Viggo Mortensen scrive e dirige un western familiare veramente inedito e originale
Presentato alla Festa del Cinema di Roma, The Dead Don’t Hurt (I morti non soffrono) racconta uno spaccato della frontiera americana che si intreccia con la Guerra di Secessione, ma in una maniera inedita e attualissima.
Viggo Mortensen torna a vestire i suoi migliori panni, quelli dell’eroe positivo, che lo hanno lanciato nella leggendaria saga de Il Signore degli Anelli. Ma se c’è una cosa che gli americani amano più della storia di Tolkien da 17 premi Oscar, beh questa è proprio il selvaggio West. Quindi Viggo ha deciso di cimentarsi con un genere da sempre guardato con occhio diffidente, ma che, se fatto bene, ha dimostrato di essere un’ottima cartina tornasole delle questioni umane. E The Dead Don’t Hurt è un’ottima cartina.
Un western moderno ma estremamente devoto al passato si comporta esattamente come questo film: la trama si articola inizialmente sul classico Buono, l’immigrato danese Holger Olsen (Viggo Mortensen), eroe silenzioso e risoluto come da tradizione Eastwood, che vaga sul suo fido destriero in compagnia di…un bambino. E già così viene meno il concetto di giustiziere solitario in favore di un apparente padre single, tipo Will Smith alla ricerca della felicità. Ben presto, anche questo da manuale, ci viene presentato il Cattivo, sotto forma di società corrotta dal ricco imprenditore della zona Alfred Jeffries, il cui figlio Weston è una canaglia vestita di nero che spara per passione e per opportunismo. L’ennesima scorribanda di Weston nel saloon di Alan Kendall (W. Earl Brown) finisce con 6 morti e un processo farsa dove a rimetterci il collo sarà un balbuziente habitué del locale.
Mancherebbe solo il Brutto da presentare in un’ideale narrazione di stampo leoniano, ma a sorpresa ci viene presentata una donna. Una bella ragazza di origine francese che si dimostra fin da subito con un carattere forte, indomabile. Non che non avessimo già presente la Claudia Cardinale di C’era una volta il West, di cui per altro la protagonista femminile è profondamente intrisa. Ma non ci si era mai sbilanciati a renderla protagonista assoluta.
Sebbene Viggo Mortensen sia il demiurgo di questo film, la stella polare è Vivienne Le Coudy, interpretata da una fortissima Vicky Krieps che non sceglie mai a caso i suoi ruoli. Vivienne conosce Olsen al mercato del pesce lungo il porto di San Francisco e subito scoppia la scintilla. Si sviluppa così una tenera storia d’amore tra i due, che presto vanno a vivere lontano dalla città. Mentre Olsen lavora come costruttore di granai per il ricco Alfred Jeffries, Vivienne si autonomizza cercando un lavoro al saloon di Kendall. Non lo fa per mantenere la famiglia. Lo fa per se stessa. Per non dipendere da altri.
Il problema è che cliente abituale e poi co-proprietario del saloon è Weston Jeffries. Giusto il tempo qualche respingimento da parte della donna, che diventa il suo oggetto del desiderio malato. Nel frattempo la Guerra di Secessione arriva fino in California e Olsen decide di arruolarsi nell’esercito unionista per abbattere la schiavitù. Vivienne rimane sola e cerca di vivere all’insegna della normalità ma Weston non glielo permette.
Di Vivienne ci viene presentata la sua infanzia da immigrata francese, la sua ammirazione per le letture della madre di Giovanna D’Arco e la derivazione dei suoi ideali di autonomia ed emancipazione. Una donna indipendente nel Far West? Questa è la principale novità di questo film, che si aggiunge alla narrazione temporale decostruita, che catalizza sempre l’attenzione senza il rischio di scivolare nella noia, spesso nemica del western. In più personaggi caratteristici del contesto western ma mai definiti e spesso dimenticati come il pianista (il messicano Claudio) e il liquorista del saloon (nonché proprietario Alan Kendall), hanno finalmente un ruolo in primo piano. Pure la famiglia del pianista ha un ruolo consistente.
Un film assente di scene stereotipate, ma prese e rielaborate in modo originalissimo. L’estetica raggiunge il picco massimo nelle scene di natura sterminata, ma non solo. Anche le scene notturne all’interno del saloon ricordano le taverne caravaggesche di San Matteo o dei bari.
E poi un western dove c’è il mare; dove non ci sono solo americani, messicani e indiani, ma anche danesi e francesi e canadesi; dove saloon, gioco d’azzardo e alcool non sono gli unici hobby, ma si va anche nelle pinacoteche… è un film che va visto. Anche perché i capolavori western post fordisti sono tutti frutto di rivoluzioni destrutturanti.
Menzione d’onore alla seconda opera registica di un grandissimo attore, che sembra seguire le orme proprio di Clint Eastwood. Le famose due pose, con cappello e senza cappello, spada di Damocle per Clint, hanno riguardato anche la carriera di Viggo. Con la spada o senza spada. Ma entrambi si sono dimostrati maestri davanti e dietro la cinepresa, in grado di cimentarsi con meravigliosi e variegati risultati. La provocazione è tale che The Dead Don’t Hurt, un western, è più devoto al Clint Eastwood de I ponti di Madison County rispetto a tutta la sua epopea west.
Il resto della storia colpisce il cuore di tutti gli spettatori e di tutte le spettatrici. Perché questa è anzitutto una storia d’amore. Che sia per un partner, per un figlio, per la giustizia o per la violenza gratuita. Questo è veramente un film per tutti.
Voto 9
The Dead Don’t Hurt è un film scritto e diretto da Viggo Mortensen. Con Vicky Krieps, Viggo Mortensen, Solly McLeod, Garret Dillahunt, W. Earl Brown Danny Huston, Shane Graham. Drammatico, durata 129 minuti. Nei cinema dal 24 ottobre