Intervista a Carlo Valli, artista sempre!
Abbiamo intervistato Carlo Valli, noto attore e doppiatore, direttore di doppiaggio, dialoghista, in questi giorni in scena a Roma. Ha prestato la sua inconfondibile voce a celebri attori del panorama cinematografico internazionale. Nei cinema d’animazione, è noto per dato la sua voce a Robin Williams, ai personaggi di Rex nella saga di Toy Story, Horace Slughorn (Professor Orazio Lumacorno) nei film Harry Potter, Ghostface nella serie di Scream e il nano Balin nella trilogia Lo Hobbit. Artista dalla lunga carriera tra doppiaggio, cinema, tv e naturalmente teatro che resta per Carlo Valli prezioso, diretto da registi importanti.
In questi giorni è in scena insieme a Natalina Pina al Teatro Tor Bella Monaca con lo spettacolo Tabù, regia di Gianluigi Fogacci, da giovedì 18 a sabato 20 aprile. Un testo molto particolare, con una narrazione e linguaggio che possono suscitare riflessioni, pensieri, turbamenti. Il ruolo di Carlo Valli, una tensione che supera la realtà.
Scritto alla fine degli anni ’70, questo testo a due personaggi, rappresenta certamente “un unicum” nella letteratura di Nicola Manzari (drammaturgo, sceneggiatore, autore radiofonico, saggista e regista). Manzari, autore apprezzato per le sceneggiature dei film di genere che spaziavano dai film neorealisti, alle commedie (ebbe un sodalizio con Peppino De Filippo), fino ai polizieschi di quegli anni, fu molto amato anche per i testi teatrali particolarmente ambiti dalle compagnie “primattoriali” come quelle di Emma Grammatica, Marisa Merlini, Tino Buazzelli.
La commedia fu portata in scena dall’indimenticato Enrico Maria Salerno nel 1982, ne curò regia e interpretazione, insieme alla figlia Chiara ed ebbe grande successo. Come si concilia il tabù nella società attuale, nel mondo del web, nella vita frenetica di una società liquida con una comunicazione profondamente cambiata e nell’era dei social? Sicuramente il testo è ancora attuale, anzi alcuni temi sono oggi più che mai tabù in un momento storico-politico-sociale in cui le persone faticano ad esprimere sentimenti, umanità, amore e questo testo – come il teatro dovrebbe sempre fare – invita lo spettatore a riflettere sui lati oscuri e meno esplorati di noi stessi. Le nostre zone d’ombra. Le zone oscure nascoste in ognuno di noi.
Tabù rappresenta un salto di qualità per Manzari con un testo che per i suoi contenuti e il suo linguaggio fu considerato per quegli anni molto audace:
Un magistrato di età matura, irreprensibile, dedito alle responsabilità ed al suo lavoro, viene avvicinato da una donna giovanissima e avvenente che lo trascina in un manipolatorio e probabilmente tossico gioco di identità fino ad investirlo di una paternità per sostituire il proprio padre naturale scomparso anni prima, idealizzato ai limiti della patologia. Il protagonista viene risucchiato in questo gioco morboso fino a mettere in discussione tutte le sue certezze e a cambiare radicalmente vita, rinchiudendosi con lei in ménage fatto di tenerezza, tormenti e sensi di colpa, scoprendo sentimenti fino ad allora sconosciuti. Non vogliamo svelarvi l’epilogo: possiamo dire soltanto che sarà romantico e tragico allo stesso tempo, portando lo spettatore a riflettere ed a identificarsi in maniera profonda ed inquietante. Oggi probabilmente lo definiremmo un rapporto tossico, nel gioco delle parti.
Abbiamo raggiunto ed intervistato Carlo Valli:
Lei è un grande e rinomato attore e doppiatore, dialoghista e direttore di doppiaggio: ha prestato la sua voce a celebri interpreti del cinema internazionale ma anche il teatro è per lei prezioso, è stato diretto da grandi registi.
Parliamo dello spettacolo “Tabù”, un testo ed un linguaggio complesso, particolare. Nel 1982 venne rappresentato da Enrico Maria Salerno che ne ricoprì il complesso ruolo del protagonista, firmandone anche la regia. Come nasce la scelta del ruolo e perché lo ha sentito così fortemente?
Ho lavorato con Enrico Maria Salerno per parecchi anni, a partire da 1983, cioè l’anno successivo alla sua rappresentazione di “Tabù”, che però io non avevo visto. Sono stato in “Harvey”, “Otello”, “Il pensiero”, “Morte di un commesso viaggiatore”, ecc.
Di “Tabù” mi parlò molto sua figlia Chiara che aveva recitato con lui nello spettacolo. Infatti il testo prevede un personaggio maschile di una certa età e una ragazzina, e a quel tempo Chiara era appunto una giovane ragazza. Il testo mi aveva incuriosito.
L’anno scorso mi venne la voglia di metterlo in scena, e ne parlai con Gianluigi Fogacci – mio amico e collega molto bravo – che aveva già fatto alcune regie. Anche a lui è piaciuto.
Ne parlammo con Carlotta Proietti che dopo la morte del padre si occupa della Politeama, e che decise di produrlo.
Qual è l’idea comune dello spettacolo, il filo conduttore del testo?
Il testo, scritto da Nicola Manzari alla fine degli anni ‘70, racconta di un magistrato (dedito al suo lavoro, e con uno stile di vita pulito e integerrimo) che viene “adescato” da una ragazzina perché del tutto simile a suo padre, al quale lei era molto legata al limite della patologia e che era morto qualche mese prima. La vita del magistrato cambia del tutto. Anche lui si affeziona a lei, e vive questo ménage fatto di poesia, fantasia, tenerezza e sensi di colpa.
La cosa però crea naturalmente scandalo fra la magistratura e nella scuola della ragazza, fino ad un epilogo tragico e romantico.
Questa vicenda non a caso si chiama “tabu” richiamandosi al complesso di Edipo: che tipo di narrazione presenta e come coinvolge lo spettatore? E qual è l’occhio del regista, l’intesa artistica con il Gianluigi Fogacci?
Questa commedia, scritta molto tempo fa, è secondo me ancora attualissima. Lo spettatore viene coinvolto in un gioco di identificazione inquietante. Fogacci, il regista, è stato bravissimo a cogliere gli aspetti più importanti del testo e a metterli in scena con maestria. Lui ed io abbiamo lavorato spesso insieme in molti spettacoli e ci si intende benissimo, c’è grande intesa.