Grottesco e crudeltà in salsa pop

Uno smontaggio brechtiano di Pirandello

Non è facile oggi mettere in scena Pirandello, dopo tanta tradizione, e scegliere tra il fuoco del delirio ragionato dei sentimenti, ed il lato teatrale intellettuale, di implicita critica e smontaggio della macchina scenica. 

A maggior ragione con il suo testo più famoso Sei personaggi in cerca d’autore (1921), in scena a Roma in questi giorni (Sala Umberto, 27.2-10.3.2024) ad opera di Michele Sinisi. 

Un testo, i ‘Sei personaggi’ che del duello tra ragione sentimento realtà e finzione fa un fuoco d’artificio barocco di giochi di specchi, aprendo il ciclo della cosiddetta trilogia, i cui testi a seguire tuttavia – Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1928) – non hanno lo stesso grado di felice fusione tra tragedia e discorso. 

All’apparenza Sinisi opta per un teatro di idee, depotenziando l’aspetto tragico narrativo, naturalistico immedesimativo, che nel testo ha il suo climax nell’irrompere in scena, tragicamente, della prosecuzione della realtà, o meglio di un iper incarnarsi della fantasia in realtà, fino al culmine irrapresentabile della morte.

Il plot è noto, ma diamone breve nota. Il protagonista è un padre di famiglia che, dopo un primo figlio lascia libera la moglie di andarsene con un altro, da cui avrà tre figli, e di cui poi sarà vedova. Il padre ritorna allora, ma come un estraneo per tutti, figli e figliastri, e il culmine dell’avversione scatta quando rischia di andare a letto con la figliastra nella casa d’appuntamenti di Madama Pace, per cui la madre, ignara, fa lavori di cucito. 

Ma chi sono costoro ? Non persone vere, ma personaggi abortiti della mente dello scrittore, che reclamano vita propria in scena. E tanto la ottengono che i due figli più piccoli, assistendo al gioco delle rivelazioni, non reggono, e si uccidono, prima la bimba, annegando, e poi il piccolo sparandosi fuori scena.

Sembra il cielo di carta del FU Mattia Pascal, che strappato rivela il nulla.

Ma è la realtà che strappa la fantasia, facendola vivere, o la fantasia che è più reale del reale, ne è la realtà sotterranea ? In Pirandello però il duello per recitarsi al posto degli attori, e la guerra dei punti di vista, si fanno sempre più incalzanti, fino al climax espressionistico.

Non così con Sinisi, che continuamente frena e smonta, io credo anche avvalendosi dell’innesto – in filigrana – del portato dell’altro testo della trilogia

Questa sera si recita a soggetto.

Si tratta infatti, in quello, di una discussione tra regista pubblico e attori, che continuamente interrompe la rappresentazione, e che ha come argomento la contrapposizione tra gli attori che vorrebbero privilegiare il sentimento, ed il regista che vuole spezzettare tutto in quadri formali.

Sinisi, con una continua operazione meta teatrale, è infatti in scena anche come attore. Interpreta il regista, che corregge attori e capocomico. Non si rischia così più che ci si possa immedesimare nel conflitto tra attori superficiali ed intensità autorappresentativa dei personaggi (parteggiando ovviamente per i personaggi). E’ un pezzo del resto che Sinisi quasi toglie.

Gli attori rimangono sgangherati, comici e marginali, quasi surreali.

Uno sfigato e logorroico fa il comico sempre stonato, mentre un altro all’inizio sta seduto con in grembo una surreale scarpa gigante (di cui poi vedremo il senso). Poi arriveranno un brontolone capocomico, e la prima attrice, isterica, insofferente, caricaturale.

Il tutto avviene anche in una atmosfera scenica sgangherata, a luci quasi sempre accese ( e quando sarà buio risalterà), per evitare l’effetto ipnotico sentimentale, con poche sedie metalliche sparse, e sullo sfondo a destra un maxischermo da computer, che continuamente proietta cose, talvolta in analogia metaforica, talvolta divergenti, ma comunque con un effetto di perenne ‘distrazione’, con effetto derealizzante sul contesto.

E se non bastasse questo ad evocare il verfremdungs effect brechtiano, la tecnica dello straniamento che non nega del tutto l’attore naturalistico stanislavskiano, ma che esige un continuo dentro e fuori, che porti dalla catarsi alla riflessione; se non bastasse, a confermarlo c’è il reduplicarsi sullo schermo delle parole del padre, che ricorda i cartelli didascalici delle scene brechtiane. Come a dire che non ci si cada emotivamente, ma le si analizzino, allontanate nel silenzio.

Per quanto riguarda personaggi e sentimenti Sinisi riduce sinteticamente al conflitto padre figliastra: lui pacato e confessionale, lei isterico aggressiva.

La madre ed il suo dolore sono apparentemente marginalizzati. Non sembra partecipare al gioco dei punti di vista. In realtà, come per la morte dei figli, e come poi per il rischio di incesto nel bordello di Madama Pace, l’idea è quella della irrappresentabilità. E quindi, o si sceglie di slittare nei registri del grottesco pop e del surreale (spesso con sdoppiamenti), oppure, come nella bomba finale, si slitta nell’iper realismo orror, come nel giornalismo vampiristico sentimentale.

Di cosa sto parlando ? Andiamo con ordine.

La madre. Quando all’inizio l’attrice giovane tenta di dar vita al suo dolore il personaggio regista, Sinisi, la interrompe. E’ troppo giovane per interpretare naturalisticamente l’anziana madre. Meglio che usi il registro formale. E glielo mima. 

Cioè ?

Un risuonatore fisso, sovracuto. Diventa così una maschera grottesca, seduta, braccia al petto, madonna del dolore che interloquisce comicamente in falsetto nel racconto del padre, mentre dietro proiettano American gothic, quadro iper realista americano su due semplici contadini (una critica all’ottusità dei protagonisti?). Non si può però ridurre il dolore materno a pura caricatura. Ma come nominarlo ? Torna alla fine come minaccia emotiva per il pubblico, riuscendo a traumatizzarlo e scandalizzarlo. Volete sentire urla registrate di tipi di dolore materno ? Il pubblico protesta, e viene risparmiato. Ma lo scandalo pirandelliano è riattivato.

Per quanto riguarda il vissuto della figliastra nel bordello, anche quello indicibile, si va dal gestuale allo sdoppiamento iconico, al surreal fiabesco.

Mentre il padre si giustifica dei propri istinti animaleschi, lo schermo proietta un gorilla, e ci si appoggia un attore indifferente, che mangia una banana.

Poi, allo sdoppiamento della coscienza segue l’urlo muto gestuale, con lei che compare in veste bianca, battendosi il ventre e insanguinandolo, la bocca dilatata a maschera fissa della disperazione.

Ed infine – dopo un intermezzo sado grottesco di un attore che si frusta e masturba, fine a denudarsi il sesso (proiezione del lato bestiale del bordello) – infine la minaccia giganteggia, surreal fiabesca, come a violentare la purezza bambina di lei.

Due gambe burattinesche giganti, alte fino al soffitto, e dietro altre due, maschili, a cui l’attore in scena strappa i pantaloni, e che si addossano con minaccia sessuale alle prime. Poi un urlo interrompe, “E’ mia figlia!”

Era forse questa la scena a cui alludeva all’inizio la scarpa gigante in braccio all’attore ?

E Madama Pace? 

E’ poco interessante, e anche Pirandello la marginalizza. E’ la banalità del male. Qui dunque, come già col masturbante e col gorilla, si va decisamente e volutamente sul trash pop, e sull’avanspettacolo.

Così, se all’inizio compare sullo schermo la controfigura della strega del mare (cartoon ‘La sirenetta’), spunterà poi, in un intervallo a sipario chiuso, dorata contro le tende rosse, a cantare in proscenio, in spagnolo, una canzone che mischia la melodia della strega del mare e le note di Cabaret, di Liza Minnelli. 

E’ il lato materialistico volgare popolare.

Tra l’altro questa pausa sembra una provocazione programmata, una risposta al pubblico. Prima infatti il regista lo aveva interpellato, per raccoglierne le lamentele (scene volgari con minori in sala). Lamentele reali, non una finzione scenica.

E quindi? 

Uno spettacolo che interroga. 

E lo si sente nelle reazioni del pubblico. C’è chi applaude. Chi ride. Chi brontola. Chi deluso dalla non letteralità della messinscena. Chi scandalizzato come nei vecchi teatri borghesi. Chi turbato dalla minaccia dell’invasione emotiva dell’urlo registrato.

Forse molti sentono il vuoto del mancato gorgo emotivo.

Difficile dire. Uno spettacolo comunque intelligente, anche se forse talvolta un po’ slegato nel ritmo. E ovviamente, bravi tutti gli attori.

Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello – regia – Michele Sinisi – con Stefano Braschi, Marco Cacciola, Gianni D’Addario, Sara Drago, Marisa Grimaldo, Marco Ripoldi, Stefania Medri, Donato Paternoster, Michele Sinisi, Adele Tirante, Nicolò Valandro – drammaturgia – Francesco M. Asselta, Michele Sinisi – scene – Federico Biancalani – assistente alle scene – Elisa Zammarchi – direzione Tecnica – Gabriele Repetto – aiuto Regia In Scena – Nicolò Valandro – foto – Luca Del Pia – Coproduzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale – Viola Produzioni Centro di Produzione Teatrale – Sala Umberto dal 27 febbraio al 10 marzo 2024