Depardieu è un Maigret nostalgico e senza pipa

Il cadavere di una ragazza è stato ritrovato in Place Vintimille, nel 9° arrondissement, a Parigi; indossava un abito da sera degli anni Trenta, ma non aveva con sé alcun documento identificativo. Nessuno sa chi è, e nessuno l’ha mai vista. Maigret ha a disposizione soltanto pochissimi elementi per scoprire l’assassino, eppure, poco alla volta, il puzzle si compone; e, grazie a un’altra ragazza che pare somigliare alla vittima sia nel fisico che nelle abitudini solitarie, il commissario giunge a smascherare i colpevoli.

In un film giallo non si può certo raccontare la trama. Le poche righe appena descritte sono sufficienti a sintetizzare il soggetto del film che Patrice Leconte ha voluto dedicare a uno degli investigatori più famosi e amabili della letteratura e del cinema. Jules Maigret, personaggio creato da Georges Simenon nel 1929, protagonista di ben settantacinque romanzi e ventotto racconti dell’autore belga, qui è alle prese con un omicidio a sfondo – lo scoprirà egli stesso durante le indagini – sessuale, mentre nel romanzo («Maigret et la jeune morte» del 1954) il movente è una cospicua eredità.

In una Parigi che sembra fissata su un fondale di una scena teatrale, dipinta come una metropoli fantasma, immobile e deserta, immersa quasi sempre nella penombra, immagine bloccata da una patina nebbiosa di malinconia, Gerard Depardieu si muove con cautela, quasi al rallenty, senza mai voler «ricordare» gli atteggiamenti autorevoli e scomposti di Jean Gabin, o quelli energici e spocchiosi di Gino Cervi (due tra i volti più famosi e riusciti del commissario francese). Depardieu offre una delle sue migliori interpretazioni di questi ultimi anni. Incarna un Maigret stanco, spossato, forse addirittura malato: il suo medico, all’inizio, dopo una visita, gli proibisce di fumare; e questo è un abile escamotage inventato da Leconte che così riesce a togliere di bocca al commissario anche la fastidiosa pipa, divenuta stantia, ormai fuori moda. La pipa avrebbe imposto al protagonista un contegno imperturbabile, avrebbe reso distante il rapporto che invece il commissario vuole instaurare con la ragazza che prenderà il posto della vittima. Diciamoci la verità: la pipa sarebbe stata una seccatura! Leconte se l’è cavata egregiamente dedicando all’attrezzo, divenuto il simbolo del personaggio, una scena in cui Maigret insegna l’arte della boccata a un giovane detective che non sa ancora aspirare.

Gino Cervi (a sin) e Jean Gabin nelle vesti del commissario Maigret

È la prima volta che Leconte e Depardieu lavorano in coppia e il risultato è assai pregevole. Insieme hanno costruito un investigatore inedito, certamente moderno, ma dai tempi compassati. C’è un’aria romantica e un po’ nostalgica che trasuda dall’investigazione, un malcelato rimprovero ai nuovi detective che si servono di troppa scienza per incastrare l’assassino, mentre il mestiere del commissario «alla Maigret» è un raffinato lavoro d’intelletto, esattamente come quello di uno scrittore di libri gialli. Bisogna avere il fiuto, bisogna saper ascoltare, bisogna osservare bene, perché l’assassino avrà certamente lasciato qualche traccia. Nel frattempo Maigret sorseggia un bicchiere di vino bianco. «Ma lei non beveva birra?», gli chiede un oste. «Sì – risponde – ma ho cominciato il caso bevendo il bianco e non posso mischiare prima di aver terminato!»

Maigret, un film di Patrice Leconte del 2022; tratto dal romanzo di Georges Simenon «Maigret et la jeune morte»; sceneggiatura di Patrice Leconte e Jérôme Tonnerre; con Gérard Depardieu (Jules Maigret), Jade Labeste (Betty), Mélanie Bernier (Jeanine Arménieu), Aurore Clément (Madame Clermont-Valois), Clara Antoons (Louise Louvière), Pierre Moure (Laurent Clermont-Valois), Bertrand Poncet (Lapointe), Élizabeth Bourgine (Irène), Anne Loiret (Madame Maigret). Notti di cinema a piazza Vittorio, 1° luglio 2023