La proiezione delle letture dantesche apre la stagione del Teatro Basilica
Una pioggia scrosciante di applausi per Roberto Herlitzka che ieri ha festeggiato 86 anni al Teatro Basilica, in compagnia di una platea gremita di amici accorsi per rendergli omaggio e per assistere alla proiezione del filmato, ideato da Antonio Calenda, che ha visto il grande attore alle prese con sei canti della Commedia di Dante. «È stata un’idea nata durante le letture dal vivo che Roberto ha eseguito, negli anni scorsi, qui, in questo teatro, di tutte e tre le cantiche del poema». Il ciclo cominciò per le manifestazioni dei settecento anni dalla morte del poeta. Poi ci fu, causa Covid, uno slittamento, ma l’artista riprese tenacemente l’iniziativa portandola a termine nel 2022.
Il regista ha, quindi, ricordato la sua amicizia con l’attore. Tra le loro tante collaborazioni citiamo una perla del 1971 con un cast davvero invidiabile: Le balcon di Genet con Sergio Tofano, Franca Valeri, Mariano Rigillo, Ezio Marano e naturalmente Roberto Herlitzka e la regia di Calenda. Lo spettacolo, in verità, non ebbe un gran successo di critica, ma – si sa – i critici, a volte, sono dei gran burloni!
Ieri sera, invece, l’entusiasmo generale in sala ha fatto seguito ai circa sessanta minuti di emozioni per un filmato tanto semplice, quanto intenso. Lui fermo su una poltrona con la telecamera che lo ha ripreso da poche differenti angolazioni, che ha indugiato con delicata perizia sulle rughe delle mani, sul naso dantesco dell’attore, sullo sguardo fisso, si direbbe, ipnotizzato dalla poesia e ipnotizzante per la poesia; dietro la quale, il maestro Germano Mazzocchetti, ha costruito, con estremo pudore, un silenzio musicale con poche costanti e tenui note che hanno accompagnato l’attore durante l’intera performance.
«Nel mezzo del cammin di nostra vita … l’amor che move il sole e l’altre stelle». Tra il primo verso che ha aperto la serata e l’ultimo citato che ha fatto scoppiare il tripudio, ci siamo noi: con tutte le nostre esistenze di italiani, con tutta la nostra storia italiana, con tutto il nostro profondo sapere che oggi quasi non sappiamo più, e con tutta la nostra ricchezza culturale che stiamo disperdendo, barattandola con l’ignoranza. Dante fu il primo a regalarci un’aristocratica identità nazionale, innalzando una lingua popolare, il volgare che stava per nascere, all’altissimo livello delle più antiche e nobili civiltà, quelle raccontate da Omero e da Virgilio. Con il linguaggio di Dante siamo diventati italiani cinquecento anni prima del tricolore. Un dono che oggi stiamo sottovalutando. Grazie alla declamazione di Herlitzka e protetti dalle mura che nascondono la Scala Santa, siamo saliti dritti in Paradiso anche se lui, il fine dicitore, si ostinava a descriverci l’Inferno: la cantica nella quale più ci riconosciamo, per i nostri vizi, per le nostre passioni, per il nostro senso di attaccamento alla vita che è sempre un inferno.
Il primo canto, l’incontro con Virgilio, tu se’ lo mio maestro; poi l’orribile Minosse (canto V) che con la coda che s’avvinghia spedisce i dannati nei vari gironi; la viziosa Semiramìs, Cleopatràs lussuriosa che ci piace tanto, e il commovente racconto di Francesca e le lacrime di Paolo che turbano Dante fino a farlo cadere come corpo morte cade. Poi ci si è concentrati su Pier delle Vigne (XIII), Io son colui che tenni ambo le chiavi / del cor di Federigo, e quell’anonimo fiorentino che s’impiccò: Io fei gibetto a me de le mie case. Applausi.
Si riprende subito con gli spirti nascosti dalle fiamme che racchiudono Ulisse e Diomede (XXVI): fatti non foste a viver come bruti ci rimprovera Dante, ma noi, niente, facciamo finta di non capire e continuiamo a non spegnere il cellulare in teatro, anzi, prima che il mar fu sopra noi richiuso, scattiamo anche una foto per rammentarci il momento in cui qualcuno, giustamente, ci mandò all’inferno!
Con la bocca sollevò dal fiero pasto, Herlitzka offre il meglio. Dante s’imbatte nella tragedia del Conte Ugolino (XXXIII) che, raggirato dall’arcivescovo Ruggieri, fu rinchiuso nella Torre della Muda con i suoi quattro figli che vide cascar … ad uno ad uno. Il racconto è lento, gli endecasillabi quasi tremano. Una lacrima trova un solco per scivolare sul volto acceso dal dolor più che dal digiuno. Brividi in sala. Ancora applausi.
Ed ecco che pure il raffinato dicitore, finalmente, ci raggiunge in Paradiso (XXXIII), laddove ci aveva spedito sin dal primo verso dell’incipit. L’attacco è dei più famosi: Vergine madre, figlia del tuo figlio, e anche i suoi occhi, rimasti nell’oscurità degli inferi fino a un attimo fa, ora s’illuminano per lei… Donna, se’ tanto grande e tanto vali, / che qual vuol grazia ed a te non ricorre, / sua disianza vuol volar sanz’ali. Dante prosegue la sua preghiera con la voce di Herlitzka, il quale… dicendo questo, mi sento ch’io godo.
Pubblico in piedi. Herlitzka ringrazia e, prendendo il microfono, ricorda con affetto che la sua maestria è frutto degli insegnamenti di Orazio Costa, insegnante d’Accademia, il suo Virgilio.
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Roberto Herlitzka legge Dante, da un’idea di Antonio Calenda, con Roberto Herlitzka, musiche di Germano Mazzocchetti, regia teatrale di Antonio Calenda, regia video di Mauro Conciatori. Teatro Basilica, 2 ottobre
Foto di copertina: Roberto Herlitzka