Seydou, il «capitano» coraggioso

La «disumana transumanza» vista da Matteo Garrone

Sarebbe interessante scoprire se l’idea del soggetto dell’ultimo film di Matteo Garrone, presentato in concorso alla 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, giunga da un’elaborazione del suo «Pinocchio» (pellicola del 2019) o direttamente dalle immagini di cronaca quotidiana trasmesse dai telegiornali. Io capitano affronta l’interminabile viaggio di due sedicenni, Seydou e Moussa, dal Senegal fino alle coste della Sicilia. Certamente non è lo stesso viaggio che Lucignolo propone a Pinocchio prima di salire sul carro che li condurrà nel Paese dei Balocchi, ma se l’ex burattino e il suo amichetto furono vittime di una severa punizione metaforica (la trasformazione in asinelli) dopo aver goduto di un giorno di bagordi, Seydou e Moussa cominciano il loro atroce calvario molto prima di arrivare nel Paese dei Balocchi.

Tralasciando il mondo delle favole e gli elementi fiabeschi che Garrone anche qui riesce ad inserire per mantenere una coerenza con la sua cifra stilistica, è assolutamente necessario porsi una domanda per comprendere meglio le ragioni che hanno generato la pellicola: l’Italia, il luogo dove migliaia di barconi carichi di disperazione umana arrivano ogni giorno dal continente africano, può mai essere considerato il Paese dei Balocchi? Naturalmente, per essere credibile e non faziosa, la risposta da prendere in considerazione non può essere soltanto quella pronunciata dalla voce di un comune cittadino italiano tartassato dalle tasse, dall’aumento dei carburanti, vessato da una sanità in disastro, da una scuola in affanno, preoccupato per le difficili e precarie possibilità di lavoro, ma occorre ascoltare anche la voce di chi sta al di là del mare, magari a sud del Sahara; è quella la voce che abbiamo il dovere di ascoltare, prima della nostra che è socialmente viziata, politicamente falsata. E Garrone, che in questo film è più documentarista che regista, ce la traduce direttamente dalla lingua uolof (l’idioma del Senegal) con i sottotitoli, quando i due ragazzi vengono dissuasi dall’affrontare il viaggio da un uomo tanto saggio quanto arrabbiato, il quale dice loro chiaramente di non partire perché l’Italia, l’Occidente, l’Europa non è il paese che loro credono; in Italia c’è gente che dorme per strada, e ci sono i ladri, i banditi, gli sfruttatori; e anche la madre di Seydou cerca di far capire al figlio che lì, a casa sua, può contare sul suo affetto e su quello delle sorelle, sulla certezza di avere un tetto sulla testa e un pasto da mangiare. Purtroppo nessun sano argomento può contrastare le emozioni che Seydou prova vedendo sullo schermo del cellulare ingannevoli video di come potrebbe essere la vita in Italia, in Francia, in Germania. Anzi, sono proprio le illusioni trasmesse da internet che regaleranno forza e carattere al timoroso ragazzo, incapace di ingannare la madre, a trasformarsi in un «capitano coraggioso» tra le onde del canale di Sicilia.

Da Tripoli in Sicilia: l’ultimo incubo

Garrone documenta, con la precisa determinazione del reporter, che la realtà in cui vivono Seydou e Moussa non è così drammatica come spesso ci vogliono convincere le chiacchiere mediatiche. Certamente ci sono molti migranti che fuggono dai territori di guerra, ma Garrone, invece, preferisce far luce su quel che meno conosciamo, su quel che i telegiornali ci nascondono (a proposito, perché ce lo nascondono?). I componenti della famiglia di Seydou e Moussa (i due ragazzi sono cugini), pur non essendo benestanti, non vivono di stenti, ma tutti partecipano allegramente alle feste tradizionali con abiti sfarzosi, con sorrisi smaglianti e con una certa serenità che li aiuta a danzare tenendoli a distanza dalle illusioni del mondo occidentale. Quindi per quale motivo Seydou e Moussa sono pronti ad abbandonare casa, affetti e le piccole certezze che hanno, per intraprendere un viaggio di oltre cinquemila chilometri (di cui la maggior parte nel deserto, il più cocente del pianeta) per raggiungere Tripoli, e infine imbarcarsi e attraversare il Mediterraneo per quasi trecento miglia? Soltanto i numeri che determinano le distanze e le condizioni del viaggio dovrebbero essere sufficienti a scoraggiarli; invece no. Nemmeno le notizie dei morti nel deserto, delle vessazioni a cui tutti sono sottoposti, delle torture inflitte nelle prigioni da chi trae vantaggi da questa «disumana transumanza» riescono a far recedere Seydou e Moussa dai loro propositi.

«Io capitano», grida Seydou

È inevitabile che l’argomento portato sul grande schermo da Matteo Garrone, a svantaggio di un’analisi critica artistica, susciti commenti relativi alla triste realtà con la quale ogni giorno la nostra morale è costretta a confrontarsi: dalle scelte governative fino al dibattito televisivo. Tuttavia non deve sfuggire all’occhio dello spettatore il paragone elementare con altri film che ci hanno descritto le deportazioni degli ebrei, quelle che noi abbiamo condannato, quelle contro le quali abbiamo gridato «mai più ghetti, mai più lager, mai più treni della morte»; eppure, invece di fermare quest’altra drammatica carneficina (non solo quella commessa in mare che è l’ultima tappa, quella che ci vede interessati) ancora c’è chi pensa a «un canale d’ingresso regolare» che aiuterebbe il problema. L’ottimo reportage di Matteo Garrone suggerisce che queste parole sono adatte soltanto a far allungare il naso del Pinocchio di turno. E Garrone, adesso, certamente lo saprà!

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Io capitano un film di Matteo Garrone (2023). Sceneggiatura di Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri; con Seydou Sarr (Seydou), Moustapha Fall (Moussa), Issaka Sawagodo (Martin), Hichem Yacoubi (Ahmed), Doodou Sagna (Charlatan), Khady Sy (madre di Seydou), Venus Gueye (sorella di Seydou), Cheick Oumar Diaw (Sisko), Bamar Kane (Bouba). Regia di Matteo Garrone. Il filmè stato presentato in anteprima in concorso alla 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia vincendo il Leone d’argento (premio speciale per la regia) e il Premio Marcello Mastroianni a Seydou Sarr.

Foto di copertina: Seydou Sarr accompagna il volo di un’anima del deserto