“Rapito” raccontato da Marco Bellocchio

Lo scorso 6 luglio, presso il CineVillage di Monteverde in Largo Ravizza, è andato in scena l’ultimo film di Marco Bellocchio, Rapito. Nonostante l’organizzazione non sia stata propriamente delle migliori (si entra dal bar facendo slalom tra i camerieri, interessante se fosse uno speak easy), la rassegna del cinema all’aperto di CineVillage è interessantissima. Tanti ospiti, sia a Monteverde che a Piazza Vittorio, introducono i loro film mediati da un esperto del settore od altri membri dello spettacolo.

Le arene all’aperto dimostrano anche quest’anno che il settore in sé non è in crisi, e non lo è neanche il concetto di cinema come luogo di ritrovo dove vedere i film. Orde di persone che si accalcano, rimangono in piedi, per vedere il film di Bellocchio (un film tutt’altro che semplice e modaiolo da vedere) raccontano di uno strumento a pagamento, seppur simbolico di 3 euro, che funziona. Brulicano in tutta Roma – che da questo stretto punto di vista rimane fertilissima di persone che vogliono vedere film, e bei film – arene all’aperto, vuoi anche l’esplosione mediatica del cinema america e la sua rassegna Il Cinema in Piazza.

In questo l’ospite è fondamentale. Aneddoti, spiegazioni, idee. Molti autori hanno aderito alla causa (vuoi anche per lecito interesse personale) dei cinema all’aperto. Bellocchio si è aperto con il pubblico raccontando la genesi del film e varie, interessanti storie che riguardano la nascita dell’idea.

Non tutti sanno che prima di Bellocchio si sono interessati alla storia registi del calibro di Steven Spielberg, Julian Schnabel e Pupi Avati. Il soggetto è oggettivamente attraente, da romanzo ottocentesco.

Bellocchio ha raccontato di essersi concentrato molto sulla tensione melodrammatica della musica, che emerge al massimo in quelle scene frutto della sua fantasia, all’interno di un film tendenzialmente realistico. La scena che ha più colpito è certamente la discesa dalla croce di un Cristo rassegnato che se ne va, proprio come nell’ucronia che ha portato Bellocchio a far evadere Aldo Moro dal covo in Buongiorno, Notte (2003)

E’ un dramma religioso attraverso gli occhi di un bambino che si trova bene nel suo nuovo ambiente religioso, a dispetto del suo fattuale rapimento. Il tema del rapimento è molto caro a Bellocchio, così come è gli sta a cuore il tema del racconto della verità. Su questo è uno storico. Mostra come la manipolazione della storia sta alla base del plagio delle menti. Ad Edgardo è stata impartita un’educazione cristiana rigorosa, e lui cresce così nonostante ebreo. Ora è fortemente cattolico e anche sul letto di morte della madre, lui prova a battezzarla per salvarla. Lui che era stato battezzato clandestinamente e sottratto alla famiglia, è ora il suo stesso carnefice. Prima plagiato poi plagiatore.

Questo dualismo interiore è anche un elemento che, in una delle scene più forti, sembra essere uscito da Fight Club. E’ un Edgardo vs Edgardo nella scena del corteo funebre del Papa, in cui la folla manzoniana cerca di gettare il feretro nel Tevere.

Una postilla interessante riguarda la madre di Edgardo che non accetta ovviamente la privazione del figlio, ma non accetta nemmeno che stia bene nel nuovo contesto.

La storia non è solo sfondo. Edgardo, il bambino ebreo rapito, diventa un simbolo. Il Papa si impunta nella follia e Edgardo è l’ultimo baluardo di una perdita del potere temporale del Papa alla soglia dell’Unità d’Italia. Il caso Edgardo Mortara è uno degli ultimi scandali di rapimento che ha coinvolto direttamente la Chiesa. Bisognerà aspettare Emanuela Orlandi per un evento di cotanta portata.

Nel geniale film di Bellocchio c’è anche spazio per molta comicità, specie con quel bambino romanissimo, fedele amico del piccolo Edgardo.

Nonostante sembri medioevo infatti, è un periodo relativamente vicino, se si pensa soprattutto che Edgardo muore nel 1940. Mio nonno aveva vent’anni.

Teatro Roma
Grazia Menna

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