Luca Guerini trasloca la Locandiera in un centro massaggi
La più famosa opera di Carlo Goldoni, nel corso di circa tre secoli (è del 1753), è stata adattata, riadattata, rinnovata, rivoluzionata, violentata, e forse qualcuno ha avuto anche l’impudenza di maltrattarla. Fu sempre lui, il solito Luchino Visconti, nel 1952 a togliere definitivamente alla Locandiera quella patina di manierismo ottocentesco dove s’era incrostata per duecento anni. Ispiratosi ai colori piatti, senza ombre, di Morandi, con un colpo di spugna cancellò i ridicoli salottini dorati e le pulciose parrucche stoppose, regalando moderna dignità all’antica nobiltà e rendendo marchesi, conti e camerieri uomini egualmente e democraticamente eleganti, privi di ogni finzione ridicola e mossettine inverosimili alle quali era difficile credere. Dopo di lui anche Strehler seguì la stessa direzione mettendo in scena la Trilogia della Villeggiatura.
Da allora non si è mai più tornati indietro. Ogni rappresentazione goldoniana ha sempre mantenuto un’impronta stilistica che affonda le radici nel Novecento. Verso la fine dei pericolosi anni Sessanta alcune sperimentazioni furono fatte anche a danno di Mirandolina, di Don Marzio, di Lunardo e altri protagonisti dell’opera del maggior commediografo italiano.
Probabilmente anche quest’ennesimo adattamento della Locandiera di Luca Guerini andrebbe interpretato come una sperimentazione. Perfino il titolo è stato modificato prendendo i nomi dei quattro personaggi sopravvissuti alla stesura del nuovo copione: Il «Mirandolina», il Cavaliere, il Marchese, Il Conte. Dall’articolo maschile già si dovrebbe intuire la trasformazione: la locandiera non è più una donna, ma un uomo (Alessandro Fuligna), il luogo dove si svolge la vicenda non è più una locanda, ma un centro estetico dove si incontrano un marchese (Vincenzo Filice), un conte (Marco Berti) e un cavaliere (Gabriele Bagnoli).
Luca Guerini, a cui non manca nulla della persona perbene (ci tengo a sottolinearlo), trova anche l’accortezza di far scrivere sul manifesto che «lo spettacolo contiene scene di nudo integrale non volgare». Siamo abituati ormai a ogni stranezza in scena, e il nudo integrale è diventato (purtroppo) quasi una normalità. Anche i personaggi femminili interpretati da uomini (e viceversa) sono all’ordine del giorno: proprio l’altra sera un ragazzo di nome Claudio sul palco era diventato Pupa, la settimana prossima Otello sarà donna, insomma, ormai è talmente tanta l’abitudine allo scambio dei generi, che quando mi guardo allo specchio resto tra il sospettoso e il sorpreso!
Non è più il nudo integrale ad attirare l’attenzione, e non è nemmeno Mirandolina con i pantaloni. È piuttosto il tipo di pantaloni che segna la matrice di questo spettacolo, che resta un’idea non sviluppata, perché affatto adornata. La Locandiera, così come la scrisse Goldoni, è una commedia in cui si parla solo di danaro, di interessi, e quasi mai si accenna alle autentiche affettuose debolezze umane. Ella stessa finge sensualità senza mai portare avanti il sopravvento dei sensi. Il gioco della seduzione c’è, ma è finto più che mai. Mirandolina adopera l’arma della femminilità non per accalappiare l’uomo sentimentalmente o sessualmente, ma per imporsi su di lui. È solo un intrigo di potere che lei esercita nella sua locanda. Ecco perché in questa commedia abiti e costumi sono fondamentali: non per stabilire se la protagonista sia uomo o donna, ma per mostrare che il Marchese è un nobile decaduto e il Conte è un arricchito; il Marchese ha un pantalone rattoppato e liso mentre il secondo ha un vestito impeccabile. Portando sulla scena personaggi in mutande, o anche senza, significa volergli togliere l’identità e ogni traccia del loro passato. Idem per il cavaliere.
Un discorso diverso merita il Mirandolina: come si può corteggiare un ragazzo che, proprio per come è vestito, non ha nulla di affascinante? Mirandolina, versione originale, non è bella, ma ha fascino da vendere. Qui invece lo vediamo in T-shirt bianca, slabbrata e impataccata, pantaloni della tuta grigi sbrindellati e sciatti, scarpe da ginnastica sudice, capelli disordinati: un personaggio deve essere curato nei minimi dettagli per rendere credibile il suo valore. E il Mirandolina, così come si presenta al pubblico, non è un personaggio, ma un qualunque giovane che s’incontra per via, alla fermata dell’autobus mentre torna a casa dalla partita di calcetto.
Se il regista ha pensato a un centro per massaggi, soprattutto colui che gestisce deve avere un abbigliamento impeccabile e appetibile, altrimenti non stuzzica alcuna fantasia. E a teatro si crede soltanto con la fantasia. Diciamoci la verità, caro Guerini: una donna non si sarebbe mai vestita così male per giocare a sedurre.
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Il «Mirandolina», il Cavaliere, il Marchese, Il Conte (dalla Locandiera di Carlo Goldoni), adattamento originale e regia di Luca Guerini. Con Alessandro Fuligna, Vincenzo Filice, Marco Berti, Gabriele Bagnoli. Al Teatro Betti, il 3 febbraio
Foto di copertina: Vincenzo Filice e Alessandro Fuligna Foto © Luca Guerini