Al suo debutto dietro la macchina da presa, l’australiana Frances O’ Connor, finora soltanto apprezzata come attrice, sfodera il talento di un veterano, non solo per l’accurata regia, ma anche per la fluidità della sceneggiatura, tra le più intense di questo periodo. Emily ripercorre gli anni giovanili dell’autrice di Cime tempestose, morta appena trentenne, poco dopo aver dato alle stampe il suo romanzo. Il film ha il pregio di rimanere autonomo dalle vicende del racconto scritto, tranne che nell’ambientazione e nelle improvvise «tempeste» sentimentali: sono questi i due binari paralleli su cui scorre agevole la storia della giovane Emily Jane, interpretata dalla intrigante e affascinante Emma Mackey, qui capace di essere al contempo sfrontata e altera ma anche gioiosa e trepidante. Anzi, il libro resta il punto di riferimento, un traguardo da raggiungere per la O’Connor, la quale con le immagini cerca di costruire le fondamenta logiche, sentimentali e psicologiche più opportune e convincenti che andranno a sostenere il fulcro dell’opera letteraria.
Costretta, insieme con le sorelle e il fratello, a vivere già dall’infanzia senza il calore materno, ma sotto il severo controllo del padre, il curato del villaggio, Emily predilige seguire il suo istinto solitario e indipendente. Non ama le riunioni ecclesiastiche, l’unica occasione per socializzare, ma preferisce il silenzio della campagna. Un atteggiamento che la rende diversa agli occhi degli altri, che di lei dicono «la strana»: carattere chiuso e scontroso che non passa inosservato al fratello Branwell (Fionn Whitehead), il quale grazie alla sua frizzante esuberanza riesce a conquistare la fiducia della sorella. Tra i due nasce un intimo e casto rapporto di profondo amore, d’intesa intellettuale (Byron ne è l’incantatore), di complicità nascoste. È lui che le apre il mondo delle sue possibilità letterarie: libera il pensiero, le dice, e vedrai il mondo diversamente. Ma l’arrivo di Weightman, giovane pastore nella piccola comunità protestante, fa scoppiare la tempesta dei sentimenti sulle cime delle piovose colline dello Yorkshire.
Nel romanzo della Brontë si racconta di un travagliato amore tra Heathcliff e la sorellastra Catherine, mentre la O’Connor, per il suo scopo, predilige la versione che presumibilmente più si dovrebbe avvicinare alla realtà: cioè, che curiosità, tormenti e angosce si rincorrano tra fratello e sorella. Infatti è la passione di Emily per Weightman (Oliver Jackson-Cohen, troppo bello fino a diventare un po’ stucchevole) che scatena una forte gelosia depressiva in Branwell, che poi sfocia in una sottile e perfida vendetta. Il film è costruito psicologicamente molto bene: s’intuisce che in casa, sin dalla morte della madre, i quattro fratelli abbiano cercato ciascuno un valido supporto sentimentale che potesse sostituire l’affetto più importante venuto a mancare troppo presto. Più di una volta Charlotte (Alexandra Dowling, asciutta zitella), la maggiore, viene accusata di voler prevaricare sugli altri per assicurarsi l’amore paterno, e questo potrebbe essere il motivo per cui Branwell cerca invece riparo nel cuore della sorella minore, e viceversa, fino a quando non si sente tradito, finendo prima tra le braccia di una donna sposata e poi a cercar conforto nell’alcol che spazzerà via ogni sua labile velleità letteraria.
Con grande sensibilità Frances O’Connor semina affezioni e livori, tenerezze e rancori in tutti i protagonisti della vicenda reale che al finale diventeranno quei personaggi che andranno a sollecitare la penna di Emily Jane per rinascere nel suo capolavoro letterario. Tutti concordi, costoro, nell’affermare che nella vita c’è una sola verità: amare ed essere amati. Qualche altro scrittore ha suggerito che si tratta anche dell’unica felicità, ma non fu così per Emily Brontë che nell’amore trovò soltanto il sapore amaro dell’egoismo delle persone di cui si circondava. Lo dichiara apertamente Charlotte dopo aver corretto le bozze: «È un libro orrendo: sono tutti egoisti. Ti odio», urla piangendo disperata per aver letto il ritratto del loro piccolissimo mondo.
A tal proposito è facile intuire che quando i tre volumi giungono freschi di stampa in casa Brontë, si tratta naturalmente della prima edizione della Newby. Sulla copertina si legge «di Emily Brontë», ma quella del 1847 era firmata da Ellis Bell, pseudonimo che conserva le iniziali della scrittrice. Fu poi la sorella Charlotte, dopo la morte di Emily, ad autorizzare la stampa con il nome dell’autrice.
Nota bene. La proiezione dura 130 minuti, ossia due ore e dieci, e, pur non essendo un film d’azione, non risente mai di alcuna lentezza: i dialoghi si alternano con un ritmo ben serrato, merito, al di là di una pregevole sceneggiatura, anche di un raffinato lavoro in sede di montaggio. Bellissime le musiche di Abel Korzeniowski che tuttavia ricordano molto quelle composte da Mychael Nyman per «Lezioni di piano» di Jane Campion, un film e una regista che molto bene influenzano il lavoro della debuttante Frances O’Connor.
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Emily, un film scritto e diretto da Frances O’Connor del 2022, con Emma Mackey (Emily Brontë), Alexandra Dowling (Charlotte Brontë), Fionn Whitehead (Branwell Brontë), Amelia Gething (Anne Brontë), Oliver Jackson-Cohen (William Weightman), Adrian Dunbar (Patrick Brontë), Gemma Jones (Zia Branwell). Costumi di Michael O’Connor, musiche di Abel Korzeniowski
Foto di copertina: Emma Mackey è Emily Brontë nel film di Frances O’Connor