Intervista al direttore artistico Tiziano Panici
Dal 25 al 30 giugno, ritorna l’undicesima edizione del Festival Dominio Pubblico con sei giornate di programmazione negli spazi del Teatro India di Roma, oltre 120 artisti e artiste e più di 40 appuntamenti. Gli eventi e i corrispettivi progetti multidisciplinari anche quest’anno sono stati selezionati dalla DAP – Direzione Artistica Partecipata e apertura degli allestimenti di arti visive e digitali. Al netto della voglia di scavare metaforicamente fra i nomi dei nuovi talenti e delle nuove forme creative, si apre al pubblico una ormai promettente iniziativa artistica che offre mille sfaccettature culturali, a incominciare dal teatro tradizionale fino alla realtà virtuale, passando per la musica, la danza e ancora e ancora. Le performance non cercano una definizione tecnica definitiva ma solo la collocazione inedita di un momento che possa sorprendere ed emozionare chi ne vedrà la realizzazione nel tempo presente, in cui tutto sfuma ma poi ritorna sempre alla sua conformazione originaria.
Si lascia spazio all’interpretazione, all’energia e all’entusiasmo che contraddistingue gli ideatori storici… “Nessuno può appropriarsi in maniera esclusiva di ciò che è di Dominio Pubblico, piuttosto ciascuno può prendere quel bene e goderne”. Da qui ascoltiamo le parole di Tiziano Panici, Direttore artistico del Festival, con il personale raconto dei passi mossi fino a oggi per mettere in piedi un Dominio Pubblico aperto a uno spettatore che abbia voglia di mettere in discussione la scena contemporanea per assistere a inaspettate creazioni, sperando riscuotano approvazione per durare nel futuro.
Qual è il sentimento che deve in qualche modo “dominare” in chi propone un progetto valido e bello, tanto da essere selezionato per andare in scena, e di cui si potrà godere a brevissimo sul palco del Teatro India?
È una bella domanda e la risposta non è banale. Penso che la risposta migliore sia il titolo che quest’anno è stato scelto dalla direzione artistica partecipata, ragazzi e ragazze sotto i venticinque anni, che si prenderanno cura degli artisti ospitati all’interno del Festival; quindi, sono a tutti gli effetti dei curatori culturali che accedono a questa possibilità attraverso la formazione che fa Dominio Pubblico. Ogni anno c’è un nuovo gruppo chiamato a dare un’identità al Festival. L’identità attuale si traduce nella parola “Metamorfo”, diventata un’immagine simbolica realizzata dall’artista Kenji. Suddetto termine richiama a una creatura con dei confini non ben definiti, una sorta di creatura sottomarina che viene in qualche modo distorta e riflessa dai movimenti dell’acqua, è un qualcosa di non percepibile, un corpo fluido in cambiamento e trasformazione. Credo che ciò rappresenti bene una metafora dei nostri tempi attuali, di un presente vissuto e percepito da una nuova generazione che chiaramente sta cercando il suo posto nel mondo e la sua forma, tale da avvicinarsi al sentimento che Dominio Pubblico vuole esprimere. Le parole più giuste per comprendere il processo che mettiamo in atto sono “prendersi cura”.
Da cosa è scaturita l’idea di dare vita a questo Festival undici anni fa? E quali sono i cambiamenti che sono stati apportati nel corso degli anni?
Sono passati ormai undici anni dalla prima edizione ed è cambiato tutto, è cambiata la società e ovviamente è cambiato il mondo dello spettacolo. Quando abbiamo iniziato a lavorarci a Roma c’erano più sale teatrali, anche se già soffrivano del fenomeno dello svuotamento del pubblico, così come i cinema. Tale andamento già segnalava un cambio di passo culturale che poi è diventato esponenziale con l’arrivo del Covid. Sono nato e cresciuto in bottega e sono il responsabile artistico di uno spazio che conoscete bene, il Teatro Argot, ecco Dominio Pubblico nasce fra le pareti del teatro Argot e del Teatro dell’Orologio, teatri off indipendenti della Capitale. Il progetto fin dall’inizio ha voluto valorizzare i giovani artisti contemporanei che avevano poche attenzioni, creando dei palcoscenici per loro. Prima, per essere considerato un giovane artista dovevi avere almeno trenta o quarant’anni! Ancora oggi io vengo ritenuto un giovane operatore culturale nonostante abbia quaranta anni e non mi senta giovane ma piuttosto ampiamente approdato al mio Status professionale; dunque, la mia volontà è stata quella di riconoscere la vera giovinezza, cioè quando hai fra i venti e i venticinque anni, stai finendo gli studi e hai bisogno di metterti alla prova per sapere se il tuo sogno si potrà realizzare. Per farlo servono delle opportunità e delle occasioni. Dominio Pubblico voleva e vuole tuttora rappresentare questa occasione.
In che modo ritieni che le nuove generazioni possano insegnare agli adulti a essere creativi, artisticamente parlando?
Basta venire dal 25 al 30 di giugno al Teatro India di Roma per scoprirlo. Il Festival ospita artisti selezionati attraverso una call nazionale ogni anno. Si tenta di effettuare una mappatura di tutto quello che si muove in Italia, e non solo, da un punto di vista della sperimentazione e innovazione creativa intese in stricto sensu. L’assorbimento di nuovi format e linguaggi è una delle caratteristiche peculiari del Festival. Il nostro scopo è trovare forme artistiche che ancora non sono visibili. Uno dei fenomeni che abbiamo intercettato negli ultimi anni, e che a Roma ha avuto un’ampia deflagrazione, è la Slam Poetry, infatti, siamo partiti dall’organizzazione di un evento con “WOW- Incendi Spontanei” diretto da Giuliano Logos e Lorenzo Maragoni nel 2022, assieme al percorso di formazione con il Teatro di Roma condotto da Giulia Anania e Lorenzo Maragoni l’anno scorso. Quest’anno ospitiamo il terzo campione mondiale di Slam Poetry, Filippo Capobianco, un ragazzo italiano giovanissimo che viene dal Nord Italia, il 25 sarà protagonista di uno degli spettacoli che inaugureranno il Festival… accade solitamente che gli Italiani sono abbastanza bravi a capire prima come si muovono le tendenze e poi a dominarle. Con lui avremo anche il primo campione del mondo di Slam, Giuliano Logos, egli sarà presente alla serata di inaugurazione per fare da apripista a un progetto molto sperimentale che si chiama “Mindscapes”, si tratta di un museo virtuale che ospiterà cinque artisti nella realtà VR. Per visitare il museo gli spettatori e le spettatrici dovranno indossare dei visori, guidati all’interno del viaggio dalla voce di Logos e dalla sua poesia. Inoltre, nella serata di apertura del 25, sempre grazie alla collaborazione con il Teatro di Roma, ospiteremo un altro importante progetto sperimentale chiamato “Afro American drama”, realizzato in collaborazione con l’ambasciata USA e partito da una ricerca sulla drammaturgia statunitense dell’Università degli Studi della Tuscia grazie a Valentina Rapetti, la quale ha tradotto una drammaturgia a opera di Lynn Nottage per gli afrodiscendenti. La scrittura di teatro per gli attori e le attrici afrodiscendenti, è un obiettivo che l’Italia si dovrebbe porre per i prossimi anni se vuole superare i modelli restrittivi che al momento connotano la presenza di attori di seconda o terza generazione, quasi non considerati Italiani per il colore della loro pelle ma che invece sono professionisti a tutti gli effetti usciti dalle scuole e dalle accademie, alla ricerca di dignità lavorativa e artistica. Riconoscere e strutturare un percorso di Drammaturgia per loro diventa un connotato fondamentale, motivo per cui siamo davvero orgogliosi di ospitare personalmente Lynn Nottage, l’unica donna afroamericana al mondo ad aver ricevuto due Pulitzer e una candidatura a un Tony Awards. Gli attori e le attrici che hanno fatto la formazione con il Teatro di Roma, metteranno in scena il suo primo spettacolo intitolato “Puf!”.
Qual è il fil Rouge che lega tutte queste discipline (Teatro, Circo, Performance, Musica, Danza, Cinema, Arti Visive e Digitali)?
Sicuramente il tema generazionale, perché è in assoluto il punto di partenza. Ogni anno ci siamo fatti questa domanda e ce la ripetiamo. Quando creiamo il bando decidiamo se vogliamo o non vogliamo dare un tema a priori e cerchiamo di non darlo mai, essendo già molto limitante per un artista partecipare a un bando in cui puoi avere al massimo venticinque anni, lo sarebbe ancor di più se ci fossero delle tematiche prefissate. Il filo rosso lo ricerchiamo sempre nelle scelte che vengono fatte, dando più spazio possibile alla sperimentazione e alla fine ci rendiamo conto che sì, un filo rosso emerge ogni anno fortemente. Certamente la tematica del “Metamorfo” è la traduzione del filo rosso di quest’anno, rintracciabile nello spirito ed energia creativa che non ha confini, che ricerca un’identità ma che non vuole sentirsi ingabbiata in stereotipi, legittimandosi come forma purificata senza barriere e confini e senza avere la fretta di doversi obbligatoriamente definire in qualcosa.
Come la tematica della sostenibilità green può interagire con il teatro? Si può rendere questo legame efficace e produttivo?
Mi chiedo quanto sia pericoloso trovare un riscontro definitivo. Non a caso, insegno management e gestione dello spettacolo proprio sui temi dell’audience development. Da poco in Piemonte mi è stato chiesto di curare una classe master orientata alla sostenibilità green dei Festival. La verità è che lo spettacolo dal vivo e l’arte sicuramente oggi non si rivelano ancora degli elementi che eccellono per sostenibilità. Si è chiesto per anni allo spettacolo di incentivare la partecipazione delle persone e improvvisamente scopriamo che ne consegue un largo impatto a livello ambientale, ora come ore si sta lavorando sulle piccole comunità indirizzando percorsi di spettacolo dal vivo all’interno del panorama urbano. Ritengo che a riguardo i giovani siano dei portatori sani di coscienza e di auto-osservazione sul tema dei cambiamenti climatici e sul senso di responsabilità e sostenibilità. Di solito quando organizziamo il Festival sono più loro a insegnare a noi che non il contrario. Purtroppo, è difficile ottenere dei risultati 100% green all’interno di una città urbana e urbanizzata come Roma, rivelandosi essere un paradosso nella sua natura. Proposte simili sviluppano un maggiore impatto quando vengono realizzate in aree rurali, tra l’altro è uno degli indirizzi di grande investimento del PNRR e dei progetti Europei. Non è il singolo Festival a fare il cambiamento o l’incidenza sull’impatto ambientale.
Qual è il riscontro che fino ad ora avete ricevuto dal pubblico che viene a vedere i vostri lavori?
Se siamo ancora qua dopo undici anni vuol dire evidentemente che abbiamo ottenuto un riconoscimento più che positivo. Riscontrabile nella larga partecipazione ottenuta da tutti i processi formativi che facciamo durante il corso dell’anno, compreso quello all’interno delle scuole e dei licei e il percorso classico di Dominio che coinvolge prevalentemente studenti universitari, molti dei quali fuori sede.