La quarta prova alla regia per Valeria Golino con “L’arte della gioia”, presentato a Cannes 2024
C’è un tempo misterioso che regola la manifestazione di ogni vita, il suo silenzio, il suo imprevedibile deflagrare, ma la storia dimostra che, anche se spesso in ingrata esposizione postuma, il lavoro di un’anima insolita e immensa, a un certo punto sboccia in tutto il suo potenziale e tuona. È il caso di Goliarda Sapienza, scomparsa nel ‘96, e del suo romanzo che è poco dire fiume, “L’arte della gioia”. Finito di scrivere nel 1976, la prima parte fu pubblicata nel 1994 e l’edizione integrale postuma nel 1998.Libro difficoltoso, osteggiato, pluriedito per remore di un’etica antiquata, che il tempo ha inesorabilmente scardinato.
Una recherche semibiografica, se non altro per analogia emozionale, a quella della sua scrittrice che, coraggiosamente, Valeria Golino e i suoi coautori rendono miniserie, o meglio maxi, portato a Cannes e attualmente godibile in sala come film. Non era facile mettere mano a una materia così epica e intima insieme, tanto che la scrittura ha occupato per tre anni il pool di sceneggiatori, dando vita a un prodotto denso e incandescente come la lava dell’Etna che fa da sfondo. Goliarda non fu esente da depressioni, elettroshock, tentò il suicidio, fu incarcerata, derubata, amò fuori dagli schemi, scrisse, insegnò, visse un femminile in prima persona unico e coraggioso, tanto più dato il suo tempo. E tutto questo trasuda dalle sue pagine come dallo schermo.
La traccia è quella di un’innocenza costantemente abusata e tradita con ferocia a più riprese, che allo stesso tempo sa forgiarsi sulle ferite mortali solo in apparenza e ribaltarle in un gioco vertiginoso e amorale di vittime e carnefici, nel quale è difficile non parteggiare per la giovane Modesta, costantemente offesa nella sua affamata ricerca di amore e intimità. Personalmente trovo fastidioso quando un commento elenca dettagliatamente la trama di una storia; spoilerare equivarrebbe a togliere il meritato stupore dell’incalzare di una processione mozzafiato di punizioni, repressioni, istinti primordiali, vessazioni della carne, giostra della carne dove il profano e il sacro si affrontano sull’arena del corpo e del desiderio, emotivo, sensuale, di Vita e Libertà in senso più ampio, tra mortificazioni orribili e sincronicità miracolose.
Non sorprende che il romanzo abbia subito un’odissea di tale portata, che scandaloso per decenni non è stato l’abuso patriarcale, l’incesto in famiglia, l’ambiguità delle relazioni dentro i conventi, ammalate di vendetta e ambizioni morbose come qualsiasi corte, l’attrazione tra fanciulle, il nascondere il mostro di famiglia… scandaloso era narrarne con spigliata naturalezza, come Goliarda ha fatto e come Golino porta a una maturazione del tutto in linea con la coscienza attuale.
Ci sono affreschi paragattopardeschi e visionarietà sorrentiniane, qualche semplificazione c’è, così qualche clichét, come qualche lentezza, càpita; non intaccano la potenza primordiale della vicenda, che conduce Modesta come Teseo nel labirinto della commedia umana più archetipica, nel suo viaggio dell’eroina destinata a trasformare il dolore in esperienza, la delusione in foga, l’abbrutimento in vendetta senza remore, a incontrare belle, bestie, principesse e cavalieri, in un’alchimia trasformativa e iniziatica senza sosta e senza esclusione di colpi.
È bella la grande letteratura italiana femminile, quella che affonda nei temi veri, senza sconto, del dolore umano, del compromesso, della morte, della seduzione, della purezza offesa; sa di Morante, di Ortese, di un Sud nazionale che assurge a simbolo dei vizi e delle virtù più inconfessabili del tutto; è bella una storia quando da una vita tira al segno universale e non sempre è data al cinema la grazia della restituzione che Golino realizza in un continuum matrilineare di rara portata.
Un po’ come per “L’amica geniale” fa bene sapere che il botteghino risponde anche sulla versione cinematografica di durata non indifferente. Ne sarebbe contenta Goliarda, che ricordo con emozione scarna e infuocata aizzare i giovani studenti di recitazione del CSC dei primi anni ’90 affinché svegliassero e svelassero la loro forza più originale. Forse questi protagonisti (tra i quali non si possono non menzionare una Jasmine Trinca di ambiguità impeccabile e una Valeria Bruni Tedeschi che illumina a giorno ogni crepuscolo del cuore) le sarebbero piaciuti molto.
Aspettiamo con ardore analogo la seconda parte tra pochi giorni in sala.
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L’arte della gioia – Tratto dal’omonimo romanzo di Goliarda Sapienza – Regia Valeria Golino – Sceneggiatura: Valeria Golino, Francesca Marciano, Valia Santella, Luca Infascelli, Stefano Sardo Con: : Tecla Insolia, Jasmine Trinca, Valeria Bruni Tedeschi, Guido Caprino, Alma Noce, Giovanni Bagnasco, Giuseppe Spata – Produzione: HT Film, Sky Studios – Genere: Miniserie TV – Paese: Italia – Anno: 2024