Il genio di Franco Zeffirelli raccontato in un museo nella sua Firenze

Passando davanti a un abito indossato da Maria Callas e scivolando accanto a una fotografia che ritrae il Maestro con Laurence Olivier, dopo essersi soffermato a leggere i nomi di Anna Magnani, Elizabeth Taylor, Jeremy Irons, e infinite stelle del firmamento dello spettacolo del Novecento, il visitatore non può non incantarsi all’improvviso di fronte al ritratto di Gesù. Un olio, 60×46, del volto di Cristo martoriato dalla corona di spine con una tunica color granata, sguardo che s’allunga oltre la vita. Il quadro è esposto nella sala dedicata al «Gesù di Nazareth», pellicola del 1977, ma le pennellate assai cupe e piene di dolcezza lasciate sul cartoncino non raccontano il film, non fanno parte dei bozzetti di scena, né suggeriscono inquadrature della macchina da presa. Fermano piuttosto l’idea che, nel suo immaginario artistico, Franco Zeffirelli aveva di Cristo. Una profonda visione della vita che forse riserva «interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete», come il poeta ci insegna.

Nel monumentale complesso dedicato a San Filippo Neri, a Firenze, a pochi metri dalla dugentesca residenza del Bargello e alle spalle di Palazzo Vecchio, ha sede dal 2017 la Fondazione Franco Zeffirelli, istituita, per volere del regista, nel maggio del 2015. È stata la sua ultima opera, quella di aver dato disposizione di raccogliere ed esporre l’immensa quantità di materiale accumulato in oltre settant’anni di attività in ogni campo dello spettacolo e delle arti. Documentazione che testimonia il genio di Zeffirelli che spaziava con eclettica versatilità dalla prosa alla lirica fino al cinema, occupandosi non solo di regia, ma soprattutto di scene, e suggerendo spesso anche i costumi. Il Museo occupa il primo piano di Palazzo San Firenze, un edificio in stile barocco eretto tra il 1640 e il 1750, che all’epoca ospitava un convento, una chiesa e un oratorio. Nel XX secolo, poi, le stanze furono «profanate» dalle autorità giudiziarie che ne fecero aule del tribunale. Soltanto dopo il trasferimento del foro e della magistratura fiorentina gli spazi sono stati destinati dal Comune alle attività culturali e formative.

Palazzo San Firenze sede del Museo Zeffirelli

Merito dell’iniziativa di stabilirvi il Centro internazionale delle Arti dello spettacolo è di Pippo Zeffirelli, figlio adottivo del Maestro, che con Caterina D’Amico e Carlo Centolavigna, si è impegnato a curare la mostra permanente che ospita al pian terreno anche un archivio e una biblioteca con oltre settemila volumi. «È tutto materiale – spiega la signora D’Amico – proveniente da casa di Zeffirelli, il quale aveva un ordine abbastanza preciso di archiviazione, ma catalogare diverse migliaia tra copioni e sceneggiature, disegni e bozzetti è stato un lavoro di anni che ancora ci tiene occupati». E la magia dell’arte di Zeffirelli si palesa sotto i nostri occhi che osservano uno schizzo elementare, eseguito con un solo pastello: qualche segno, si direbbe, di una mano infantile lasciato su un foglietto di carta; poi le stesse curve e le stesse forme le vediamo trasferite con matite di diversi colori, arricchite di elementi ancora poco definiti, con uno stile meno incerto, più dettagliato, ma certamente incompleto. Per il terzo passaggio, infine, dobbiamo correre nei corridoi del museo perché è lì che il bruco s’è trasformato in farfalla, e la scena risplende piena di perfezioni, di argute trovate e ricco di movimento teatrale fissato in un attimo, come fosse un’istantanea appena scattata. È uno dei bozzetti del «Don Carlo» (Teatro alla Scala, 1992).

Ce n’è anche una serie che raccoglie le fasi di studio dell’allestimento rossiniano del «Turco in Italia» (Teatro alla Scala, 1955,) in cui è evidente la cura per la riproduzione delle gouaches napoletane dell’Ottocento. Lo spettacolo segnò la prima collaborazione tra il regista (in questo caso anche scenografo) fiorentino e la divina Maria. È stato proprio Zeffirelli a volere che il racconto della sua attività professionale iniziasse con il ricordo di quelli che considera gli incontri più formativi della sua vita: Luchino Visconti e Maria Callas. In dieci anni Zeffirelli ha diretto la Callas in cinque capolavori della lirica. Il loro sodalizio spazia dall’opera buffa a quella romantica, dall’opera drammatica fino a una profonda amicizia che il Maestro racconterà nel 2002 in «Callas forever», film interpretato da Fanny Ardant nel ruolo di Carmen. Un progetto che, anni prima, saltò quando fu proposto alla Callas nel 1976, perché Zeffirelli aveva in mente di sfruttare la magnifica registrazione della «Carmen» diretta nel 1964 da Georges Prêtre. «Mi stai proponendo un falso, una truffa», protestò il soprano più famoso di tutti i tempi, obbiettando che la voce avrebbe avuto l’età di una quarantenne mentre il viso mostrava i segni di una cinquantenne.

Proseguendo tra le sale, gettando un’occhiata al servizio d’oro da tè, dono del sultano dell’Oman (estasiato dall’allestimento della «Turandot», presentata a Muscat nel dicembre 2011), e sperando di non perdersi troppo nella precisa fantasia dei bozzetti, oppure accanto ad Arthur Miller e Monica Vitti («Dopo la caduta», 1964), o di fronte all’abbraccio tra Giancarlo Giannini e Anna Maria Guarnieri («Romeo e Giulietta», 1964), si giunge all’ingresso dell’unica stanza non accessibile: lo studio del Maestro riprodotto nei minimi particolari, nel quale incuriosisce una riproduzione della Gioconda di Leonardo, che fa pensare alle origini del padre, nato proprio nella vicina Vinci; e tra pregiate statuine in ceramica (un magnifico Pulcinella), ecco le fotografie dei suoi amici e colleghi più cari: Franca Valeri, Eduardo De Filippo, Leonard Bernstein, Valentina Cortese, ancora mentre bacia la Callas, una doppia immagine di Charlie Chaplin e Charlot, e ben tre fotografie di Luchino Visconti. Il Maestro del Maestro.

Si conobbero per caso alla Pergola di Firenze (1945), dove il già famoso Luchino aveva in prova «La via del tabacco» di Caldwell, e il giovanissimo Franco, che ancora seguiva i corsi della facoltà di Architettura, gli mostrò i suoi bozzetti di scena e riuscì anche ad ottenere un provino, per aver risolto, lui, un problema al regista che non riusciva a scritturare l’attrice giusta per il ruolo di una particolare vecchina. Visconti in quell’istante lo salutò soltanto con un «bravo», ma un anno dopo gli scrisse una lettera nella quale gli proponeva una parte in «Delitto e castigo» con Paolo Stoppa, Rina Morelli, Memo Benassi, Massimo Girotti, Giorgio De Lullo. Restò al suo fianco fino al 1954 come attore (poco), come scenografo, e come assistente di tre film: «La terra trema», «Bellissima» e «Senso». Sul set cinematografico condivideva il ruolo con Franco Rosi: «i due Franchi», li chiamava Visconti. Poi l’improvvisa separazione. «Le lettere – confida Caterina D’Amico – testimoniano come e perché la collaborazione si interruppe. Fu assolutamente una decisione di Zeffirelli». Ma tra i due artisti l’amicizia riprese presto. E stima e corrispondenza proseguirono per molti anni. Le lettere però non sono esposte al museo.

La sala dedicata all’Inferno di Dante

Dall’ultima sala proviene una strana eco di rumori affascinanti. Non sono, però, immagini di opere liriche, o brevi sequenze cinematografiche, o collage di fotografie degli allestimenti teatrali, che già si sono visti in altri ambienti. Qui c’è qualcosa di suggestivo e di immaginifico, rimasto sulla carta: appunti e disegni di un’opera mai realizzata. Poteva un fiorentino ignorare Dante Alighieri? Zeffirelli aveva cominciato a lavorare al progetto di un film sull’Inferno. E mentre uno schermo diffonde suoni e colori della bufera infernal e del foco etterno che affoga la città di Dite, alle pareti si legge, come fosse una sceneggiatura già avviata: «Chirone avanza e sta per scoccare la freccia contro Dante e V. quando si accorge che Dante non è uno spirito, ma è vivo», oppure «I golosi grufolano nella fanghiglia di cui portano alla bocca manciate». Le note di regia si alternano ai versi, e i versi ai disegni tra i quali colpisce lo sguardo ardente di una lussuriosa Cleopatràs, nuda e altera distesa tra le tigri; quindi, poco più in là, Paolo e Francesca che al tempo dei dolci sospiri somigliavano già molto alla Giulietta, resa eterna dalla pellicola del 1968, incantata al balcone dal fascino di Romeo che le dichiara il suo amore.

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Fondazione Franco Zeffirelli, direttore Pippo Zeffirelli. Consulenti: Maria Alberti, Caterina d’Amico, Francesco Ermini Polacci.

Museo Zeffirelli, curatori Pippo Zeffirelli, Caterina D’Amico e Carlo Centolavigna. Piazza di San Firenze, 5

Foto: Franco Zeffirelli con Maria Callas (Gettyimages)