Delirio d’archi e ragioni di guerra

La lucidità dello storico e le ragioni del sogno alla cavea dell’Auditorium di Roma

Baricco. Scrittore, drammaturgo, autore multimediale, critico musicale. Uno che ambisce a porsi come maitre à penser, ma con la leggerezza ed il surfismo tipici dell’intrattenimento alto. Non a caso, accanto all’esordio come narratore subito, non ancora quarantenne, si tuffa con altri nella fondazione e gestione della Scuola Holden (1994), da lui definita, con sottile understatement, di storytelling. Sicuramente un affabulatore, già nei suoi romanzi, poi come sociologo del postmoderno (I barbari, 2006). Dunque è il suo sangue, la sua impronta originaria, teatralizzare il pensiero, spesso altrui, con abilità seduttiva e capacità divulgativa intelligente ed emotiva.

E quindi? 

Perfetto per il teatro di narrazione, nel cui filone certo si inserisce la sua ultima fatica, questo Tucidide. Atene contro Meloandato in scena per una sera, a Roma, nella cavea dell’auditorium di Renzo Piano, di fronte a 3.000 persone, ripreso dopo l’esordio del 2023 a Spoleto?

Sì è no. 

Altri di quell’area del teatro, come per es Marco Paolini, o nella seconda generazione Ascanio Celestini, pur nella narrazione, sono più attori, con foga drammatica e ritmo il primo, con arguzia favolistica il secondo. Baricco fa un po’ l’uncinetto. Imbandisce l’argomento con tono pacato e flautato, con sapienti pause per indorare il momento delle sue perle argomentative, con lieve e civettuola suspence. E lo fa seduto, con understatement anche fisico. La sua è più, come vedremo, una regia che una vera performance attoriale. Una capacità di organare il bilanciamento delle forze in campo, il cui vero fulcro tragico, in controcanto al basso continuo pacato dell’analisi pensante, è la massa musicale scagliata a più riprese (e lungamente) a intervallare e scolpire emotivamente quanto viene man mano raccontato. 

Una massa sonora agita da un’orchestra di 100 violoncelli, ed opera di quel meraviglioso trasfiguratore sonoro che è Sollima, compositore delle musiche, ma qui anche primo violoncello, e vorremmo dire, il vero attore in scena. Del resto Baricco è anche critico musicale, e sua è l’idea di coinvolgere Sollima.

Una parte poi (nell’orchestrazione delle energie in scena) avranno anche le due attrici – Stefania Rocca e Valeria Solarino – quando il testo in questione da narrazione si farà, per un momento, dialogo teatrale.

Ma prima di procedere, veniamo all’argomento dello spettacolo. 

La base è il testo di Tucidide La guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), in otto volumi, capolavoro storiografico dell’antichità. 

Ed in particolare, all’interno di questo, laddove si narra delle trattative fallimentari tra Ateniesi e Melii (in Tucidide teatralizzate in forma di dialogo), prima dell’assedio vittorioso all’isola ribelle di Melo (416° a.C.).

É qui che si inseriscono – al microfono, a leggii contrapposti – le due attrici, forse un po’ troppo statiche e pettinate nella dizione e nel tono pacato, anche se un po’ meglio quando cresce alla fine l’aggressività delle parti.

Alla lentezza – in questa parte – contribuisce il commento che Baricco continuamente interpone tra ogni fase del contraddittorio, sia riassumendo (eccessivo) che evidenziando il senso. 

Si può tuttavia vederlo, nell’architettura globale dello spettacolo, come un ralenti funzionale, una lente di ingrandimento preparatoria, rispetto allo scatenamento emotivo successivo, col suo climax tra il tragico ed il poetico.

E non a caso qui la musica tace, di fronte al gelo disumano della ragion politica.

La ragion di stato … 

La ragione. Il sentimento. L’umano. La logica delle potenze. La democrazia. In effetti questo è quanto è in questione e si vuole aprire alla riflessione, facendo del testo di Tucidide lo specchio dell’oggi, tra crisi delle democrazie, democrature, cozzo delle potenze e deliri di guerra.

Due infatti sono le regole che introduce Tucidide, inventando il mestiere di storico. Innanzitutto che la storia è magistra vitae – cioè si ripete – ovviamente a patto di analizzare e ricordare, per prevedere e prevenire. Ma soprattutto che la storia è causata, è opera dell’uomo, non del fato o degli dei.

E questo è a mio parere il nodo dello spettacolo, e la radice del guizzo di poesia finale, la vera cifra baricchiana. Se è l’uomo a determinare la storia, si può sempre scegliere.

E vedremo come questo alla fine, incrociandosi con le potenzialità della democrazia, si trasformi nelle immagini di Baricco, in sogno e poesia. In speranza. La speranza che ovviamente lo spettacolo vuole aprire in epoca di Ucraina e Gaza, e di generale follia e deriva.

Torniamo però agli inizi. Introdotto e spiegato il genio tucidideo, Baricco ironizza sullo scontro di civiltà tra la Sparta militaresca e l’Atene del commercio e del sapere (Russia e U.S.A.?). Atene … Una democrazia, sì, ma solo per una sia pur vasta elite. Si discute, sì, ma vince chi grida di più. Democrazia o demagogia? Ma soprattutto … Atene è anche l’archetipo dell’imperialismo, con la negazione all’esterno di tutti i suoi valori, democratici e filosofici, nel nome della legge del più forte.

E quindi, quando l’isola di Melo vorrebbe scegliere la neutralità tra Sparta e Atene, uscire dalla logica dei blocchi, questo viene visto come inaccettabile. Minerebbe la logica della forza e del ricatto che è alla base delle coalizioni.

O si arrende, o perisca! E così sarà. Assediata, invasa, distrutta. Uccisi i maschi, deportati gli altri.

La democrazia allora è un falso?

E’ qui che scatta la logica del possibile. 

In un episodio di anni prima – la rivolta della città di Mitilene – due assemblee di popolo, ad Atene emettono a distanza di poco due diversi pareri sul trattamento dei ribelli. Il primo di totale repressione, il secondo di punizione dei soli capi della rivolta. Prevalgono dunque i valori umani, vorrei dire filosofici, della civiltà ateniese, ed emerge il potenziale della democrazia.

Ed ecco due navi, per mare, ad inseguirsi, portatrici dei due diversi messaggi, e la seconda sulle ali del folle volo, sperando di riuscire a sospendere il verdetto di morte.

Il mare …Le vele, la scia, la scia …

Così compita, sul finale, visionario, Baricco, aprendo il vasto orizzonte della poesia, dove il mare è simbolo di libertà, di non prigionia, di apertura. Se il finale è poetico e di speranza, tanto più spicca in quanto il sottofondo (la legge generale) resta la tragica e patetica agnizione della violenza e della follia della storia. 

E a dare corpo a questo, spessore di teatro al referto chirurgico della ragione e dell’analisi è, come già anticipato, la musica, l’orchestra dei violoncelli. Spettro sonoro a raffiche, con controcanti di struggenti e melismatiche dolenti melodie, ma anche corpo coloristico e gestuale. Sono loro i veri attori, musica e musicanti, coi loro corpi e i loro strumenti. A cominciare dal direttore, che non solo si agita scatenato, ma batte spesso i piedi collaborando come percussionista alla musica stessa.

Colori e gesti. 

Così all’inizio la massa degli orchestrali, mentre Sollima, solista solitario, in avanscena, si impenna in onde di malinconia, gli altri levano alti i violoncelli capovolti, a spunzone in alto, a mimare, senza volto, la falange oplitica.

É l’ouverture visiva che anticipa il tema del racconto: la guerra. La guerra senza volto oserei dire, perché negatrice del volto umano. La guerra come dolore del mondo.E più avanti vedremo spesso i violoncelli usati come tamburi, e gli esecutori trasformati in coristi emettere lamenti vocali. Culminante in tal senso – a proposito di uso ‘gestuale’ del colore – quando, dopo la lunga assenza della musica durante il conflitto dialogico tra ambasciatori, a premessa del tragico epilogo della distruzione di Melo, l’orchestra che riprende è ora inondata di luce rossa, dall’alto (il sangue?), mentre alle spalle fari sparano luci bianche diagonali in alto, in parallelo col torcersi disperato del corpo di Sollima, a luce bianca – ora in piedi – che dà con la sua disperata melodia il senso dell’innocenza al macello.

E l’orchestra tutta batte i piedi minacciosa e ossessiva, come il rullo dei tamburi dei soldati in marcia, e accompagna con vasto corale lamento … aaaaaah aaaaaah.

Dopo di ciò, inclinando verso il finale poetico e di speranza, la musica plana a onde di vastità e melanconia, per impennarsi un’ultima volta in frenesia quando deve mimare la corsa sul mare della nave della speranza.

In definitiva, una operazione intelligente ed intensa quella di Baricco, di regia e poesia, e di orchestrazione più che prova attoriale. E il riscontro nel pubblico lungo e caloroso

_________________________________

Tucidide. Atene contro Melo – Adattamento e regia: Alessandro Baricco – Musica: Giovanni Sollima (dirige Enrico Melozzi) – con: Alessandro Baricco, Stefania Rocca, Valeria Solarino, Giovanni Sollima, Enrico Melozzi, 100 Cellos orchestra – Costumi: Giovanna Buzzi, Slow Costume – Luci: Fabiana Piccioli – Una produzione: Holden Studios Roma, 11 settembre  2024 – Cavea – Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone