“Lo stato delle cose” di Max Bruno al Parioli

Uno spettacolo postsessantottino, un salvagente per non affondare!”

Se nel post modernismo la Polis altro non è che villaggio globale, sempre più glocal, il linguaggio e il tempo di reazione non sono (più?) i centottanta caratteri dei tweet, già obsoleti, ma i sessanta secondi (medi) di un video di tiktok. È dunque ai giovani col loro linguaggio e i loro codici che bisogna rivolgersi, in maniera dialettica, praticando l’onestà intellettuale necessaria a chi intenda aprirsi realmente al nuovo, col coraggio di mettersi a nudo, ed una buona dose di umiltà. Ci riesce, e merita un plauso, Massimiliano Bruno nel suo “Lo stato delle cose”, in scena al Parioli fino al 21 maggio. Al confine tra metacinema e commedia. In uno spazio ora grottesco ora onirico, che somiglia ad un set cinematografico ed è tutto in limine tra lo spazio scenico ed il luogo fisico, reale – il suo “ laboratorio di arti sceniche”, una fucina dove forma ogni giorno aspiranti attori. Uno spettacolo che cambia di settimana in settimana.

Trentatré  sono i monologhi, un collage di pezzi redatti dal regista, tra cinema tv e narrativa, negli ultimi vent’anni, messi in scena ora da Bruno ora dai suoi molti amici ed allievi, giovani e meno giovani, con freschezza, forza vitale e propulsiva. Una  staffetta tra monologhisti, un po’ bottega creativa un po’ mise en espace del brain storming all’amatriciana, á la “Boris”. Un ping pong drammaturgico e di battute tra il regista in crisi creativa, affetto dalla sindrome della pagina bianca, segretariamunito, ed il vespaio di “pischelli” che gli ruotano attorno come un sole,  tentando di attirarne l’attenzione e cimentandosi nei ruoli sempre diversi. 

Di sicuro impatto, ed efficace, la scelta di immortalare lo scrittore in crisi, quasi in una riscrittura dei “sei personaggi” pirandelliani; gli attori che giungono in  suo soccorso; e lo sforzo di trattare un collage di temi, ora sociali politici di costume ed esistenziali. Tra il serio e il faceto, come da miglior tradizione Classica. Ora Macchiettistici, smaccatamente comici e corrosivi, ora plumbei e struggenti , talvolta intimi, talaltra corali, i pezzi vantano vieppiù una  eco drammatica ed autobiografica che prende per mano lo spettatore e lo avvince. Schiudendo una miriade di finestre sul mondo.Un’impresa non da poco per Max Bruno, reduce dal successo nelle sale con “I migliori giorni”.

Sin dall’incipit . Sul palco sembra di vedere uno schieramento di giovani opliti –  questa settimana, nel cast : Malvina Ruggiano, Martina Zuccarello, Alessia Capua, Niccolò Felici, Federico Capponi, Francesco Mastroianni, Kabir Tavani, Francesca De Cupis, Sofia Ferrero, Giorgio Petrotta, Giulia Fiume . Al centro della moltitudine, a gremirla,  Max Bruno, che ha il dono di elevare debolezze e fragilità della gente comune a geografie umane, anelito all’universalismo comico postverdoniano.  Ne sono una evidente evoluzione, con il lascito ultramoderno ed iper realistico della commedia all’italiana, ancorché estroiettate nel codice stilistico e linguistico 3.0 (sicuramente più congeniale ad un pubblico giovane  ) . Una radiografia, una diagnosi sullo stato di salute del nostro Paese. 

La situazione è grave ma non è seria, non sempre . “Lo stato delle cose” porta in scena il male di vivere  e la solitudine estrema di oggi. Non quella che affligge (solo) gli  artisti ma  (più tragicamente) l’uomo  della strada . Le tematiche nevralgiche constano nella delusione, la (dis)illusione, la vergogna per le proprie origini, la insofferenza verso i luoghi comuni, il razzismo, la mancanza di una identità definita. Ma la sintesi che ne risulta è un inno alla tenacia resiliente e finanche l’ auspicio alla ribellione. Un manifesto sulla forza di vivere dei ribelli di ogni giorno. Col consueto talento nell’interpretare i turbamenti, le problematiche ma anche i vezzi  intergenerazionali, dai giovani ai meno giovani sino agli Z, erogando un medium variegato ma sempre altamente fruibile per il pubblico – un medium che si nutre di testi e va dalla serie tv al cinema passando per la scena,  Bruno ci fornisce dei ritratti umani vividi, vivissimi, dei quali ci si innamora e che tratta di volta in volta usandogli la delicatezza del cristallo,  l’usuale maestria scenica e lo humour dissacrante, a tratti di pancia. Una comicità venata di cinismo, lungi nondimeno dal tradire la verità e l’affezione che prova nei confronti dei suoi personaggi e dei suoi attori. Praticando una profonda onestà intellettuale che ne traghetta efficacemente le  tematiche e le drammaturgie a fitte  schiere di fan e di pubblico, il regista delinea “lo stato di cose” a un duplice livello: lo stato di crisi del singolo, lo scrittoreregista, Massimiliano ; ma anche la crisi del Paese, dilaniato da un cataclisma storico congiunturale – sotto il profilo sociale, economico e politico. Sono tempi bui, ci vuol coraggio ad ammetterlo, e vederlo rappresentato su un palco, per chi osserva,  ha una potenza catartica non da poco.

Bruno tramite i personaggi e gli abili  attori ci ritrae senza pietà nei vizi e nelle virtù. La drammaturgia sguazza nel dolore, nelle bile, nel crepuscolo delle illusioni, passando per l’autentico disagio generazionale  e le disavventure, intercettando il favore il carattere e la fisionomia di ogni generazione,  delle passate e delle future. E noi lo amiamo: Bruno sa bene cosa significa far commedia.

Plauto docet, Aristofane anche, direbbero alcuni. Uno spettacolo postvanziniano, lo definirebbero altri, con passi che riecheggiano il compianto Mattia Torre . 

Un suggello ironico al fascino street urban, “sciallato”,  vagamente nazionalpop, ora sopra le righe ora urticante, di questa  romanità (ma anche meridionalità) “selvaggia” . Una italianità sfrontata  ma a suo modo lirica, che cerca lo scontro con l’altro ma  si nutre di grandi passioni. E viene rappresentata nelle diverse fasi storiche, guardando senza paura alla gente disperata, ai marginali,  alla umanità “senza approdi”, che naviga le acque tempestose della metropoli, in una lotta incessante per la sopravvivenza . Ironizzando su tutto si tenta di far qualcosa della propria, darle un senso – così il  regista stesso, ma anche taluni personaggi più introspettivi ed autobiografici . Oppure, come si dice a Roma, “ anche meno”.

È l’epopea suburbana della gente che si trascina affondando tra un giorno e l’altro;  gente comune, ordinaria. Chi si aggira in un supermercato, chi in periferia; scene di quotidianità pop. Al centro di una simile costellazione,  l’artista in crisi .

Ciascuno coi suoi guai, cantava Vasco; in chiave ora bassa ora alta, ieratica ed apotropaica, siamo ritratti  ciascuno nella propria odissea quotidiana. Ci si  guarda negli occhi, solidali,  con sincera partecipazione. E ci si infonde la forza necessaria ad affrontarlo, questo tragicomico stato di cose, con una risata. E la consapevolezza, come diceva qualcuno, che l’identità la si trova nell’amore. 

Il teatro è un rito collettivo che si rinnova, irripetibile, sempre diverso. L’ambizione e forse presunzione di reinventare il teatro passando dal cinema, dal set, dalla fucina, finanche dall’atellier,  è un’impresa notevole, ardita, talvolta meritoria. Col risultato che non è teatro in purezza, che si fa al Parioli,  ma un rinnovarsi del rito, estremamente in linea  coi tempi e partecipato  dal pubblico, sino all’ovazione. Una staffetta di monologhisti accolta   a furor di popolo. E forse di questo nuovo teatro un po’ spurio, fuori dai ranghi, nutrito di falle e imperfezioni – questo nuovo teatro che è contaminazione e vita nella sua potenza deflagrante, soverchiamente catartica,  un teatro che travalica e trascende  i generi e gli stili, ma è  così umano – avevamo davvero bisogno in era post covid. Il Teatro riacquista le sembianze di un atto ecumenico, condiviso, quasi tribale. Ciò che resta e ci accompagna al rientro nelle nostre case, quando ci troviamo soli a riflettere e fissare la macchia sul soffitto che si allarga, curiosamente, non è come sovente accade l’  interrogativo cosmico (insoluto e irresolubile), fumoso e ondivago. Di quei quesiti che possiamo solo lambire col pensiero , annichiliti . Ma è un’ombra di speranza. Ciò che resta è un sentimento vivificante,   reviviscente

, di reazione al dolore, al male di vivere, al dramma esistenziale. Un salvagente per provare a non annegare e resistere nelle tempestose  acque della city – Roma ma molte altre metropoli- ove migliaia di persone ogni giorno vanno controcorrente o alla deriva : lottano per la sopravvivenza . Brutally honest, dicono gli anglosassoni: ecco il dono di questo spettacolo; e poi, potenza e verità . E quando ci alziamo siamo diversi, mutati, più di quanto vorremmo ammettere. Con nel basso ventre, nelle viscere, un sentimento fanciullesco di meraviglia  ed affidamento, fiducia, conforto. Soprattutto proviamo una gioia inconsulta, inopinata,  nell’ osservare gioire a sua volta un pubblico giovane ma anche maturo  che dalle primissime battute compartecipava, quasi fosse coprotagonista della messa in scena , quindi rideva  e si abbandonava a questa cerimonia  condivisa . 

“Lo stato delle cose” è  uno spettacolo post sessantottino in cui si condensano – con successo-  nei quaranta secondi canonici  delle storie Instagram, una moltitudine di  universi differenti. Tasselli drammaturgici  che sono fiumi carsici di  scavo psicologico, umano, emotivo, sociale – scevro da qualsivoglia scoria di narcisismo o pretenziosità . Ed il pubblico apprezza, grato di stilemi e codici finalmente  cristallini .  Chè oggi l’agorà non è più il salotto borghese o la stanza del potere,ma sono i giovani, con Massimiliano Bruno al centro, osservati non dal buco della serratura ma che si muovono  liberi, anche sconsideratamente, in questo locus protetto, in questa incubatrice di nuovi volti, in questa fucina che è il Laboratorio di arti sceniche e ad un tempo, stasera fino al 21 maggio,  è il palco del Teatro Parioli. Appare evidente come un regista, oggi, che  voglia davvero giungere  al pubblico  e farsi capire debba possedere il cuore ed il fegato di dire la verità e parlare seriamente, mettendosi a nudo. Deve mettersi in gioco. E che lo faccia quotidianamente con i ragazzi, in una  prassi quasi  maieutica , dando spazio ai giovani , come nelle parole e nelle intenzioni di Bruno, e mettendo da parte l’ego ipertrofico che ahinoi affligge molti addetti ai lavori, è un ottimo inizio. Si riscopre dunque una dimensione ecumenica del teatro, sociale  ed anche giocoforza politica, in questo spettacolo post sessantottino – dalla critica alla famiglia, agli abiti ed alle maschere che questa unitamente alle istituzioni  ci impone, passando per l’inganno e le mistificazioni cui siamo conniventi in quanto consumatori: vittime delle pratiche del mental coaching, dei fautori della psicologia spicciola, dei legami familiari, degli indottrinamenti dei centri sociali, dei lacci del  carrierismo, ma anche dell’oppio delle confessioni religiose. Poi ci fermiamo, cerchiamo noi stessi nell’ orientamento politico, e crolliamo nella amara consapevolezza del crollo definitivo della Politica . In tal senso, particolarmente incisivo ed efficace il ritratto  dell’Identità  impersonificata del protagonista – quasi un “doppio” plautino – un deluso della sinistra e traumatizzato dai Fasci, che non si ritrova  in nessuno schieramento ; ci fa ridere e piangere; finché finalmente comprende se stesso e gli altri, e noi comprendiamo con lui. La cura, il  solo quadrifarmakon possibile si rinviene nell’unica lingua universale : l’amore.

“Lo stato delle cose”,Scritto, diretto ed interpretato da Massimiliano Bruno

Con: Cecilia Napoli, Matteo Milani, Lara Balbo , Anna Malvaso, Giorgia Remediani, Daniele Locci, Francesco Mastroianni, Giulia Cavallo, Daniele Di Martino, Filippo Macchiusi, Cristina Chinaglia (3-7 maggio)

Malvina Ruggiano, Martina Zuccarello, Alessia Capua, Niccolò Felici, Federico Capponi, Francesco Mastroianni, Kabir Tavani, Francesca De Cupis, Sofia Ferrero, Giorgio Petrotta, Giulia Fiume (10-14 maggio)

Sara Baccarini , Tiziano Caputo,  Agnese Fallongo, Giuseppe Ragone, Rosario Petix, Chiara Tron, Daniele Trombetti, Germana Cifani, Federico Galante, Clarissa Curulli, Liliana Fiorelli (17-21 maggio)

Luci: Salvatore Faraso – Costumi: Valentina Stefani – Scenografia: Alessandro Chiti – Coordinatrice Susan El Sawi – Aiuto Regia: Sara Baccarini  – Assistenti alla regia: Lorenza Molina, Roberta Pompili, Paolo Sebastiani – Produttore esecutivo: Enzo Gentile

Al teatro Parioli , dal 3 al 21 maggio