To be or not to be: Chi era John Florio? Parte prima

Dopo l’autorevole contributo di Roberto Russo, pubblichiamo anche quello a firma di Saul Gerevini, storico studioso sulle tematiche che legano indissolubilmente John Florio alla vita di Will di Stratford e ai testi di Shakespeare

di Saul Gerevini

Non avrei mai intrapreso un’avventura impegnativa come quella di scrivere su Shakespeare se non avessi letto il libro The Genius of Shakespeare del professor Jonathan Bate, ex membro della prestigiosa Trinity Hall di Cambridge, e prestigioso insegnante universitario di letteratura inglese. 

Questo perché i modi e i toni che il professor Bate ha usato per descrivere il raffinato e colto intellettuale anglo-italiano John Florio, sono assolutamente offensivi, come avremo modo di vedere. Bate, quindi, meritava una risposta! 

Soprattutto perché quando lessi il suo libro, nel 1998, avevo già un’idea precisa di quello che poteva essere stato il rapporto tra Florio e Shakespeare. Per me Florio è l’alter ego di Shakespeare, idea che Bate rigetta ironicamente. 

La mia risposta a Bate, però, doveva essere tale da controbattere “obiettivamente” la logica attraverso la quale lui, nel suo libro, ha cercato di annientare in poche pagine l’idea che Florio potesse essere il vero Shakespeare. 

Bate infatti, sicuramente riferendosi agli studi di John Harding (un ricercatore di Liverpool che proponeva Florio come “mente” delle opere di Shakespeare), pur ammettendo l’enorme importanza di Florio per lo sviluppo artistico del Bardo, afferma che “la mente di Florio” è presente nei suoi  testi, non perché Florio sia il suo alter ego, come sostiene con coerenza e profondissima competenza Harding (però più “intuitivamente” che “oggettivamente”, come dice sua figlia Giulia che ha continuato le ricerche del padre), ma solo perché Shakespeare “lesse” attentamente le opere di Florio e ne “rubò le frasi.”

Quindi, la logica di Bate è questa: “Shakespeare era un lettore così vorace e capace da impossessarsi di ‘tutto e di tutti’, anche della ‘mente’ di Florio’’, implicando di conseguenza che non è possibile considerare Florio come l’alter ego di Shakespeare. 

La tesi di uno Shakespeare che legge “accanitamente di tutto”, tesi “non dimostrabile con dati di fatto”, va per la maggiore e da questo punto di vista Bate è un privilegiato, data la sua posizione accademica, perché può affermare cose che non sono dimostrabili (e quindi poco “oggettive”) e renderle automaticamente “oggettive” in virtù della sua autorità.

Il mio approccio, allora, nel rispondere a Bate, è stato quello di trovare “dati oggettivi” attraverso i quali è possibile dimostrare indiscutibilmente che Florio è l’alter ego di Shakespeare. Dovevo attenermi il più possibile ai fatti, evitando al massimo le supposizioni (che Bate, nel suo The Genius of Shakespeare, usa estensivamente), dato che per loro natura prestano troppo il fianco ad essere rigettate. 

Supposizioni che caratterizzarono l’opera di Santi Paladino, per esempio, il quale, intorno agli anni ’50, nel suo libro Un italiano autore delle opere di Shakespeare, scrisse, tra l’altro, che John Florio veniva chiamato “Johannes Factotum”, senza però spiegare come fosse arrivato a questa conclusione. La sua affermazione quindi appariva gratuita. 

Ci sono ragioni specifiche, invece, per cui John Florio venne chiamato “Johannes Factotum”, ragioni che Paladino non è riuscito a spiegare e questo è comprensibile, non era così facile come adesso trovare le giuste informazioni al suo tempo, visto che Internet non c’era ancora. 

Quindi, grazie anche alle nuove tecnologie, nei miei lavori su Florio e Shakespeare ho esposto, in termini “oggettivi”, perché Florio veniva chiamato “Johannes Factotum.”   

Queste ragioni, che analizzeremo strada facendo, creano un collegamento “oggettivo” con quel ‘’Johannes Factotum’’ che troviamo nella famosa critica a ‘’Shake-scene’’ fatta da Robert Greene nel suo Groatsworth (1592). 

La mancanza di “dati oggettivi” nelle analisi (geniali a mio avviso) di Paladino, lo esposero alla distruttiva ed ironica critica degli studiosi del suo tempo. 

Per trovare questi “dati oggettivi” non ho evidenziato solo tutte le competenze, le conoscenze e le capacità di Florio presenti nei testi di Shakespeare, perché questi “dati” vengono invalidati dagli studiosi come Bate con un semplice «Shakespeare leggeva accanitamente», ma, invece, ho anche “analizzato” quale sia stato il rapporto intercorso tra Florio e Shakespeare nella vita reale. 

Questo rapporto, che fino ad oggi, in maniera profonda e coerente abbiamo indagato Giulia Harding  ed io, e lei a dire il vero lo ha indagato molto più di me e quindi come appassionata di Shakespeare lei è stata una  preziosissima risorsa in questo nostro progetto ‘Floriano’’, che ci ha portati a capire esattamente il  ruolo di Thomas Nashe, un drammaturgo contemporaneo a Shakespeare, che in certi suoi scritti ci indica con precisione chi ha scritto le opere di Shakespeare: e cioè John Florio. 

Quindi grazie al lavoro che abbiamo fatto insieme abbiamo trovato un personaggio del tempo di Shakespeare che nei suoi scritti ‘’indica’’ in maniera ‘’precisissima’’ chi sia il vero autore delle opere di Shakespeare, questo personaggio, grande e capace scrittore di teatro si chiama Thomas Nashe e avremo modo di parlare di lui in dettaglio perché è un ‘’testimone oculare molto affidabile’’ nel rivelarci chi è lo scrittore che sta dietro i lavori di Shakespeare. .

Da questa analisi, quindi, sono arrivato, grazie alla cooperazione con Giulia Harding (che sfortunatamente ci ha lasciati l’anno scorso) a trovare Nashe che nei suoi scritti rivela quei “dati oggettivi” che giustificano la presenza delle  enormi competenze di Florio nei testi di Shakespeare: infatti troviamo le competenze di Florio nei testi di Shakespeare non perché l’uomo di Stratford “lesse” voracemente i lavori di Florio, ma perché Florio lavorò attivamente alla costruzione di quelle opere, come vedremo strada facendo. 

Quindi, da queste dettagliate analisi è emersa una verità sconosciuta, e cioè il fatto che tra John Florio e Shakespeare, oppure ‘’Shaksper’’, che è uno dei cognomi che troviamo in una delle sue poche e sgangherate firme, c’era un’intensa collaborazione.

Ovviamente ognuno nei loro rispettivi terreni di competenza, che se per Florio era la conoscenza straordinaria delle opere letterarie più importanti del tempo, e soprattutto quelle del Rinascimento Italiano, oltre alle sue straordinarie capacità linguistiche, per Shaksper, l’impresario di Stratford, che a mala pena sapeva fare la sua firma, la sua competenza consisteva nel saper fare soldi con il teatro e in questo Shaksper era veramente bravo: di conseguenza ‘’Squadra che vince no si cambia’’.

Queste sono affermazioni che farebbe aborrire molti studiosi, ma che dimostreremo con dati di fatto, per esempio il fatto che gli stranieri, come Florio non potevano firmare le opere teatrali, che erano una competenza riservata solo a chi era inglese di nascita e di discendenza. 

Quindi Florio non avrebbe potuto firmare e rappresentare a teatro le opere che scriveva, ma aveva bisogno di un presta nome per rappresentarle a teatro, ed ecco una delle funzioni più importanti di Shaksper: firmare le opere scritte da Florio, visto che Florio non poteva firmarle.  

Fine della prima parte sulla collaborazione tra Shaksper e Florio, nella costruzione delle opere di Shakespeare. Materiale estrapolato dalle mie ricerche su Shakespeare e Florio.

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