Si chiude questa sera la lunga kermesse francese la numero 77 con Greta Gerwig, la prima regista americana a presiedere la giuria del Festival.
Roberto Minervini con il suo primo lungometraggio I dannati presentato nella sezione “Un certain regard” conquista il premio come miglior regista, di fatto il secondo concorso del Festival che questa sera attribuisce i suoi palmares.
Ambientato coraggiosamente nel Montana del 1865, il suo primo film di fiction in quella guerra che noi chiamiamo di Secessione, Roberto Minervini non ha cambiato poi tanto il suo straordinario sguardo di documentarista già apprezzato a Cannes e con I dannati il regista marchigiano che lavora da anni negli Stati Uniti, ha colpito ancora una volta nel segno. Giocando sull’attesa racconta una missione misteriosa di giovani soldati con la divisa blu tra il freddo, la neve e nemici invisibili che sparano. Un western atipico il suo che parla soprattutto di una condizione esistenziale, un monito sulla insensatezza della guerra, di qualsiasi guerra dove è possibile cogliere inevitabilmente riferimenti all’America odierna e ai conflitti contemporanei.
Un’altra grande sorpresa questa volta è arrivata dal concorso ufficiale, favoritissimo per un palmares abbiamo visto The seed of the Sacred fig (Il seme del fico sacro), diretto dal dissidente regista iraniano Mohammad Rasoulof, arrivato al Festival di Cannes, poche settimane dopo essere drammaticamente fuggito dall’Iran a piedi, sfuggendo a una pena detentiva di otto anni. La storia è incentrata su Iman, un giudice istruttore del Tribunale rivoluzionario di Teheran mentre le proteste politiche a livello nazionale si intensificano. Sullo sfondo il mistero di una pistola che scompare dalla sua casa che getta un’ombra sulla moglie e sulle figlie, possibili sospette che lo costringeranno a prendere delle misure drastiche nei confronti della famiglia. Quindici minuti di standing ovation da parte del pubblico presente alla proiezione per questo piccolo gioiello della cinematografia contemporanea che intende squarciare un velo sulla questione della libertà negata in un Paese gestito da una potente teocrazia che sicuramente non passerà inosservato agli occhi della giuria.
E fra poche ore, la giuria internazionale presieduta dalla regista americana Greta Gerwig della quale fa parte anche il nostro Pierfrancesco Favino decreterà i palmares 2024. Chi vince porta a casa la Palma d’oro ma già partecipare a Festival prestigiosi e selettivi come Cannes o Venezia, ha lo stesso valore di una nomination agli Oscar.
Abbiamo visto e scritto in 15 giorni di tutto e di più e nel cuore napoletano del vecchio cronista restano le immagini della Partenope di Paolo Sorrentino piene di amore, liberta e poesia ma anche il divertente ironico musical che un grande regista come Jack Audiard con Emilia Perez ambienta in Messico fra i trafficanti di droghe, con un boss desideroso di diventare donna o il provocatorio e politico The Apprentice che Ali Abbasi dedica all’ascesa di un giovane rampante Trump che ha innescato un vespaio di polemiche da parte dell’entourage del tycoon americano che annuncia querele nei confronti del cineasta iraniano naturalizzato danese oppure il colossal Megalopolis di Francis Ford Coppola. E poi il bellissimo Anora interpretata dalla brava Mikey Madison che il regista Sean Baker dedica alla favola di un’improbabile Cenerentola partendo da uno strip club di New York, per costruire una feroce critica agli ultra-ricchi, attraverso le disavventure di una giovane prostituta tanto sfacciata quanto accattivante. Una sera, nel locale dove lavora, incontra Vanja, l’ingenuo figlio di una coppia di ricchi oligarchi russi. Ben presto, Ani vede lì la porta d’uscita da un’esistenza che le si addice solo a metà, l’ascensore verso un mondo dove il denaro scorre liberamente.
Ma è solo un veloce riassunto parziale di un Festival che con i suoi film ha parlato essenzialmente di contrasti sociali, desideri e speranze, illusioni e soprattutto amore e come ha detto in un’intervista George Lucas, il “papà” di Guerre stellari, ospite di Brad Pitt nello splendido Chateau Miraval, 500 ettari, di cui 50 coltivati a rigoglioso vigneto, che fruttano milioni di bottiglie con un resort con 35 stanze per pochi eletti e una sala d’incisione con le migliori tecnologie utilizzate anche da Sting e dai Pink Floyd, dall’alto dei suoi spettacolari film, il cinema resta e sarà sempre lo specchio della vita. A lui stasera il Festival attribuirà una prestigiosa Palma d’oro alla carriera.