Una certa vibrazione del possibile

Intervista all’attrice e drammaturga Lucia Calamaro

Debuttato nel 2019 al Teatro Sperimentale di Ancona “Smarrimento”, monologo scritto e diretto dalla pluripremiata regista Lucia Calamaro e con Lucia Mascino, tornerà in scena a Roma, al Teatro Basilica dal 25 gennaio al 4 febbraio, occasione in cui la nostra redazione ha ritenuto importante porgerle qualche domanda.

La peculiarità della scelta scenografica è quella di una spazialità bianca capace di configurarsi come spazio tanto asettico quanto, sul piano simbolico, sconfinato. A cosa fa riferimento? Quanto lo spazio in “Smarrimento” assume una connotazione fisica e quanto invece esiste come spazio interiore?

In generale, a teatro, tutti i miei personaggi si muovono nel bianco, non solo Lucia in questo Smarrimento. Detesto il teatro con le quinte nere o il fondale nero, mi sembra mortificante guardare le pareti nere, una punizione, uno sgarbo verso lo spettatore. L’occhio si merita di meglio. E mentre il bianco mi spinge a immaginare di disegnarci sopra personaggi, il nero sembra che sia li apposta per cancellarli. Che fastidio.

Personaggi come creature non finite, interrotte, destinati a non risolversi in uno sbocco narrativo in grado di sancire la loro effettiva esistenza. Cosa, nel rapporto tra autore e personaggio è invece secondo lei imprescindibile?

Credo si sia finiti solo da morti. Quindi la finitudine per me non è un orizzonte creativo particolarmente avvincente. Non è foriera di oltre, non rimbalza, non sgocciola, non traspare, non mi interessa. Tanto prima o poi è la fine che ci trova, inutile andarla a cercare. Vero è invece che nell’incompiutezza trovo una forma superiore di grazia, cosi come nell’indecisione, nell’imbarazzo, nell’inceppo, nel perturbabile.

 Dimmi di un personaggio finito, deciso e imperturbabile, parlamene anche solo un secondo, ed io già dormo. Cerco solo e sempre una certa vibrazione del possibile, non il macigno asfissiante della certezza. Un personaggio in fondo è una potenzialità.Potenzialità ricorrente. Nulla gli accade che non sia già accaduto.  Esattamente come a noi. E come al mondo.

Lucia Calamaro

Quella dell’indeterminatezza, della sospensione è una condizione che, sebbene elaborata su diverse declinazioni, va a costituire un fil rouge con un altro suo importante suo lavoro, Darwin Inconsolabile attraversato da una ricerca di definizione nell’eterno fluxus. In che modo e per quali ragioni la ricerca di definizione può rappresentare una necessità per l’artista e – più in generale – per l’individuo?

Io, se posso, se non urta nessuno, sconsiglierei a tutti di dedicare tempo e intenzioni e volontà, alla ricerca della definizione.  Scopo minore, credo. Penso. Sia per un artista che per una persona qualsiasi. A chi interessano le definizioni?Mi orienterei piuttosto alla costruzione, alla fabbricazione – e anche qui non alla ricerca ma alla realizzazione, mattoncino su mattoncino di un’architettura del senso.

 Il senso etico, morale, di una creazione e/o di un’intera vita.  Quello è il nodo in cui rimanere ingarbugliati, quello è l’impegno. E non te lo da nessuno. Sei tu che lo trovi, lo crei, lo monti, lo metti in forma. E per farlo ci vuole attenzione. Ecco due parole per me molto più interessanti di definizione. Attenzione, impegno e tempo.Una trinità in via di estinzione. Ma a velocità estreme l’elaborazione fallisce. Quindi calma. Siamo tutti molto ma molto più calmi di cosi.

Quali caratteri contribuiscono ad identificare “Smarrimento” come un cabaret esistenziale?

Non mi sembra gentile, tenere degli spettatori appresso ai miei pensieri senza dargli la carezzevole opportunità di ridere di me o del mio impressionante alter -ego in Smarrimento, Lucia Mascino. Il minimo che posso fare per ringraziare il pubblico che con grande accoglienza mi segue in oscillazioni esistenziali non dico peregrine, ma certo spaiate, prive di simmetrie e soluzioni, è regalargli nel mentre qualche risata.Mi spiego meglio. Io sono seria. Ma non mi prendo mai sul serio. Idem i miei spettacoli. E ne faccio un punto morale: come posso prendermi sul serio se la so lunga e la so tutta o quasi? Non mi permetto: perché quello che c’è in giro è molto grave, e smargina dappertutto. Anzi la seriosità è un tratto di carattere che giudico subito e male, come sintomo di poca intelligenza.

Accorarsi si deve, ma mai su se stessi.Che noia, che gran cafone chi si prende sul serio.Soprattutto Le/gli artisti che si prendono sul serio.Che pena che mi fanno. Le /li guardo e penso: ma cosa dici? cosa fai? ma come ti viene di dire che stai morendo perché fai una regia, che hai dato tutto per quella personaggia/io, che hai attraversato il tuo deserto, che lo spettacolo ti ha distrutto, che il film, il libro…ma piantala. Ma per favore smettila e scusati. E qui qualcuno dirà che rispondo alle mie interviste come scrivo i miei personaggi. Obiezione: scrivo i miei personaggi come penso il mondo. Per me la seriosità, è come qualcuno che non sorride mai e non ringrazia: una maleducata.E non sposo per niente quella scuola di pensiero che giudica la geografia dell’umorismo un facile metabolizzatore del reale. Giudicandolo uno stilema che è grossolanamente sempre troppo in difesa o troppo in attacco rispetto al mondo e mai nel pieno. Stacci tu, immusonito, nel pieno del mondo. Io se riesco rido.

Come descriverebbe il rapporto artistico lavorativo che è andato sviluppandosi dall’inizio della collaborazione con l’attrice Lucia Mascino?

È un rapporto come con se stessi: facile, conosciuto, a volte insopportabile, e poi invece no, poi bene dai. Sei tu, sono io, siamo quel noi li, andiamo avanti insieme in che in giro butta malissimo.

Non è stato immediato, non lo sapevamo che ci saremmo prese, perché l’ho incontrata già brava,  già molto lavorata, con un lungo percorso alle spalle. E nessuno poteva sapere se poi avrebbe fatto parte di quelle poche umanità che io considero tra me e me “le mie attrici e i miei attori”: stanno larghi in due mani ad oggi. E invece sì. È una delle rare abitanti del mio mondo. E il fatto che stia cosi brillantemente lì, in quello spettro dell’esistenza in cui siamo davvero molto pochi, me la rende preziosissima.