Intanto Cutaia e Macchi declinano l’invito del Campidoglio: per ora un uomo solo al comando!
L’ultima dichiarazione di Francesco Siciliano, presidente della Fondazione Teatro di Roma, lascia intendere che il clima in Via dei Barbieri si stia rasserenando e che tutte le proteste e le minacce dei giorni scorsi stiano raggiungendo il giusto epilogo: «L’approvazione del bilancio – ha detto – mette fine a una fase difficile e aspra. Grazie all’accordo raggiunto tra i soci della Fondazione e al percorso di modifica dello statuto si arriverà a una nuova governance operativa con la nomina di un direttore generale con uno spiccato profilo manageriale, accanto a quella del direttore artistico». Una nave, quindi, guidata da due ammiragli. Ipotesi che non era nelle previsioni dell’ancora giovanissima Fondazione del Teatro di Roma che, da quando è andata via Giovanna Marinelli, non fa altro che raccogliere brutte figure.
Era il 28 dicembre 2022, quando l’assemblea dei soci annunciò la trasformazione dell’associazione in fondazione, con relativo adeguamento dello statuto al fine di rafforzare il ruolo nazionale del teatro, proclamando l’avvicendamento nella gestione commissariale dell’avvocato Gianluca Sole che passava il timone alla dottoressa Marinelli, rimasta poi in carica fino al luglio scorso. Da allora l’equilibrio gestionale, faticosamente raggiunto dopo due anni di vigilanza amministrativa, ha subito più di uno scossone. Nominati (d’intesa tra i soci di Roma Capitale, Regione Lazio, e Ministero della Cultura) i tre membri del Cda, s’è dovuto immediatamente rimettere mano allo statuto perché «distrattamente» qualcuno s’era dimenticato di inserire le quote rosa: così, da tre elementi previsti, s’è fatto posto ad altre due poltrone che hanno accolto, insieme a Francesco Siciliano (presidente della Fondazione), Danilo Del Gaizo (vicepresidente) e Marco Prosperini, le signore Natalia Di Iorio e Daniela Traldi Caputo.
Soltanto risalendo ai diretti designatori della triade originale si può interpretare meglio il comportamento «egoistico» dei singoli e i motivi che hanno impedito ai tre di abbandonare la poltrona per cederla a un rappresentante del gentil sesso ed evitare, quindi, che la distrazione arrecasse un ritardo di ben quattro mesi per la nomina del Direttore generale. Francesco Siciliano, proposto da Roma Capitale (sostenitore economico di maggioranza della Fondazione), non avrebbe mai potuto lasciare l’incarico appena ottenuto, idem per l’avvocato Del Gaizo, designato dal presidente della Regione Lazio, e lo stesso vale per Prosperini, insospettabile alfiere del ministero. Se ognuno dei tre enti è riuscito a piazzare nel Cda del Teatro di Roma un proprio tentacolo, è ovvio che nessuno lo abbia ritirato a vantaggio di un altro. Le buone maniere cavalleresche non fanno parte della politica, si sa!
Il 20 gennaio scorso il nome di Luca De Fusco è venuto fuori da una votazione a cui è seguita una squallida querelle cominciata col fuoco di paglia di una conferenza stampa improvvisata dal contrariato presidente della Ftr, e proseguita con le proteste e le dichiarazioni inopportune che non fanno mai onore né al teatro e nemmeno ai teatranti. Noi le lasciamo in bocca ai politici – anche se non possiamo dimenticare che molti attori (pure noti) si sono uniti al coro dei dissensi – ricordando che l’assessore Manuel Gotor ha detto: «È avvenuto un fatto molto grave: i consiglieri d’amministrazione hanno proceduto alla nomina del direttore senza che fossero presenti il presidente del Cda della Fondazione, Francesco Siciliano, e la consigliera designata dal Comune, Natalia Di Iorio. Questo incontro è, nei fatti, abusivo. È evidente che è in corso un tentativo di occupazione da parte della destra di una fondamentale realtà del sistema culturale romano e italiano che denunciamo e a cui ci opporremo con tutte le nostre forze». Poco dopo il sindaco Roberto Gualtieri ha così incalzato: «Dalla destra arriva un inquietante segnale che deve suonare da allarme per quelli che hanno a cuore il pluralismo e il senso delle istituzioni. La Fondazione Teatro di Roma è sostenuta finanziariamente perlopiù dal Campidoglio, e non possiamo in alcun modo accettare che le scelte più importanti, a partire dalla nomina del suo direttore, vengano assunte con la forza, imponendo nomi e strategie dai soli consiglieri nominati da governo e Regione Lazio».
Francesco Siciliano aveva già anticipato tutto questo alla stampa: chiaro segno che le parole dette in conferenza probabilmente gli erano state suggerite dal Campidoglio. Anzi, lui aveva ripetuto con precisione le cifre di partecipazione del Comune rispetto a quelle della Regione. Peccato che tutte queste chiacchiere spiacevoli abbiano soltanto alimentato i malumori di quel gruppo di artisti che s’erano dati appuntamento davanti al teatro per strappare a De Fusco quella fascia di capitano che una regolare votazione gli aveva consegnato.
Poi, sempre parlando di numeri, il presidente ha aggiunto: «Quel che è ancora più grave è che sembrerebbe si stia ipotizzando un contratto con De Fusco di cinque anni con 150 mila euro di compenso (regie escluse). Una decisione esorbitante rispetto ad una normale progettualità di qualunque teatro e, per di più, risulterebbe sproporzionata rispetto a qualunque limite di ragionevolezza».
Il Comune «democraticamente», nei giorni scorsi, aveva anche fatto sapere che, qualora non ci fosse la possibilità di modificare lo statuto, si sarebbe valutato il diritto di recesso di Roma Capitale dalla Fondazione Teatro di Roma o avviare l’iter prodromico allo scioglimento della stessa. È davvero questa l’opzione più pacata, elegante e ragionevole che il Comune sapesse trovare per raggiungere un accordo in armonia? Mah! Nelle ultime ore, comunque, Siciliano è impegnato sul doppio fronte: da una parte come trait-d’union tra Campidoglio, Pisana e Collegio Romano, dall’altra come imbonitore di una folla che s’assiepa ancora davanti all’Argentina chiedendo giustizia, o quel che sembra! Al momento sia Onofrio Cutaia (commissario al Maggio Fiorentino) che Paola Macchi (direttrice amministrativa del Festival di Spoleto), interpellati dal Comune per ricoprire la carica manageriale al fianco di Luca De Fusco, forte di un contratto quinquennale, hanno declinato l’invito. Per ora, dunque, ancora un uomo solo al comando, ma la gara non è ancora finita.
La chiarezza al giorno d’oggi va onorata e noi siamo qui per onorarla. E quindi ci permettiamo di far notare che, per quanti capricci si possano fare, l’ennesimo intervento a uno statuto che non trova pace non appare come «la scelta della forma migliore – parole di Siciliano – per la gestione e la vita di un organismo complesso come è il Teatro di Roma». Agire sullo statuto per la seconda volta in pochi mesi è segno evidente di fragilità dell’ente e, vieppiù, d’incapacità di chi gestisce la Fondazione. E non mi sento di puntare il dito soltanto su Siciliano! Inoltre – non c’è nemmeno bisogno di far troppi conteggi – due stipendi a due direttori (uno artistico e l’altro amministrativo) andranno ad incidere sul bilancio in maniera molto più consistente «rispetto a una normale progettualità di qualunque teatro e, per di più, risulterebbe sproporzionata rispetto a qualunque limite di ragionevolezza». Sono le parole che il presidente ha usato quando si paventava un solo stipendio. Ora ce ne sono due, ma pare che tutto vada per il meglio!
Se queste sono le prerogative, se si comincia a sperperare denari solo per accontentare i capricci di qualcuno, come si fa con un bimbo viziato che non accetta la sconfitta, lo spettro di un nuovo commissariamento potrebbe non essere lontano.
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Foto di copertina: Enzo Siciliano Foto © Luciano Di Bacco