Un ottimo cast dimostra tutto il suo valore dovendo fare i conti (ed uscendo vincitore) con la regia ingegnosa ma penalizzante di un Barbiere di Siviglia che punta tutto sull’ambientazione
Il conflitto generazionale è la pietra su cui si costruisce il Barbiere di Siviglia andato in scena a Lucca venerdì 12 gennaio al Teatro del Giglio di Lucca con la regia di Luigi De Angelis. Uno scontro che prende forma non solo nelle note schermaglie tra i protagonisti dell’opera ma riverbera in ogni sfaccettatura dello spettacolo.
Con una scenografia dichiaratamente ispirata ai ritmi rocamboleschi e le geometrie urbane del capolavoro di Jacques Tati Playtime (1967), De Angelis decide di racchiudere l’azione dell’opera in un’unità abitativa marcata da una separazione ortogonale degli spazi che intende rievocare il dinamismo cinetico dell’opera di Tati, proponendo interni domestici e attività pubbliche che si combinano in un gioco di continua comunicazione e riconfigurazione allo scopo di intersecare dimensione pubblica e privata, per proporre uno sguardo sulla società contemporanea.
Se vogliamo mantenere l’ottica di ascendenza cinematografica, però, la vista sulle differenti realtà di vita all’interno dello spazio domestico offerto dalla configurazione scenografica pare suggerire più la celebre opera di Alfred Hitchcock La finestra sul cortile (1954) che la commedia metropolitana di Tati; mentre per il reparto costumi, il conte di Almaviva si presenta in una mise (giacca e cravatta velate da un lungo mantello corvino) più appropriata al Conte Dracula di quell’iconografia entrata nell’immaginario collettivo con l’interpretazione di Bela Lugosi.
I figuranti che animano continuamente lo spettacolo, intesi a comunicare la connessione “tra spazio sociale e spazio privato, richiedendo allo spettatore di annodare con leggerezza ulteriori fili invisibili”, come spiegato dal regista, finiscono forse per non risultare così “leggeri” e trasformarsi, in più di un’occasione, in elemento di distrazione dal canto e dall’azione dell’opera.
Malgrado gli interpreti principali riescano comunque a mantenere centralità, la scenografia casalinga, eretta nella metà posteriore del palcoscenico per permettere la concezione dello spazio esterno, fa sì che la voce dei cantanti durante i momenti ambientati “in interna” a tratti fatichi ad arrivare oltre le prime file, causa l’eccessiva e prolungata distanza fisica dalla ribalta.
Tale ambientazione, significativa, ben congegnata e apprezzabile, che si presterebbe benissimo alla prosa, finisce in questo caso per diventare involontariamente protagonista in negativo, ingaggiando con la dimensione musicale un’involontaria lotta per il primato scenico che rischia di penalizzare la resa finale dell’opera.
Una menzione speciale, infine, è dovuta per il soprano Chiara Amarù nel ruolo di Rosina, soddisfacente nell’esecuzione come tutto il resto del cast, ma unica a non soffrire minimamente gli effetti dell’inconveniente scenografico, destreggiandosi virtuosamente con perizia e intensità vocale che anche il più distante degli spettatori ha senza dubbio potuto apprezzare.
Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Sterbini – Una coproduzione Teatro di Pisa, Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Alighieri di Ravenna, Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi – Dirige Francesco Pasqualetti – Regia di Luigi De Angelis – Con Chiara Amarù, Gurgen Baveyan, Dave Monaco, Roberto Abbondanza, Gaetano Triscari, Jennifer Schittino, Tommaso Corvaja, Marcello Giorgio – Teatro del Giglio 12 e 14 gennaio 2024