Tra passato e presente, dai cineforum ai festival e come la (cattiva) politica continua a fare danni
Mentre a Hollywood gli speechwriters (professionisti che si occupano di scrivere i discorsi che verranno letti durante la cerimonia degli Oscar) iniziano ad affilare la penna, in una edizione, che vede fra i film in gara titoli come Oppenheimer, il film che Cristopher Nolan dedica al padre della bomba atomica e il bellissimo Povere creature del regista emergente Yorgo Lanthimos, già vincitore del Leone d’oro alla mostra del cinema di Venezia.Willem Dafoe nei panni di un postmoderno Frankenstein riporta in vita dopo il suicidio, grazie al trapianto di cervello di un bebè una bravissima Emma Stone, vincitrice di un Golden Globe, in un film iperrealistico, che l’ottimo Paolo Mereghetti del Corriere della Sera definisce una favola epocale. Un romanzo gotico girato fra farsa e commedia morale, rispettando, la moderna spettacolarità del grande cinema, fra spunti realistici ma conditi con le “armi della provocazione surreale”.
Il cinema italiano gioisce come già riportato nel mio ultimo articolo, per la nomination nella cinquina dei miglior film stranieri di Io capitano di Matteo Garrone, proprio mentre secondo i dati della Cinetel si registra in Italia, il massiccio ritorno del pubblico nelle sale cinematografiche grazie anche al bel film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, che ha incassato finora 40 milioni di euro. Una boccata d’ossigeno per il nostro cinema, dopo mesi di vuoto pneumatico al botteghino.
Ebbene in tutto questo risveglio verso la qualità, un’importante distributore, anche per sopperire ai tanti film targati Hollywood ancora in lavorazione a causa dello sciopero di attori e sceneggiatori che si è concluso con un accordo con le majors lo scorso novembre, ripropone nelle sale, una serie di capolavori restaurati. Fra i titoli di punta Il Cacciatore, film Oscar del 1978 diretto da Michael Cimino e interpretato da Robert De Niro o La stangata del 1973, sette premi Oscar, diretto da George Roy Hill e interpretato da Paul Newman e Robert Redford, mentre al Palazzo delle Esposizioni di Roma verranno riproposti capolavori restaurati ospiti della rassegna A qualcuno piace classico che Quarta Parete ha già seguito nella scorsa edizione e che in questo nuovo ciclo, proporrà fino al 28 maggio film come una Pallottola per Roy un poderoso giallo noir diretto nel 1941 da Raul Walsh e interpretato da Humphrey Bogart e da Ida Lupino, film tratto da una sceneggiatura di John Huston. Tra i film rivedremo anche l’indimenticabile Taxi driver, 4 premi Oscar nel 1976 diretto da Martin Scorsese che consacrò Robert De Niro e Jodie Foster incassando milioni di dollari per un film realizzato con un budget a basso costo. Simbolo di quella stagione (era il 1976), il film che Pauline Kael, la più celebre dei critici americani, definì: «Uno dei pochi film horror veramente moderno».
Scritto da Paul Schrader, e ambientato a New York, narra l’alienazione di un tassista, ex marine reduce dalla guerra del Vietnam che soffre di disturbo post-traumatico e non riesce a dormire, si trasforma in giustiziere contro una società corrotta spinto alla violenza dalla solitudine e dalla disperazione.
Fatta questa doverosa premessa la domanda che si pone il cinema italiano è se si sente il bisogno di nuovi sceneggiatori e soprattutto se quelli attuali sono riusciti a portare una ventata di novità e di speranza nell’industria italiana.
Lo chiediamo a Felice Laudadio critico cinematografico e teatrale, ex direttore della Mostra del cinema di Venezia, del famoso Mystfest, amministratore delegato dell’Istituto Luce e Presidente di Cinecittà holding, ma soprattutto autore di un libro tutto da leggere dal titolo Per chi suona la cultura – avventure tragicomiche di un organizzatore e inventore negli anni settanta con Gian Maria Volonté del premio Solinas, dedicato ai giovani sceneggiatori.
Oggi purtroppo non è più così, la forza di quel premio era rappresentata non solo dal nome di quel grande sceneggiatore che era Franco Solinas che aveva scritto film di successo, a cominciare da La battaglia di Algeri e Queimada di Gillo Pontecorvo, ma la forza di quel premio, stava soprattutto nel prestigio dei grandi scrittori per il cinema che componevano la giuria come Suso Cecchi D’Amico, Leo Benvenuti e Piero De Bernardi (citofonare Verdone), Ugo Pirro e nella figura del Presidente della giuria stessa Franco Cristaldi, uno dei più grandi produttori cinematografici del cinema italiano. Il premio al miglior lavoro, all’epoca ammontava a 25 milioni destinati al miglioramento della sceneggiatura fino alla realizzazione del film. Il Solinas dal 1985, anno di fondazione, ha conribuito alla realizzazione di ben 130 film nel corso degli anni. Quei grandi nomi, oggi non ci sono più e quindi inevitabilmente si è perduto quel “valore aggiunto” rappresentato da quella straordinaria genia di scrittori che hanno fatto grande il cinema italiano.
I Festival del cinema restano secondo te una vetrina importante soprattutto per il pubblico e per non dimenticare come hai fatto tu a Venezia anche recentemente con il tuo Bifest Mediterraneo di Bari, grandi autori come Monicelli, Scola, Fellini, Antonioni, Visconti.
I festival sono fondamentali, una volta esistevano i cineforum, i circoli e le officine del cinema, luoghi di aggregazione non soltanto per i cinefili, ma per un folto pubblico attento alla “forma” cinema. La scomparsa di queste realtà così importanti che hanno contribuito non poco a formare tanti di noi, da molti anni sono venute meno. Allora non esisteva un numero cosi rilevante di festival. Oggi sono diventati un’importante rete connettiva per permettere a chi è appassionato di cinema di vivere il passato e il presente dell’industria cinematografica universale. I festival oggi rappresentano un punto di riferimento della vita culturale di un Paese, ricordando anche le grandi figure del cinema contemporaneo. Quest’anno al Bifest di Bari omaggeremo e racconteremo il grande cinema di Marco Bellocchio che terrà ben otto lezioni di cinema.
Perché quel sottotitolo nel tuo libro “avventure tragicomiche di un organizzatore”?
Sono 486 pagine che ripercorrono la mia vita dedicata al lavoro. L’aspetto tragicomico è legato al fatto che quasi sempre in tutti gli eventi come il Mystfest che inventai alla fine degli anni settanta, fino al Bifest di quest’anno insieme ai miei compagni di lavoro, perché i Festival non si fanno mai soli esattamente come quando si gira un film. C’è il regista, il direttore della fotografia, gli attori, lo scenografo; insomma ciascuno con una specifica competenza. Ebbene ci siamo trovati quasi sempre in difficoltà con il committente pubblico (che è sempre il politico di turno), il quale entra in scena una volta accertato il successo dell’evento stesso.
Gli amministratori pubblici, specialmente quelli che gestiscono istituzioni culturali come teatri o commissioni, dovrebbero essere in grado di bilanciare le esigenze politiche con l’obiettivo di promuovere l’arte e la cultura in modo inclusivo. La politicizzazione eccessiva può portare a scelte che favoriscono solo un determinato gruppo o orientamento politico, trascurando il dovere di rappresentare e servire l’intera comunità. Da qui l’aspetto un po’comico ma direi tragico di certi amministratori pubblici che si rivelano quasi sempre inadeguati per la ragione per cui sono stati chiamati cioè di essere degli amministratori di tutti e non soltanto di un colore.