L’alchimia di Gianfranco Cabiddu nella sintonia scenica tra Eduardo e Shakespeare
Una famiglia di teatranti, assieme al capitano, alle guardie carcerarie che portano al penitenziario quattro camorristi, naufragano sull’Isola dell’Asinara dopo una lunga tempesta sul mare.
Il mare toglie e restituisce. Tutti i superstiti sono scampati alla tempesta. Ma sui camorristi pesa ancora la pena che dovranno consumare sull’isola: convincono così il Capocomico Oreste Campese a dire a tutti di essere degli attori così da sfuggire alla cattura del direttore del carcere.
Quest’ultimo si lascia persuadere dalle parole del Capocomico e libera tutta la compagnia, con la sola e unica condizione di portare in scena La Tempesta di William Shakespeare.
È curiosa la sperimentazione riuscita del regista Gianfranco Cabiddu nell’amalgamare due drammaturgie diametralmente distinte come L’arte della commedia di Eduardo De Filippo e La Tempesta di William Shakespeare, inserita in un contesto brullo, selvatico e ostico come la Sardegna.
Inoltre, le ambientazioni sembrano quelle dei quadri di Renato Guttuso: il paesaggio arido in netto contrasto con l’azzurro del mare fanno da sfondo a tutta la narrazione.
Nei teatranti si riconoscono le figure degli attori in stile pirandelliano della commedia di Eduardo, i quali rimangono sottomessi al potere di rappresentanza di turno, in questo caso del direttore del carcere. Potrebbero essere gli stessi attori che recitano il dramma della morte del padre ne L’ Amleto di Shakespeare: il teatro si avvale come mezzo per rivelare in chiave simbolica la realtà.
Sergio Rubini impregna il suo Capocomico di espressività teatrale, Ennio Fantastichini arricchisce l’interpretazione del suo personaggio amletico, scisso tra i doveri di padre protettivo e direttore di carcere, Renato Carpentieri è un capo camorrista con la saggezza autoritaria del Padrino. Si rispecchiano tre padri differenti, ognuno con la propria Tempesta interiore e, nella sceneggiatura, i loro dialoghi sono intrisi di drammaturgia, poiché artefici della tragicommedia che sono costretti a recitare. Ma c’è un quarto personaggio da considerare, il più allegorico di tutti: il pastore sardo Antioco che, sebbene utilizzi un linguaggio incomprensibile, tenta nonostante tutto di relazionarsi con gli altri abitanti dell’isola. Antioco, interpretato da Fiorenzo Mattu, incarna il dolore del regista del film fortemente adirato per la dominazione della sua terra natìa dagli “occupanti” e l’ingiustizia di quella violazione prende corpo nella trasfigurazione teatrale che avviene attraverso la stessa messinscena.
Nel 2017, il film ha ricevuto numerosi riconoscimenti, fra cui il David di Donatello come miglior sceneggiatura, il Globo d’Oro e il Premio “Gobbo D’Oro” al Bobbio Film Festival entrambi come miglior film.
Un film coraggioso e insolito che senz’altro induce a pensare come a volte davvero “Tutti possono fare teatro” se solo si pensa al fatto che forse siamo costituti de “La stoffa dei sogni”, proprio come evoca il titolo del film.
La stoffa dei sogni – liberamente tratto da “L’arte della commedia” di Eduardo De Filippo e “La Tempesta” di William Shakespeare – Regia Gianfranco Cabiddu – Sceneggiatura Gianfranco Cabiddu, Ugo Chiti, Salvatore De Mola – Con Sergio Rubini (Oreste Campese, il capocomico), Ennio Fantastichini (il direttore De Caro), Alba Gaïa Bellugi (Miranda), Renato Carpentieri (Don Vincenzo), Francesco di Leva (Andrea), Ciro Petrone (Saverio), Teresa Saponangelo (Maria), Luca De Filippo (il Capitano), Nicola Di Pinto (Pasquale), Jacopo Cullin (Tenente Franci), Fiorenzo Mattu (Antioco), Maziar Fayrouz (Ferdinando), Lino Musella (prima guardia carceraria), Adriano Pantaleo (seconda guardia carceraria) – Montaggio Alessio Doglione – Musiche Franco Piersanti – Scenografia Livia Borgognoni – Costumi Beatrice Giannini, Elisabetta Antico – Fotografia Vincenzo Carpineta – Produttore Isabella Cocuzza, Arturo Paglia – Casa di produzione Paco Cinematografica, Rai Cinema – Distribuzione in italiano Microcinema -2016.