Uno dei casi di cronaca più sconvolgenti dello sport italiano è diventato oggetto di una docuserie di quattro puntate, marchiata inconfondibilmente Netflix. Il colosso dello streaming è amante delle vicende italiane più intricate con un particolare fetish verso l’oscuro.
In questo caso la vicenda di Alex Schwazer, campione olimpico di marcia, non è assolutamente una semplice storia di doping sportivo, ma è un terremoto che tocca lo sport mondiale, la giustizia internazionale e complotti criminali.
Quella di Schwazer è una carriera atipica; picco massimo raggiunto quasi subito con l’oro ai giochi di Pechino 2008. Ma è solo l’inizio della fine. Il 6 agosto 2012, Schwazer viene trovato positivo all’EPO (sostanza dopante che aumenta il numero di globuli rossi, quindi maggiore resistenza alla fatica). Il paese intero ricorda quell’intervista. Il campione altoatesino scoppia in un pianto di liberazione da quel periodo di sotterfugi e bugie che lo avevano gettato nel baratro della depressione.
La rocambolesca storia del test antidoping coinvolgerà anche Carolina Kostner, famosa pattinatrice e sua compagna dell’epoca. Mentirà ai commissari antidoping sulla presenza di Alex in casa e ciò le costerà un anno e quattro mesi di squalifica.
L’ammissione di colpa in prima istanza del marciatore è un fatto del tutto insolito, così come insolita è la dichiarazione di colpevolezza esclusiva per essersi procurato e iniettato la sostanza.
Le motivazioni sono da ricondurre a quella sindrome da competizione estrema, che non accetta d’esser secondo a nessuno. Ma in un periodo storico in cui gli atleti russi dominano tutte le discipline attraverso l’utilizzo ricorsivo del mezzo dopante, l’unico sistema per “tenere il passo” è il machiavellico fine che giustifica i mezzi. A ciò si aggiunge un’attenzione mediatica estenuante – campagne pubblicitarie e relazione vip – per un ragazzo trentino col ritmo di vita scandito da ore di passeggiate in montagna.
L’ambizione ipercompetitiva di campioni dello sport (Cristiano Ronaldo e Micheal Jordan sono i più grandi esempi) si mostra nel suo lato degenerativo. L’eccesso di ambizione è solitamente considerata una virtù nella società occidentale, e molto spesso vengono ritenuti superflui gli aspetti negativi. Anche qui, il fine che giustifica i mezzi.
C’è un largo excursus nella serie rispetto a tutto l’ambiente medico che accerchiava l’ambiente dell’atletica italiana. Dal guru dell’EPO, Francesco Conconi, alle trasfusioni in camper del Dr. Michele Ferrari, passando per i silenziosi e accondiscendenti medici della Federazione.
Se si pensava che la vicenda Schwazer fosse finita con la prima positività, non si è neanche a metà della storia. La faccenda si fa ben più oscura con la seconda parte della serie, quando al marciatore verrà segnalata la seconda positività al testosterone a ridosso di Rio 2016. Questa volta non c’è alcun mea culpa ma una battaglia legale che dura tutt’ora.
Davvero Alex Schwazer è ricaduto nella trappola del doping, oppure è una congiura indetta contro di lui e il suo allenatore Sandro Donati? Qualcuno, dopo il primo scandalo del sistema antidoping, aveva intenzione di estromettere l’atleta e il suo pericoloso allenatore antisistema?
Se dunque le miniserie su San Patrignano, Emanuela Orlandi e Wanna Marchi hanno garantito successo nazionale – talvolta con eco politico-giudiziario (vedi l’indagine interna del Vaticano) – la vicenda di Schwazer non è assolutamente da meno.
La miniserie ideata e diretta da Massimo Cappello, vuole essere un racconto aperto ovviamente della caduta e della rinascita di un atleta, ma soprattutto di un percorso a ostacoli di un uomo che cerca di riprendersi il proprio futuro.