In esposizione a Roma la personale di Juan Carlos Ñañake Torres
C’era una volta un piccolo uomo, che proveniva dai territori costieri del Perù settentrionale, proprio al confine con l’Ecuador, dalla cittadina di Chiclayo, nella regione di Lambayeque. Era giunto da lontano portando sulle spalle il suo universo onirico, colmo di quei sogni che lo avevano attraversato nella sua terra, quando si rifugiava nel suo giardino interiore ad esplorare le piante, i fiori e i germogli del mondo antico. Juan Carlos Ñañake Torres viveva in un iperuranio incantato osservando miti riti simboli che riversava sulla tela semplicemente intingendo il pennello nel suo cosmo variopinto. Se qualcuno gli avesse chiesto di che colore fosse per lui la Madre Terra, quella che in lingua quechua preferiva chiamare Pachamama, egli avrebbe risposto «Ha tutti i colori della speranza, tutti i colori della pace e tutti i colori che gli vogliamo attribuire avendone cura».
E se siete curiosi di vedere le sue opere, i parti poetici della sua mente, potete ammirarli da lunedì 20 a martedì 28 maggio presso la deliziosa Galleria Arca di Noesis, via Ostilia, 3 b vicino al Colosseo a Roma, aperta a tutto il pubblico e agli intenditori con orario continuato dalle ore 11.00 alle 20.30.
Se vi addentrate nell’antro di questa galleria vi stupiranno le sue trenta opere, coloratissime, accattivanti, appassionanti, per la «sua tavolozza di colori freddi contrastati da accenti di colori vibranti» e vi guideranno in uno spazio magico situato a cavallo tra il tempo senza tempo delle origini e la nostra epoca contemporanea, in un incessante discorso serrato fatto di equilibrio e di armonia, tra linee e curve dinamiche e pennellate energiche, tra il rosso ardente del fuoco e le sfumature dell’azzurro, del blu e del celeste. Le sue tele rammentano anche «la pittura espressionista del primo Novecento europeo in una visione futurista» che qualcuno ha avvicinato alla concezione futurista di Mario Sironi, alle sue cupe riflessioni interiori, forse per le composizioni dai toni sgargianti e per l’inconfondibile cifra stilistica volumetrica.
Ñañake ha voluto incentrare la sua attenzione verso l’universo femminile, verso la forza tremenda che hanno le donne a partire dagli occhi, sia che si tratti di una guerriera, di una femminilità che celebra l’amicizia, la relazione di coppia, la passione degli amanti. È un femminile ancestrale quello che emerge nelle figure dai contorni geometrici, semplificati dal simbolo, dai gesti comuni di un passato arcaico, inciso nell’anima universale del popolo latino-americano.
In un dipinto fiammeggiante, le due donne immerse nel colore rosso sembra che escano dalla tela a raccontarci l’essenza della loro silenziosa “amistad”, della loro materna accoglienza, della bellezza avvolgente della loro pura sensualità.
E l’amore è declinato alla massima potenza: noi siamo soliti promettere all’amante di elevarlo verso le stelle, mentre il nostro artista rappresenta un amore che è talmente grande che può addirittura abbassare le stelle per la propria donna, non si solleva verso la volta celeste, la conduce verso di lei, la fa scendere nell’anima, la guida verso quell’equilibrio incessantemente ricercato da coloro che si amano e che si ritrova solo nello spazio del sacro.
E tali sembrano le immagini di Ñañake, figure estrapolate dall’universo sacro delle origini, che rammentano l’archetipo topico delle ierogamie (da ἱερὸς γάμος, hieròs gámos, nozze sacre): appaiono infatti come narrazioni del matrimonio fra due divinità principali che simboleggiano la fondazione di un ordine cosmico.
L’uomo con naturalezza si unisce all’aspetto femminile, totalmente immerso nella sua missione maschile che protegge e rispetta la sua dea, la sua sposa interiore, l’altra metà del suo regno. Il pennello morbido di Ñañake unisce le anime, favorisce il dialogo interculturale tra i popoli, tra gli spiriti affini, tra i poli maschile e femminile, tra le forze del cosmo. Il suo è un discorso di pace che si rivolge a noi tutti uomini del mondo contemporaneo annichiliti dai conflitti e dalle guerre, dai messaggi divisivi, dagli odi e dalle paure, dalla fretta e dalla perdita dei valori.
L’artista ristabilisce l’importanza dei valori, dell’essenza dell’essere umano intero, capace di portare con la sua presenza forte e risoluta, un messaggio di pace e amore.
La mostra è stata fortemente voluta dal Curatore Sylvia Irrazabal, che ha sempre utilizzato la divulgazione dell’arte contemporanea come ponte tra l’Europa e l’America Latina, impegnandosi a proporre il talento di artisti innovativi che abitassero oltre l’Atlantico, convinta che le molteplici espressioni dell’arte siano «uno degli strumenti più efficaci per il dialogo interculturale che unisce i popoli in uno spirito di pace e comprensione reciproca».
E in questa mostra Alma latina, la Irrazabal sostiene che nell’Autore «Forte e centrale è il suo messaggio sull’enigma femminino: una donna idealizzata, ieratica, emancipata protagonista della modernità e allo stesso tempo, donna archetipo. Un mondo di archetipi dove la figura femminile la fa da padrona e rappresenta un motivo costante nelle sue creazioni artistiche universali come in questa nella quale ci propone un insieme di opere dove la donna è la protagonista principale, che si nutre di miti e leggende, di storie profonde in una fusione tra il precolombiano ancestrale e il sociale contemporaneo».
E la donna è anche bambina, ancora capace di giocare col suo animale interiore, con il suo orso di pezza che simboleggia la sua stessa essenza, come nel bellissimo dipinto in cui una bimba dall’aspetto primigenio, contornata dai fiori, indossa la sua collana d’avorio, vestita dei colori della terra e circondata dalle tinte accoglienti e materne di una natura benevola.
È risaputo che il dipinto rappresenta il massimo simbolo di un popolo, il luogo immaginario dove tutti gli artisti creano un mondo nuovo, prolungando il tempo e accrescendo lo spazio concesso dalla realtà. Sotto il colore dello stesso sguardo intessono fili e accendono lumi, creando idee e visioni luminose e pitturando di colori vivaci il noioso trantran quotidiano. Ñañake, dal canto suo accoglie «il primitivo e il terrigeno come essenza duratura della contemporaneità in questa grandezza simbolica, perché ha costruito tutti i pilastri della sua opera con il predominio di grandi contrasti e come un viaggio nel profondo delle origini». Nelle sue opere palpitanti di etnicità, egli raccoglie tutta «la saggezza ancestrale del suo popolo e la plasma con l’argilla e le radici del suo essere immerso in tutti gli orizzonti» trasmutando questa essenza attraverso il variegato mosaico dei suoi colori e componendo il suo firmamento stellato carico di simboli «mitici, chimerici, onirici». Nascono in questo Big Bang i suoi volti idilliaci, eleganti e disinvolti, impressi nella carne dei secoli e dei millenni, a testimoniare che la bellezza degli antenati si infonde nelle tele per scardinare i meccanismi inutili della nostra insulta e ovvia modernità. Sono gli dèi che si ribellano e ci indicano una strada di risveglio ad una esistenza intensa pacifica e piena di armonia e poesia.
Perché «Contemplare l’opera del Maestro è entrare nella nascita dell’epifania aborigena, è l’accesso a un rito di immagini essenziali che sono i volti di una cultura che si trasforma sulla tela. Una visione che percorre i viaggi di un’anima, che decifra e si immerge nell’enigma di questo tempo verso la memoria visiva di un popolo che resiste nei suoi valori e ricchezze, in questo focoso universo estetico».
Egli è il messaggero tellurico della resistenza culturale del suo popolo che non tollera nessun tipo di sottomissione, infatti è tutta la cultura precolombiana ed in particolare l’eredità mochica che si erge rivoluzionaria nella sua opera contro lo schiavismo coloniale e l’annichilimento della propria sapienza ancestrale.
I dipinti di Ñañake sono presenti in Musei e collezioni private di mezzo mondo. In Perù come in Argentina, Spagna, Romania, Germania, Stati Uniti d’America, Giappone, Italia, Bolivia, Brasile, Panama, Canada, Inghilterra, Ecuador, Colombia. Ed egli è anche l’ideatore ed esecutore di grandi Murales come quello in Arte Concreta di 2000 mq sul Paseo Yortuque a Chiclayo.
Critico d’arte di questo evento è Alfio Borghese, organizzatrice e curatore della Mostra Sylvia Irrazabal .
Il Vernissage si è svolto lunedì 20 Maggio, alle ore 18.00, preannunciando un vero evento culturale nella Capitale alla presenza del Maestro Juan Carlos Ñañake il quale il 28 maggio prossimo si esibirà in un Live Performance Musicale con ospiti istituzionali, Vip, stampa. Nel corso della settimana sono previste Performance Artistiche aperte al pubblico.
Alma Latina – personale di Juan Carlos Ñañake – Galleria Arca Noesis di Roma dal 20 al 28 maggio 2024
Ingresso orario continuato: Dalle ore 11.00 alle 20.30.