Mercoledì 6 settembre si è spento a Roma a 93 anni il cineasta Giuliano Montaldo, regista e attore nato a Genova ma vissuto per l’intera vita cinematografica e non a Roma.
La sua carriera è da interpretarsi come una sorta di teoria nietzschiana dell’eterno ritorno dell’eguale, ossia una partenza lampo da attore in film importanti come Achtung! Banditi! del 1952, per poi passare gran parte della sua vita dietro la macchina da presa e finire con la sua migliore interpretazione nel 2017, che gli valse il David di Donatello a quasi 90 anni, in Tutto quello che vuoi di Alessandro Bruni.
Ma la sua più grande vocazione (e il motivo per cui è ritenuto uno degli ultimi, grandi, cineasti della vecchia guardia italiana) è stata la regia. Montaldo dirige pellicole dalla forte vena politica, mai banali e di ampio respiro culturale. Indimenticabili sono certamente le collaborazioni con Gian Maria Volontè, il più grande attore impegnato della storia del cinema italiano, in film simbolo della lotta contro il potere, su tutti Sacco e Vanzetti e Giordano Bruno.
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti
Il racconto è quello della storia vera di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (interpretati magistralmente da Riccardo Cucciolla, palma d’oro a Cannes per il ruolo, e Gian Maria Volontè), due emigranti italiani negli Stati Uniti condannati nel 1920 per tentato omicidio e rapina a mano armata dopo un attacco dinamitardo di presunti anarchici. Erano innocenti e vennero condannati alla sedia elettrica solo in quanto anarchici e italiani. Un rappresaglia politica che servisse da lezione. Montaldo veste i panni che più di 200 anni prima vestì Manzoni, quando descrisse l’appendice ai Promessi Sposi, ossia la storia della colonna infame. Stessa dinamica, due poveri cristi accusati di essere untori quando non lo erano per niente. Così Sacco e Vanzetti divennero martiri, consacrati anche dal film di Montaldo, dalle musiche commoventi di Ennio Morricone e dal canto soave ma drammatico di Joan Baez.
Giordano Bruno: il primo anarchico della Storia
Tra i tre film che compongono il ciclo del potere, Giordano Bruno spara a zero sul potere religioso, allora anche esecutivo (mentre Dio è con noi mina il potere militare e Sacco e Vanzetti quello giudiziario).
Giordano Bruno, interpretato da un Volontè pienamente nel personaggio, rappresenta il martire per eccellenza della filosofia cinquecentesca, che, per non ritrattare le proprie idee fu disposto a morire sul rogo. Molto spesso lo si cita in correlazione con l’altro grande personaggio costretto ad abiurare in un periodo in cui la Chiesa post-conciliare è molto suscettibile ai cambiamenti (atteggiamento cronico), ossia Galileo Galilei. Due situazioni analoghe, risultati diversi. Galileo, scienziato, ha necessità di portare avanti il lavoro. Bruno è filosofo che lotta per le sue idee. Mai soggetto fu più adatto per il fermento culturale degli anni ’70. Si consideri che ancora oggi, in piazza Campo de’ Fiori a Roma la gente omaggia la statua di Giordano Bruno ponendo dei fiori. Segno che ancora oggi, dopo centinaia di anni, è il simbolo della lotta per la libertà d’espressione.