Chi controlla la spezia controlla l’universo

Dennis Villenueve auspica la fine delle ideologie che guidano e controllano da tempo immemore l’umanità portando a compimento un’impresa per anni ritenuta impossibile.

Dopo il tentativo fallito di Alejandro Jodorowsky e il deludente lavoro di David Lynch (non in piccola parte dovuto alle interferenze del produttore Dino De Laurentiis), Dune – Parte Due (2024) diretto da Dennis Villeneuve completa la trasposizione del romanzo di Frank Herbert iniziata nel 2021 con Dune, dandoci la sensazione di aver assistito per la prima volta a un degno adattamento del fortunatissimo romanzo di Frank Herbert.

(c) Warner Bros. Entertainment

La fotografia di Greg Fraiser, già valevole l’oscar per il primo film, ci riporta tra le dune del pianeta Arrakis, dove ritroviamo l’erede della casata Atreides, Paul (Timothée Chalamet), e la madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson), esattamente dove li avevamo lasciati, sopravvissuti al massacro ad opera della casa rivale Harkonnen, e in procinto di unirsi ai Fremen, il misterioso popolo del deserto. Un percorso tutt’altro che agevole per Paul, al centro di speculazioni su una profezia che predice la venuta di un salvatore su Arrakis.

Mentre il primo film preparava soltanto la scacchiera per gli eventi futuri, presentandoci un universo regolato da un sistema feudale che poggia le sue fondamenta sulla produzione della preziosa spezia, è la seconda pellicola ad entrare nel vivo, portando a galla i nodi tematici sviluppati da Herbert. Laddove già il romanzo aveva al suo nucleo il tema ecologico, la situazione geopolitica degli anni Sessanta, la figura messianica e i rischi del fanatismo religioso, Villeneuve aggiorna il discorso alla nostra epoca denunciando gli atteggiamenti ideologici che hanno dominato la storia dell’umanità fino ai giorni nostri.

Primo fra tutti il colonialismo, pratica mirata all’invasione di un paese per l’appropriazione e lo sfruttamento delle relative risorse. Arrakis e i Fremen, invasi e colonizzati per l’estrazione della “sostanza più importante dell’universo”, rappresenta oggi la perfetta metafora dell’invasione americana in Iraq avvenuta vent’anni fa per il controllo della sostanza più importante del nostro mondo.

Ma non è solo una questione di concetti. La dimensione visiva assume ruolo attivo nella costruzione di un significato nelle sorprendenti immagini in bianco e nero degli esterni del pianeta Giedi Prime. I due colori fortemente contrastati comunicano la concezione e la visione del mondo della cultura Harkonnen, elementare, primitiva, spietata e senza compromessi, rimandando chiaramente, nella marcia finale delle forze armate della casata, alle immagini da cinegiornale dell’esercito del Terzo Reich che sfila per le strade della Germania.

La rivalità con gli Atreides, esasperata dalla contesa per il controllo di Arrakis, rievoca gli anni del bipolarismo e della Guerra fredda, con la presenza di arsenali atomici a disposizione di ognuna delle grandi case chiaramente figlio della corsa agli armamenti. La minaccia di Paul di bombardare le riserve di spezia con le armi atomiche della propria famiglia (trasportate sul pianeta col loro trasferimento), per costringere alla ritirata le flotte delle grandi case, sembra ricordare più precisamente la crisi dei missili di Cuba del 1962 ma si tratta anche di una situazione tornata attuale e apparentemente sempre più probabile ai nostri giorni.

Già menzionato il ruolo centrale giocato nel film dal tema della potenza e i pericoli del fondamentalismo religioso, una fede così profonda da consentire l’assoggettamento di un’intera popolazione e spesso instillata proprio con questo scopo. Esattamente l’intenzione dietro l’introduzione della profezia del Lisan al Gaib da parte della sorellanza Bene Gesserit, per asserire un giorno il proprio controllo sul popolo Fremen. La strategia si rivela però un’arma a doppio taglio, rischiando di alimentare un fanatismo capace di scatenare una jihad.

Il percorso verso l’adempimento della predizione vede in Paul un messia restio ad accettare il proprio destino di leader profetizzato dei Fremen e di imperatore dell’universo, perché consapevole, grazie alla preveggenza, del rischio di provocare così facendo una guerra santa capace di distruggere l’universo. In maniera inedita, però, il film non vede Paul accettare con rassegnazione il proprio ruolo e il proprio destino con la speranza di riuscire a cambiare il futuro previsto nel suo farsi, ma piuttosto spinto da una madre e una sorella non ancora nata guidate dall’ambizione, delle vere e proprie Lady Macbeth. In Jessica infatti risiede la maggiore alimentatrice della profezia del salvatore dei Fremen per garantire il potere al figlio, bilanciata da una figura a lei speculare. Chani (Zendaya), lungi dall’essere il fedele sostegno di Paul in tutte le scelte compiute dal suo innamorato, come presentato dal romanzo, rifiuta qui di accettare le convinzioni religiose più fanatiche del suo popolo, apparentemente unica consapevole di come siano state impiantate quale strumento di controllo, e mette apertamente in discussione le decisioni di Paul, sfidando le convenzioni ideologiche e politiche che dominano il loro (e il nostro) mondo.

In conclusione del film assistiamo alla fine di un antiquato patriarcato, incarnato dall’anziano e stanco imperatore Shaddam IV (Christopher Walken), costretto a cedere il proprio potere, ormai incapace di mantenere il controllo del suo impero senza il supporto delle Bene Gesserit e da esse manipolato. Potere usurpato da Paul, a sua volta insicuro sulle motivazioni per cui assumerlo. L’unico suggerimento utile arriva proprio dall’ormai ex-imperatore che gli ricorda il modo di comandare utilizzato dal padre, il defunto Duca Leto: regnare coi sentimenti. L’unica possibilità di guidare un popolo in maniera equa, evitando di scatenare guerre, conflitti e sofferenza. D’altronde, come la Reverenda Madre Gaius Helen Mohiam (Charlotte Rampling) apostrofa Lady Jessica, in un conflitto “non ci sono parti”. Non c’è giusto o sbagliato, vincitore o vinto. La guerra è una sconfitta per tutti, con un costo di vite umane. Considerazioni che risuonano oggi più che mai mentre assistiamo all’aggravarsi della situazione palestinese.

Dando forma al mondo e all’ecosistema nati dalla mente di Herbert, lo spettacolo visivo di Dune rappresenta quanto di meglio le gargantuesche produzioni hollywoodiane possano raggiungere quando messe a disposizione di un regista con una chiara visione (senza subire interferenze di sorta) e adeguati tempi di lavorazione, trasformando quello che era un tempo considerato un’opera infilmabile in un colossal da cui sarà senza dubbio cura di Hollywood far germinare un franchise da mungere fino all’ultimo centesimo.

(c) Warner Bros. Entertainment

Il successo del film è già realtà, con critica e pubblico concordanti e incassi stratosferici. La speranza è ora quella di ricevere il promesso terzo capitolo e assistere alla conclusione dell’epopea di Paul Atreides.

Dune – Parte due di Dennis Villeneuve – Con Timothée Chalamet, Zendaya, Rebecca Ferguson, Josh Brolin, Austin Butler, Florence Pugh, Dave Bautista, Christopher Walken, Léa Seydoux, Stellan Skarsgård, Charlotte Rampling, Javier Bardem – Anno 2024