La settimana di Ferragosto segna idealmente il limite della stagione appena passata e l’inizio della successiva. Gli uffici organizzativi, intenti a perfezionare tempi e luoghi degli spettacoli invernali sono giustamente in vacanza. La sospensione agostana è di prassi: tutto è rimandato a settembre. D’altronde molti cartelloni sono già completi; titoli e date sono stati annunciati, e i palcoscenici dei maggiori teatri nazionali attendono soltanto il «chi è di scena» per riaprire il sipario. In realtà, però, sono ancora molte le compagnie che devono completarsi; non tutti i ruoli sono stati assegnati, ma – si sa – ogni locandina si può perfezionare anche all’ultimo momento.
TEATRO DI ROMA – I ruoli più importanti che mancano all’appello sono, però, quelli dello staff organizzativo del Teatro stabile di Roma. Ad oggi ancora nessuna novità ufficiale: eppure i nomi dei membri del Consiglio d’amministrazione sarebbero dovuti essere già eletti e l’incarico istituito. A Via dei Barbieri, invece, sono talmente in alto mare, che non vale la pena nemmeno ipotizzare il prossimo direttore artistico dello Stabile, colui che, in teoria, dovrebbe guidare la stagione che, nella realtà, comincia fra meno di un mese. Ministero della Cultura, Assessorato regionale e Campidoglio, al momento pare abbiano sospeso le ricerche per godersi un po’ di ferie, certamente meritate. La terna dei papabili (che secondo indiscrezioni dovrebbe essere formata da Marco Prosperini, Francesco Siciliano e Danilo Del Gaizo) individuata il mese scorso è ferma ai blocchi di partenza: si attendono ancora aggiornamenti riguardo alle quote rosa. Nel silenzio della calura d’agosto sento ribellarsi l’immortale anima di Re Riccardo che, dalle tavole del palcoscenico dell’Argentina, grida «Il mio regno per un Cda»! I suoi burocrati faranno sapere qualcosa al popolo di Roma prima dell’autunno? Anche se la speranza è sempre l’ultima a morire, il protrarsi di questo silenzio assume imbarazzanti atonalità. Riccardo III sa bene che dietro un silenzio troppo lungo potrebbe nascondersi un agguato.
TEATRO VALLE – Gli stessi enti avevano annunciato, con gloria di resurrezione, l’imminente impegno a voler portare a termine i lavori all’interno del Teatro Valle. «In diciotto mesi la storica platea romana tornerà ad essere agibile», disse l’assessore alla cultura Gotor, due mesi fa. Purtroppo niente di nuovo nemmeno sul fronte della sala oggi intitolata all’indimenticata Franca Valeri, la quale, da lassù, col sarcasmo che le apparteneva, si chiederà il motivo che ha indotto qualcuno a dedicarle il Valle già nell’aprile del 2021 a porte chiuse. Un’impellenza, de facto, rimasta sospesa.
TEATRO INDIA – Circa vent’anni fa, un teatrante assai fortunato, avendo scoperto che a Londra (e in altre metropoli mondiali) i teatri tiravano su il sipario tra le 19 e le 20, suggerì che anche le platee di Roma, per non perdere spettatori, avrebbero dovuto adeguarsi agli orari europei. «Bisogna anticipare alle 20, perché chi lavora – fu il senso della spiegazione – una volta raggiunta casa, poi fa più fatica a rimettersi in auto per andare a vedere uno spettacolo». Alcuni enti teatrali presero sul serio l’avventato consiglio: il caso poi ha voluto che l’Eliseo ha chiuso i battenti e il Teatro di Roma… beh, è inutile infierire! Con questa osservazione non si vuole attribuire la sfortuna di qualche palcoscenico capitolino all’orario d’inizio spettacolo, ma soprattutto il Teatro India (anch’esso dello Stabile romano), che pur propone interessantissimi appuntamenti, anticipando alle ore 20 l’inizio delle rappresentazioni, spesso mette in difficoltà (e non pochi sono costretti a rinunciare) coloro che s’affrettano ad attraversare la città in un orario in cui le strade sono ancora affogate dal traffico di coloro che a Roma amano gozzovigliare in macchina prima di cena. Infatti, a quell’ora, diventa impresa assai ardua ed impervia raggiungere il lungotevere Vittorio Gassman, laggiù, di fronte al gasometro, nel lontano Ostiense, arrivando da una qualsiasi altra zona della Capitale. Non ci sono fermate del metrò nei paraggi, sul servizio Atac non si può fare affidamento, non esiste un parcheggio adibito al pubblico, insomma, pur se a malincuore, si deve convenire che il lontano Ostiense non è il West end londinese, né la Broadway newyorkese: ergo, se il prossimo direttore artistico (quando sarà!) volesse prendere in considerazione le difficoltà dello spettatore volenteroso gli saremo tutti grati. E vedrà che il pubblico non lo tradirà.
TEATRO QUIRINO – I cambi ai vertici di un teatro sono sempre avvenuti, e spesso hanno anche portato nuova linfa creativa. Messo alle strette dalle maglie della burocrazia economica (il conteggio delle fantomatiche azioni societarie), Geppy Gleijeses, che non è mai stato uno yuppy, ha elegantemente fatto un passo indietro, lasciando la guida del Quirino alla coppia Coppolino-Ferro. È questo il risultato – positivo o negativo, sarà il pubblico a giudicare – di un braccio di ferro nel quale non vogliamo indagare. Tuttavia, l’altro risultato, quello che il braccio di Ferro (stavolta maiuscolo!) ha messo in evidenza, riguarda il cartellone. Caro Ferro – mi permetta un’accorata confidenza – in tempi non molto lontani, il direttore artistico di un noto teatro nazionale fu messo in croce dalla stampa e dall’ambiente (entrambi all’epoca più severi e molto attenti) perché osò proporre in cartellone due sue regie nell’arco della stessa stagione. Certo, a rendere eccessiva quella prepotenza, giocò il fatto che si trattasse di un teatro pubblico e non privato come il suo; ma da dietro la scrivania non si vuol mai comprendere che un teatro, al di là della formula gestionale, resta sempre pubblico: sia perché si rivolge direttamente al pubblico, sia perché per vivere ha bisogno proprio del pubblico, ragion per cui il rispetto nei confronti dell’auditorio è alla base di ogni rapporto. Lei ha ben riflettuto a quel che potrà pensare lo spettatore assiduo, a fine stagione, quando si accomoderà in platea per assistere alla sua quarta regia? Suppongo che lei sappia che l’aglio, simbolo apotropaico da voi scelto per il 2023/24, quando è troppo, rischia di diventare poco gradevole!
ORDINE DEI GIORNALISTI – Da qualche anno, l’Ordine dei Giornalisti obbliga, a noi iscritti all’albo, corsi di aggiornamento formativo professionale, strutturati su approfondimenti da scegliere in una rosa di argomenti presumibilmente di nostro interesse. Così ci si può erudire, seguendo lezioni in presenza o tramite web, sul digital tools, sullo smartcontent, sul divenire dei social, oppure sul problema dell’autismo e dell’Alzheimer, sulla vita nelle carceri, sulla guerra, sui migranti, sull’aumento della violenza in generale e in particolare sul femminicidio, ma sul teatro, vessillo della cultura popolare (particolare troppo spesso dimenticato o confuso) non sono previsti ragguagli dell’ultima ora. L’osservazione critica mira a denunciare la conferma di una ormai ventennale strafottenza da parte della stampa tutta nei confronti della cultura teatrale. Fino a metà degli anni Settanta del Novecento le premiére teatrali al Valle o all’Eliseo di Roma, al Piccolo o al Lirico di Milano, o al Politeama di Napoli venivano seguite dai maggiori quotidiani nazionali esattamente come una odierna importante sfida calcistica di Champions. Oggi lo spazio che un quotidiano riserva al teatro è minimo, e neanche giornaliero, perché – è più che evidente – i nuovi redattori non sono più interessati all’argomento, tant’è che il teatro è diventato un tema di rincalzo sui tavoli redazionali (dopo aver già abbandonato quelli ministeriali). Ed ecco che anche l’Ordine dei giornalisti, ahinoi, si adegua ai suggerimenti del passaparola più spicciolo, alle tematiche più dibattute e conformiste, quelle che una certa politica, ormai stantia, soffusamente impone da qualche tempo ai media. Così è meglio aggiornarsi su quegli argomenti che sono già sulla bocca di tutti, anziché dar spazio al libero pensiero che da sempre combatte l’omologazione.
Evviva il teatro, eterno risorgimento culturale.