Arte e Naming: il percorso di Sangy

Artista e Naming Specialist: l’intervista a Maurizio Sangineto, in arte Sangy, dagli inizi della sua lunga carriera ai nuovi progetti futuri.

Il suo ultimo progetto artistico, presentato in anteprima qualche mese fa a Sarnico (BG) sul lago d’Iseo, verrà raccolto e raccontato in un docu-film in uscita a maggio: Christo ri-velato rappresenta la sintesi della lunga carriera di Maurizio Sangineto. Un percorso poliedrico fatto di musica, ricerca, sperimentazioni, scoperte: la costante è l’importanza assoluta data al nome, la vera opera d’arte. Nominare significare dare esistenza, creare arte, forgiare una realtà e il suo avvenire, esserci nel mondo. Questa è la chiave di lettura per comprendere e conoscere l’attività dell’artista vicentino, dagli inizi fino al suo presente. 

Partiamo dai tuoi inizi: la musica. Ci racconti i primi passi del tuo lungo percorso? Come hai iniziato?

Ho avuto la fortuna di avere un padre pittore-musicista-chitarrista che mi ha trasferito quel DNA. La musica la devi avere nel sangue, è una questione di genetica. Poi lo studio e l’applicazione portano il talento istintivo ad una professione, come nel mio caso. A vent’anni, dopo la classica gavetta in provincia, ho fatto il grande salto trasferendomi a Milano dove ho iniziato a collaborare con artisti allora affermati come Alberto Radius (chitarrista di Lucio Battisti) e Lucio Fabbri (PFM e produttore, in tempi recenti, dei Maneskin), miei primi sostenitori. Di lì a poco sono stato ingaggiato come primo chitarrista dell’allora esordiente Gianna Nannini. Queste esperienze mi hanno aperto infinite strade. Ho composto musiche per film, diverse sigle per la RAI come quella per le Olimpiadi di Los Angeles, ma soprattutto ho dato vita a molti progetti discografici che hanno fatto la storia della dance music internazionale. Tra questi, le collaborazioni con Amanda Lear, The Creatures, i Passengers, The Armed Gang e soprattutto i Firefly.

Hai alle spalle anni di attività, tra le più diverse, come ti sei avvicinato all’arte?

Il primo contatto con l’arte intesa come espressione visiva l’ho avuto quasi involontariamente nei primissimi anni ’80. Al tempo la mia musica era suonata nelle discoteche di New York, come il Paradise Garage, dove i grandi della Pop Art, come Warhol e soprattutto Keith Haring erano di casa. Qui l’inno “ufficiale” era una mia composizione “Love is gonna be on your side” sotto il brand Firefly. Alcune delle opere più iconiche di Keith, quelle che mostrano il cuore con figure che si muovono a tempo di ritmo, sono ispirate a questo mio brano. Nella New York di quegli anni è iniziata la mia inconsapevole contaminazione con l’arte, soprattutto Pop. Sempre qui sono stato travolto e colpito dai gigantismi e dalle opere di Christo.

In questa tua attività, hai una corrente o un artista passato a cui ti ispiri?

Mi hanno guidato artisti come Marcel Duchamp, da cui ho appreso l’importanza della “scelta”, che di per sé costituisce una forma d’arte, e René Magritte, da cui ho imparato a liberare la fantasia senza limiti. Ho tratto insegnamento e ispirazione anche da Andy Warhol. Tutti e tre sono stati grandi comunicatori, gli ultimi due anche pubblicitari, come me. Ma a mio parere, al di là delle influenze, un artista, in primis, deve tracciare la rotta agli altri. Chi si accosta al suo lavoro e lo comprende beneficia di un’accelerazione nel proprio percorso di evoluzione e crescita. È importante, perciò, trarre ispirazione e, allo stesso tempo, saper attrarre la mente e il cuore delle persone. 

Sei l’ideatore di questa nuova categoria artistica, AdvArt, in che cosa consiste?

A mio avviso, nell’arte ma non solo, è fondamentale provare a lasciare un segno. Credo sia lo scopo di ogni essere umano, gli artisti però incarnano in maniera personale questo ruolo e si fanno carico dell’arduo compito di innovare il passato contribuendo all’evoluzione generale. A patto di evitare di fare e rifare ciò che è già stato realizzato da altri. Per questo ho atteso quasi 40 anni prima di proporre il mio personale contributo e la mia esperienza in questo settore. Ho inventato una nuova categoria e le ho dato un nome iconico: ADVART, ovvero la pubblicità come forma d’arte. Uso, infatti, gli strumenti classici dell’advertising al posto dei pennelli: un titolo/slogan molto impattante (nella mia poetica “è” l’opera) e, al massimo, un’immagine di contorno per favorire la comprensione del messaggio.

Sintesi ma anche provocazione, riflessione: da dove nascono e come realizzi le tue opere?

La provocazione è l’anima della pubblicità, perché accende il cervello e l’attenzione dello spettatore, che normalmente è chiuso sulla difensiva. Anch’io uso scientificamente questa strategia. Ma a differenza delle dinamiche pubblicitarie, io non vendo nulla. Anzi, a volte invito a non comprare e “consumare”, secondo determinati principi etici. Ma c’è di più. Le mie opere invertono il senso e l’obiettivo della Pop Art: se la famosa zuppa Campbell, la “Campbell’s Soup”, il barattolo di salsa dentro il quadro, costituiva un’opera d’arte (negli anni ’60 era un’autentica rivoluzione dirompente, oggi lo stesso tentativo assume le sembianze di semplice arredo design), le mie opere presentano esattamente il contrario. Metto l’arte, ovvero la sua componente estetico-filosofica, dentro la pubblicità e la “forgio” verso altri significati. Inserisco brand vivisezionandoli, restituendo loro quello che i potenti dell’industria praticano ai cervelli della gente. Se la loro è una sorta di “lobotomia sociale” (una manipolazione mentale), la mia attività verso questi marchi potrebbe essere definita come “logotomia”: un’analisi e un’attenzione particolare alle loro parole, ai loro simboli, verso significati inattesi.

Uno dei tuoi lavori, VEryNICE, è divenuta ora opera museale conservata ed esposta ai Musei Civici di Venezia. Puoi raccontarci com’è avvenuto questo “salto”?

Nel 2021 sono stato invitato ad una collettiva d’arte contemporanea a Venezia. È stato il mio debutto ufficiale nel panorama artistico, dopo un periodo preparatorio lungo decenni. C’erano 100 artisti, ciascuno dei quali esponeva almeno cinque/sei opere. Io ne ho portato una sola, senza immagini: una parola su sfondo bianco, in un pannello di due metri. La scritta, però, non era qualunque o casuale, si trattava di un gioco visivo, il mio personale tributo alla bellezza di Venezia: “VEryNICE”. Due sole lettere inserite nel nome della città erano in grado di asserire che la bellezza è già insita nel DNA di Venezia, capace di evocare milioni di immagini, libri, film, stampe, cartoline senza mostrarle. Era la mia dimostrazione che il titolo è tutto. Ci pensa il cervello ad aggiungere il resto. Quell’opera è stata poi richiesta dalle istituzioni veneziane ed è oggi patrimonio dei Musei Civici di Venezia. Il mio debutto è diventato opera museale.

A quali altre esposizioni hai partecipato?

Dopo quella prima esperienza, nel 2022 ho realizzato un’esposizione, sempre a Venezia, all’Arterminal, con gran parte della mia produzione, sia i pannelli sia le sculture concettuali (i miei “remix”), in uno spazio di ben 600 metri. Nel 2023 ho partecipato, con uno stand interamente mio, alle importanti fiere d’arte, Expoart e Lucca Art Fair, che mi hanno permesso di entrare nel circuito ufficiale del “sistema” arte. In questo periodo ho avuto anche l’onore di ricevere un testo critico scritto da Luca Beatrice, uno dei critici d’arte più noti e conosciuti nello scenario artistico italiano.

L’opera Original sky è la prima ad essere realizzata con una speciale vernice capace di catturare CO2, esposta in anteprima a Brescia, all’evento Futura Expo. Ce ne puoi parlare? Di cosa si tratta?

Nel finale del 2023 sono stato invitato dalla Fiera di Brescia all’evento Futura, quale artista della sostenibilità. Ho, infatti, molto a cuore le tematiche legate alla difesa e alla salvaguardia ambientale. Nell’ottica di “lasciare un segno”, ho voluto esporre qualcosa di inedito: la prima opera al mondo che assorbe CO2, semplicemente stando appesa al muro, grazie ad una speciale nanotecnologia. L’opera si intitola “Original sky” ed è una revisione critica dei mass media. A livello generale, infatti, dimentichiamo il significato originario di “sky”, il cielo, per sostituirlo con l’emittente televisiva. L’inversione dell’ordine delle parole, da “Sky Original” (la serie, il prodotto TV) a “Original sky”, il cielo vero da proteggere, ha lo scopo di spiegare immediatamente questo concetto e di rivendicare il vero significato “naturale” del termine.

Non solo artista e musicista, nella tua carriera sei anche un “Naming Specialist”: Art Director presso IDEAZIONI, laboratorio creativo e casa di produzione multimediale, co-fondatore di ACCELERAZIONI, Direttore Marketing Strategico presso BEAUTICON VALLEY, esponente del comitato tecnico-scientifico del POLIESTETICO di Milano; svolgi, inoltre, la tua attività a Londra e negli USA. Puoi condividere con i nostri lettori una breve panoramica di questa parte della tua carriera e come sei diventato un esperto nel Naming? Perché consideri così fondamentale il “Naming” in ogni forma di comunicazione e di arte?

I nomi sono il filo conduttore di tutta la mia esperienza di vita. Mi hanno sempre intrigato e continuerò a studiarli e a inventarli. Il nome è il DNA di tutto ciò che ci circonda. Non esiste nulla che non abbia un nome e solo se ha un nome “esiste” realmente. È il più prezioso e attivo ambasciatore dei progetti delle nostre aziende, di noi stessi. Si tratta del più potente strumento di marketing e comunicazione, ma pochi ne sono realmente coscienti. I nomi sono “frequenze” che dialogano direttamente con il cervello. Sono la sintesi della sintesi della sintesi della sintesi. Immaginiamo una tipica presentazione aziendale, caratterizzata da pagine e pagine che nessuno legge. Al contrario, il nome dell’attività o dell’impresa viene letto e memorizzato da tutti e, se è potente, racconta più di tutte quelle stesse pagine. Invento nomi da più di 40 anni, da quando, per creare i titoli dei miei brani musicali, avevo bisogno di sintetizzare un intero testo e i suoi concetti ispirativi. Fare naming è fare sintesi, il cuore pratico ed essenziale di tutto il mio modo di fare e creare arte.

Hai affrontato con successo diversi settori nel corso della tua carriera. Puoi condividere qualche esperienza particolare o un progetto che ti ha appassionato di più?

Ho creato video, assieme a mio fratello Roberto, per oltre vent’anni. Anche questa disciplina mi ha dato molto perché ha contribuito ad affinare il senso estetico “visivo” e mi ha insegnato a “tagliare”. Anche in questo settore, la sintesi è tutto. In questo ambito ho collaborato con artisti del calibro di Rudolf Nureyev, che ho diretto in un docu-film pluripremiato a livello internazionale.

Hai scritto il libro Nomina e Domina, il primo testo al mondo dedicato al Naming e al Domain Naming. Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro e quali sono i principali messaggi che vuoi trasmettere ai lettori?

I nomi sono potenti strumenti di comunicazione, ma bisogna conoscerne le regole. Ho pensato di codificarle e di raccoglierle in un libro dedicato, in maniera specifica, al Naming e al Domain Naming (i nomi per il web), due discipline in un unicum. Il testo è rivolto soprattutto agli imprenditori, ma non solo: ho cercato di renderlo chiaro, utile e comprensivo, partendo proprio dal titolo “Nomina e Domina”. Due parole che riassumono il contenuto, l’essenza e arrivano dritte allo scopo per cui ho scritto il libro: catturare l’attenzione ed essere fonte di spunti e di riflessioni, personali e pratiche.

@sangyartist

Hai tenuto conferenze pubbliche sul Naming, divulgate anche a livello universitario. Quali sono gli aspetti più interessanti o stimolanti che hai notato e vissuto quando condividi la tua esperienza con gli studenti?

Dopo “Nomina e Domina”, si è innescato un meccanismo di passaparola e di contatti tale per cui oggi ho l’opportunità di tenere lezioni universitarie. In aprile partirà il primo Executive Master in Naming e Domain Naming all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Per la prima volta, quest’arte-scienza diventerà materia universitaria. Sono orgoglioso di questo traguardo. Mi rende felice la condivisione di quanto ho studiato ed approfondito e mi fa piacere accompagnare gli studenti in questo percorso, aiutandoli a comprendere la potenza dei nomi. 

Da docente ed esperto, come contribuisci alla formazione delle nuove generazioni e alla ricerca nel campo del Naming e Domain Naming?

Tra le mie attività, una in particolare mi consente di far arrivare questi messaggi alle nuove generazioni. Mi riferisco al Poliestetico di Milano (nome che, tra l’altro, ho ideato), la più avanzata realtà accademica italiana in ambito beauty, di cui ho l’onore di essere membro del comitato tecnico scientifico. Ai ragazzi cerco di far capire l’importanza del nome giusto, la forza delle parole. Attraverso il nome azzeccato potranno creare significati e mondi vincenti, rivelatori di realtà e senso vero, autentico.

Possiamo ritrovare la sintesi della tua formazione e della tua esperienza come artista e come Naming Specialist, nel tuo ultimo lavoro, Christo ri-velato, l’installazione multimediale al lago d’Iseo: com’è nata l’idea di accostare l’artista Christo, il suo nome e il suo personale stile (l’impacchettamento) al tuo modo personale di fare arte? 

Come accennavo, il mio primo impatto con l’arte contemporanea è avvenuto a New York dove, negli anni della mia frequentazione e interazione contaminativa, l’artista Christo aveva appena realizzato un’opera di proporzioni gigantesche a Central Park, nel 1979. Ne sono rimasto colpito per la modalità espressiva, totalmente rivoluzionaria nei metodi e nelle intenzioni, ma soprattutto sono rimasto impressionato dal suo nome, Christo appunto. Uno che si faceva chiamare così, non poteva essere una persona qualunque. Negli anni, il mio percorso artistico mi ha portato sulle rive del Lago di Iseo, dove lui stesso aveva dato vita alla sua ultima grande installazione.

Perché hai scelto proprio lui come artista a cui dedicare questo tributo?

Mi è sembrato giusto rendergli omaggio in chiave personale e fare l’unica cosa che non aveva mai “impacchettato” durante la sua leggendaria carriera artistica: il suo nome. L’ho fatto io, portando semanticamente al vertice assoluto questo modello espressivo. Ne ricaverò un docufilm che consentirà non solo di capire la portata del suo messaggio artistico, ma anche di vivere una suggestione evocativa molto vicina alla spiritualità. Si tratta infatti di un’opera multisensoriale e multidisciplinare, che tocca sfere diverse: la narrazione, l’installazione spettacolare, la scultura concettuale, la musica. Ho composto una sinfonia ad hoc. Si tratta, in definitiva, dell’opera più complessa e articolata che io abbia mai realizzato finora.

Parteciperai ad altre esposizioni?

Non parteciperò ad esposizioni organizzate, ma ad installazioni e apparizioni iconiche. Sto programmando la mia uscita dai confini italiani. Come per la musica, a mio parere, il centro del mondo è a stelle e strisce, dove l’arte viene valorizzata, amata e portata a livelli elevati.

Stai lavorando ad altre opere, attività o lavori sia in ambito artistico e sia nel campo del Naming e della comunicazione?

L’ambito artistico e il Naming sono un tutt’uno, per me. Tutto ciò di cui mi occupo, dall’arte alla musica, è di fatto Naming, declino questa disciplina in vari ambiti. Nel 2024 darò vita, alle porte di Milano, ad un’iniziativa iconica. La prima “scultura concettuale” di AdvArt di dimensioni monumentali. In sostanza, un nome/concetto, alla base di tutto il progetto, che assumerà una dimensione fisica di dieci metri con una forma assolutamente dirompente.

Qualche anticipazione sul tuo docufilm, in uscita a maggio?

Posso solo anticipare che questo docufilm potrebbe consegnare la mia opera “Christo ri-velato” alla storia…

Immagine di copertina/in evidenza: @sangyartist