La terza giornata della Festa del Cinema di Roma regala un gioiello candidato alla vittoria
Reading Lolita in Tehran è un film che disturba profondamente l’anima delle persone, sotto molti punti di vista. Un film che muove dentro un cambiamento. Una storia troppo importante tanto vent’anni fa, quando il libro di Azar Nafisi arrivò in Italia, quanto in questo momento storico. Non si tratta solo di quello che accade, ma delle riflessioni che scaturisce. Un film che prende le tue convinzioni, le mastica e te le ripropone come poltiglia.
È disturbante vedere quanto le prime scene ambientate all’università La Sapienza di Roma e un mondo sullo schermo così simile al nostro, avvicini terribilmente quella condizione a quella occidentale. Ci fa temere, ci mette in allerta, ci riporta alla convinzione possibile di regredire. Avresti mai pensato che sarebbe capitato a noi?
Ma la cosa più disturbante è capire che solo quando le cose minacciano di toccarci da vicino le vediamo realmente per quello che sono. Il conflitto Russia-Ucraina, in questo senso, ci insegna qualcosa. Solo dopo questo pensiero ci si rende realmente conto del privilegio che si vive qui in Italia. E questo vale anche per chi studia e combatte ogni giorno per una società realmente scevra da disparità di genere e in cui tutte le persone parimenti possano viversi la stessa libertà.
Le premesse dettavano già l’aspetto prevalentemente drammatico del film. Un film che ha bisogno di fare male. Purtroppo le vicende non lasciano spazio a una lettura diversa. Ciò che lo rende un film da cui non si dovrebbe prescindere però è la franchezza, la trasparenza e se vogliamo la semplicità con cui comunica, andando a colpire dritto nelle viscere. Non si può evitare l’impatto con questa realtà e il mezzo cinematografico è funzionale al massimo.
A tutto ciò si aggiunge la qualità di un prodotto artistico che funziona, a livello registico, nella sua estetica e soprattutto riserva un’interpretazione impeccabile da parte di tutto il cast. Si gioca molto con i colori e con il contrasto tra le ambientazioni moderne e il racconto di trent’anni fa.
Azar Nafisi è un’insegnante di origini iraniane. Dopo aver conseguito il PhD negli Stati Uniti torna a Tehran, speranzosa di libertà dopo il periodo di stabilità guadagnata a fatica con la monarchia. Proprio nel ‘79 però inizia la Rivoluzione di Khomeini, che porterà all’istituzione della Repubblica islamica sciita. Insegnare letteratura inglese all’università diventerà per lei incredibilmente complesso. Il Grande Gatsby incita all’adulterio e un libro come Lolita non sarebbe nemmeno lontanamente reperibile, se non fosse per un suo caro amico.
Sempre all’università, Azar assiste al pestaggio, all’arresto, alla condanna degli studenti di sinistra controrivoluzionari, da parte della polizia, coperta dalla narrazione propagandistica dei media.
I vestiti colorati, i capelli sciolti, i trucchi. Il rispetto, l’essenza, la libertà. Sono ormai tutti ricordi lontani. Un tormento per la protagonista, che pensa solo a quanto sia privilegiata a poter avere almeno il rimpianto di una condizione che fu, a differenza dell’oblio in cui giacciono le sue studentesse. Islam e Stato non sono la stessa cosa, ripete Azar ai suoi studenti. Indossare l’hijab dovrebbe essere una scelta delle donne dettata dalla loro fede religiosa, non un simbolo, non un’imposizione della legge al fine di consentire agli uomini di non sentirsi provocati sessualmente dalla pelle o dai capelli dall’altro genere.
E se leggi, vuoi studiare o non metti bene l’hijab è lo Stato che ti incarcera, ti picchia, ti violenta. Anche se lo sai che tutto questo è sbagliato, come si elimina il senso di colpa? Quando le punizioni arrivano dalla famiglia o da altre donne, come si fa a non sentirsi sole, sbagliate? E quando si decide di scappare, lasciandosi dietro tutto e tutte, come si fa a non sentirsi egoiste? Donne come Azar sanno che esiste un’alternativa addirittura peggiore, che sono state fortunate a non nascere in Afghanistan. Ma sono così stanche, schiacciate dal peso della costrizione.
Questa insegnante mette in pratica la cosa più pericolosa ma liberatoria di tutte. Riunisce giovani donne per regalare loro quella libertà che ormai giace solo nei suoi più malinconici ricordi. Dà loro la possibilità di leggere, di avere uno spazio privato, di essere. Le loro riunioni assumono quel potere salvifico, quella forza di lottare, che solo i gruppi di autocoscienza hanno donato alle donne, fin dai primi movimenti femministi in tutto il mondo. Semplicemente perché hanno capito di non essere sole, nel loro dolore, nella loro storia, nelle loro esperienze di vita.
Tutti gli studi, le materie, le cure mediche, tutto il mondo è sempre stato narrato da un unico punto di vista, quello degli uomini. E così le donne, tenute separate tra loro e con i soli punti di riferimento maschili (mariti,padri,fratelli), non potevano che credere nell’unica storia manifesta. Quella che le vedeva schiave e aguzzine di loro stesse. I gruppi di autocoscienza, come quello che crea Azar grazie al potere della letteratura, hanno permesso loro di parlare che, tutt’oggi, è ancora considerata la cosa più sovversiva che le donne possano fare al mondo. (M.Murgia)
Le figure maschili che ruotano attorno a Reading Lolita in Tehran sono un’altra parte importante della storia. Golshifteh Farahani in conferenza stampa ci ha tenuto a sottolineare quanto l’aiuto di alcuni, pochi, uomini sia stato fondamentale per permettere alle donne iraniane anche solo l’inizio, la speranza di una ribellione contro il sistema. Uomini che sono morti per la libertà delle donne. Un concetto che il femminismo intersezionale occidentale cerca di trasmettere oggi più che mai. l’utopia di poter vivere in un mondo in cui uomini e donne sono uniti, alleati per l’ottenimento e la conseguente protezione della libertà di tutte le persone.
Il marito della protagonista, il suo amico, uno studente alle sue lezioni. La narrazione ci tiene molto di più a far emergere l’esistenza di quei pochi uomini complici, piuttosto che perdere troppo tempo nel raccontare la normalità di tutti gli altri, dittatori e schiavi del regime islamico. Eran Riklis, è uno di loro. Il regista israeliano si è battuto per raccontare la Storia attraverso la sua arte, tenendo conto di quanto questo in alcuni casi, purtroppo, sia pericoloso. Riuscendo a mantenere l’occhio, il punto di vista e la sensibilità della mano che scrisse la storia vent’anni prima, davanti alla sala stampa ne conferma l’importanza.
Reading Lolita in Tehran rappresenta un inno al potere salvifico dell’arte e della cultura. Della letteratura e del cinema. Dalle parole di Azar Nafisi, presente in conferenza stampa, emerge prepotentemente la parola “feel”. Sentite, emozionatevi, vivete. I libri fanno questo, ti insegnano a provare emozioni e ti danno la forza di reagire. Reading Lolita in Tehran è l’atto più rivoluzionario che possano fare le donne in Iran. Siamo noi Lolita? Una ragazzina considerata perversa e pericolosa quando in realtà è solo la vittima di un uomo, di una Religione, di uno Stato. Leggere Lolita qui, a Tehran, ci darà il coraggio di reagire.