Hai mai sentito parlare di apatia digitale, come anche di cocaina digitale? Il tuo smartphone ti ha reso tossicodipendente? Stai colmando con passatempi inutilmente compulsivi una angoscia banale da horror vacui? Ti spaventa l’idea di una disassuefazione progressiva? E se scoprissi che questa realtà è pesantemente depotenziante? Che hai affidato tutta la tua memoria emozionale a un cellulare che se mai dovessi malauguratamente perdere ti sembrerebbe che il mondo stia finendo?
“Si chiama droga quando non puoi rimandare.
Si chiama droga quando non ti rendi conto dei casi in cui un certo comportamento è appropriato e di quelli in cui proprio non ci sta.
O forse più che droga dovremmo chiamarla anestesia.
Che poi in effetti è una droga. L’anestesia alla vita, dove puoi rifugiarti in Candy Crash ogni volta che non vuoi fare i conti con te stesso”.
Un saggio semiserio ed efficace sulle patologie contemporanee a opera di una terapeuta a tutto tondo, che capisce di psiche, corpo e schermi simultaneamente. Anestesia digitale edizioni Amazon di Ma Anand Vayu Meera entra a gamba tesa nell’era digitale, senza condanne assolute e insieme senza bonarietà eccessiva, svelandone paradossi e potenzialità, anche dai più inespresse. Il testo scandaglia tante abitudini quotidiane, come il conservare migliaia di foto che non riguardiamo mai, l’annegare sommersi di notifiche per qualsiasi cosa, il vivere per ottenere un cuoricino su una storia IG.
Come sarebbe se invece di attuare sulle persone il quotidiano allenamento alla violenza idiota imparassimo a coltivare qualcosa di diverso? L’abitudine alla bellezza, all’abbondanza, a riconoscere e sviluppare il nostro sapere, a renderci conto di che vita vorremmo e a imparare a crearla? Di fatto, il processo dell’apprendimento delle informazioni è qualcosa di molto più complesso e conservativo di quello che pensiamo, ma anche qui vincono le domande: sono davvero disponibile a riprendermi uno spicchio di vita in più andando contro le regole del gruppo che mi vuole connesso sempre e integralmente? Riesco ad essere felice a prescindere dei like che ricevo su FB o mi sto mentendo? Sono in grado di assumere come bella la parte ordinaria della mia stessa vita senza nascondermi dietro uno schermo? Eppure le soluzioni sono abbastanza semplici, il problema è che vi siamo disabituati: meditare, passare tempo in mezzo alla natura, non aver paura del proprio legittimo dolore, assumere la presenza come ricetta di una guarigione che ha il sapore del risveglio.
E forse la domanda definitiva è: ho veramente voglia di svegliarmi o tutto sommato vivere come avatar di me stesso mi è diventato comodo?