Prosegue la rassegna continentale con un occhio attento alle storie di guerra e di pace (invocata)
A pochi chilometri da Berlino, il circo mediatico che segue la 74° Berlinale, riscopre complice anche una giornata di sole, i grandi studi cinematografici di Babelsberg all’interno della cittadina di Potsdam sede del museo del cinema dove è custodita la storia del secondo più antico studio cinematografico del mondo, fondato nel 1911. Gli stessi che hanno visto nascere talenti come Marlene Dietrich e registi come Fritz Lang e Billy Wilder tutti fuggiti dalle persecuzioni naziste. Wilder dopo Marlene Dietrich ritornò a Berlino dopo la guerra finalmente liberata dal muro della guerra fredda e fu invitato negli studi che videro i suoi inizi come regista vincitore di ben 7 premi Oscar.
E alla Berlinale si parla proprio di Oscar e di film in concorso, come La zona d’interesse, lo sconvolgente film di Jonathan Glazer sull’Olocausto, candidato a ben 5 nomination interamente girato in esterni a ridosso del famigerato campo di sterminio di Auschwitz, “il film più importante del secolo” per il regista premio Oscar Alfonso Cuaron, che ha già vinto il Gran Prix della giuria al Festival di Cannes e due premi ai London Film Critics Circle Awards lo scorso anno.
Presentato alla Festa del cinema di Roma in ottobre, il film di Glazer racconta la storia vera ispirata all’omonimo romanzo di Martin Amis, dove in una ridente villetta separata da un piccolo muro dal lager, viveva con la sua famiglia il comandante del campo di concentramento degli orrori Rudolf Hess che verrà poi condannato all’ergastolo nel 1946 a conclusione del processo di Norimberga e nel 1987 all’età di 93 anni fu trovato morto per impiccagione, ufficialmente suicida.
In concorso è stato presentato anche il primo dei due film italiani Another end di Piero Messina, interpretato da Gael Garcia Bernal e Berenice Bejo che ha dichiarato di utilizzare l’amore, per osservare il nostro futuro.
Un futuro quello del film di Messina in cui la moderna tecnologia, permette di impiantare la memoria di chi se ne è andato, nel corpo di qualcun altro, alleviando se pur per poco tempo il dolore del distacco e che riserva alla fine del film, un inaspettato colpo di scena ingigantito come in un romanzo di Asimov da una regia accorta attenta a non perdere di vista il pathos in una messa in scena ai limiti dell’estetismo per una storia profondamente romantica.
Tutta diversa invece la storia di Shikun, altra pellicola in concorso diretto dal pluripremiato regista israeliano Amos Gitai, ispirato al Rinoceronte di Ionesco, una parabola rabbiosa e sardonica sull’ascesa del fascismo. Un’amara farsa che parla anche al mondo in fiamme di oggi, un film scritto prima del brutale attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre e della successiva invasione di Gaza che racconta l’emergere dell’intolleranza e del pensiero totalitario attraverso una serie di episodi quotidiani che si svolgono in Israele. «Ma ora basta» ha detto il regista israeliano, «è giunto il momento di parlare di pace». Shikun in ebraico significa “case popolari” la parola deriva dal verbo riparare, dare rifugio.
«La Germania è stata distrutta dal nazismo e ricostruita dagli alleati», ha detto Gitai in una lunga intervista a Tonia Mastrobuoni corrispondente da Berlino per La Repubblica, «ora in Israele il tempo delle uccisioni è stato gia abbastanza lungo, dobbiamo trovare una soluzione per vivere in pace con i palestinesi».
Intanto a Berlino sono arrivati i fratelli D’Innocenzo con Filippo Timi, protagonista della serie Sky Dostoevskij che tornano alla Berlinale dove erano stati nel 2018 con il film opera prima La terra dell’abbondanza. Timi interpreta il ruolo di un detective impegnato nella caccia a un serial killer sadico, filosofo e sfuggente che si fa chiamare Dostoevskij.
Fra le star femminili sul red carpet e sullo schermo e’ arrivata Kristen Stewart protagonista nella sezione “Special” del noir sentimentale Love lies bleeding, storia di un’insegnante di ginnastica che si innamora di una culturista, un viaggio emozionante dall’inizio alla fine, con il tema ricorrente dell’ossessione per il corpo e il rapporto della protagonista con il padre interpretato da Ed Harris, ma il film ha tenuto a precisare la Stewart, non è solo una storia basata sulla sessualità dei protagonisti.
Foto di copertina: Irène Jacob protagonista di Sikhun