Prima che in sala le luci si siano spente, Emanuele Rauco, critico cinematografico, tra le altre primizie, ha informato il pubblico che Il teatro di Minnie, o meglio, «L’idolo delle matinée» (traduzione letterale dell’originale The matinée idol) fa parte di un ciclo precedente alle più note pellicole girate da Frank Capra; riconoscibile qui soltanto per determinati aspetti: il ritmo, per esempio. In effetti è vero, ma quel che risulta ancora più evidente, rispetto ai più famosi capolavori (Accadde una notte, La vita è meravigliosa, Arsenico e vecchi merletti) è l’arte della delicatezza, la leggerezza del garbo, la squisitezza costante del buon gusto. Sarà forse perché è privo di parole e l’attenzione dello spettatore è tutta concentrata sul senso della vista? Può darsi. Soltanto in qualche opera di Chaplin si nota la stessa raffinata gentilezza nel manovrare la macchina da presa e nel dirigere gli attori.
Il film, sesto appuntamento della rassegna «A qualcuno piace classico», è muto, ma a Hollywood il sonoro è appena nato, e infatti il sipario – è proprio il caso di dirlo, visto che la prima sequenza si svolge su di un palcoscenico a Broadway – si apre sul primo attore che rifà il verso ad Al Jolson (The jazz singer, 1927) che in quell’occasione sfoggiava il viso dipinto di nero. Tuttavia quel che più colpisce è che la trama, estremamente semplice e comica con un finale romantico che sfiora la commozione, si avvita intorno al mondo del teatro, segno che all’epoca, mentre da noi Pirandello stava ultimando la sua trilogia metateatrale, Oltreoceano si pensava a sfruttare le storie palco per arricchire i soggetti cinematografici. Da Broadway, l’azione si sposta in un teatrino di provincia, che ha le sembianze di un circo, per tornare sulla grande scena newyorchese per poi concludersi ancora sotto il tendone.
The matinée idol è la classica commedia degli equivoci. Un famoso attore, Don Wilson, viene assoldato come principiante nella compagnia della candida Bessie (non la Minnie del titolo italiano che resta un mistero!): così, mentre le situazioni create da quest’ambiguità, vengono condite da continue gags comiche e da argute battute umoristiche (in didascalia), spuntano qua e là germogli di tenerezza, sguardi carichi di sentimento che annunciano un risvolto più sostanzioso. Quindi se da una parte il pubblico che affolla il grande teatro di New York ride a crepapelle, in una triste stanza d’albergo c’è chi patisce il disagio dell’equivoco; e quando la ragazza cerca di riprendere la routine d’attrice di campagna, dopo l’involontario «successo» ottenuto a Broadway, il classico lieto fine aggiunge carezzevole dolcezza all’amore che sboccia. E quanta delicatezza nei fotogrammi finali in cui il bacio appassionato che suggella l’incontro viene suggerito soltanto dall’inquadratura delle scarpe di lei che improvvisamente lievitano: Bessie s’è avvinghiata forte all’abbraccio di lui che, talmente rapito dall’emozione, la solleva da terra.
Frank Capra, nato nel 1897 tra i monti della Trinacria, a pochi chilometri da Corleone, porta in questa sequenza di immagini briose e dense di comicità, la diversità dei sentimenti genuini e degli atteggiamenti ingenui dei campagnoli rispetto alle più aride abitudini dei cittadini, dove, già all’epoca, si pensava esclusivamente, pur se con bonarietà, al guadagno contravvenendo tuttavia alle semplici regole della buona creanza. I teatranti di Broadway, dipinti come artisti buontemponi, infatti non si rendono conto del torto che stanno compiendo ai danni dei commedianti di provincia e sfruttano le loro goffaggini per far ridere i ricchi avventori della platea newyorchese.
Copione ripreso dai residui di un vecchio teatro umoristico in cui battute e colpi di scena si susseguivano all’impronta, secondo il genio degli attori. E, secondo il genio di un eccellente pianista, questo film è stato accompagnato e commentato dalle note improvvisate al pianoforte dal maestro Antonio Coppola. Il quale, con lo sguardo rivolto allo schermo per seguire i ritmi imposti da Capra, e con l’orecchio teso alle reazioni del pubblico in sala, è riuscito a sottolineare le esigenze della pellicola e a modularsi sulle emozioni degli spettatori. Un’esibizione anch’essa raffinata e piena di delicatezza.
«Complimenti, maestro. Anche il pezzo swing, del tutto inaspettato, si è sposato magnificamente con il clima della proiezione.»
«Ho eseguito quel che mi avete suggerito voi. Ho suonato proprio come si faceva una volta. Al servizio dell’arte e al servizio del pubblico.»
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Il teatro di Minnie (The matinee idol, 1928), un film di Frank Capra; sceneggiatura, Elmer Harris; con Bessie Love (Ginger), Johnnie Walker (Don Wilson alias Harry Mann), Ernest Hilliard (Arnold Wingate), Lionel Belmore (Jasper Bolivar), David Mir (Eric Barrymaine). Accompagnamento al pianoforte dal vivo del M. Antonio Coppola. Palazzo delle Esposizioni, per la rassegna «A qualcuno piace classico» (04 aprile)