a pagare la Svizzera per assicurarsi i diritti di Ciao bambino di Edgardo Pistone, Gran premio giuria ex equo alla Festa di Roma oppure l’ottimo Leggere Lolita a Teheran dell’israeliano Eran Riklis, e per parlare di casa nostra il bel film di Andrea Segre Berlinguer – La grande ambizione, premiato per la splendida e toccante interpretazione di Elio Germano.

Parthenope di Paolo Sorrentino ignorato al Festival di Cannes e “rilanciato” alla festa di Roma finalmente dopo tanta pubblicità, nelle sale da un mese ha incassato finora poco più di 3 milioni e mezzo di euro. E gli altri film? 

Su questo tema ci ripromettiamo di sentire il parere di alcuni addetti ai lavori che abitano il misterioso mondo della distribuzione internazionale per capire quali potrebbero essere le ricette per cercare di colmare gli imbarazzanti vuoti nelle sale nostrane.

Per restare in tema di uscite anche se solo in streaming arriva Flow un mondo da salvare, un vero gioiello d’animazione diretto dal lituano Gints Zibalodis. Una favola quasi onirica priva di dialoghi (ricordate The Artist del francese Michel Hazanavicius?)  che racconta il flusso della vita.

Protagonista gli occhi di Flow, un gatto nero che vorrebbe salvare il mondo dove sono spariti gli esseri umani. Occhi che parlano al cuore e così potenti che ci ricordano di come il cinematografo ci abbia insegnato fin dalle origini della sua storia, che tutta la bellissima avventura della vita non ha bisogno di rumori!