“L’albero di nespole”: vita, storia e famiglia nel romanzo di Giulietta Fabbo

La storia di Ninetto, dalla penna di Giulietta Fabbo, prende vita in un racconto familiare che sa di sentimenti semplici, puri e di lontananza. Gli ingredienti per una storia in grado di legare il passato con il presente grazie ai fili del tempo che passa e che viene narrato.

L’albero di nespole, che dà il titolo a questo romanzo edito da PAV edizioni, rappresenta il centro e il punto di riferimento di una casa e di una famiglia, quella di Ninetto Belfiore, a Prata. La storia di questo protagonista si dipana lungo le epoche e abbraccia due paesi lontani: l’Italia, che rappresenta l’inizio, la sua famiglia d’origine e la sua prima infanzia, e l’America, la meta del distacco, del ricominciare, della solitudine.

Siamo nella prima metà del Novecento e Ninetto, su volere del padre, è costretto da bambino a lasciare la sua famiglia per essere affidato ad uno zio in America. La sua partenza segna uno spartiacque fondamentale: c’è il prima e il dopo, c’è un enorme vuoto, una lontananza che lo separa dall’affetto, la privazione, un “perché” costante che percorre il suo cuore e le vite di ogni personaggio, fino alla fine.

Ninetto si trova così ad attraversare un’esistenza dura, difficile, fatta di fatica e grande volontà. In America trova una possibilità ulteriore, la sua realizzazione e la consapevolezza che la sua vita è là, nonostante tutto, nonostante il dolore di sua madre, il distacco dai fratelli, dal padre. Ninetto, in questo modo, conosce esperienze e volti diversi, sperimenta i grandi cambiamenti della sua epoca, costruisce il suo percorso in uno stato d’animo fatto di consapevolezza e forza, coraggio e voglia di riscatto.

Grande attenzione è data a quel distacco che lo segna profondamente: un evento che è una ferita di cui resta la cicatrice evidente, su cui Ninetto cerca una motivazione e che diventa la spinta ad andare avanti. Il suo è un dolore spartito in due. Da una parte l’Italia, dove c’è una madre che lo ama e lo piange e i fratelli che sono quasi estranei, e dall’altra l’America, terra di ripartenza. Nel mezzo si pongono tutti gli stravolgimenti esterni che plasmano e abitano i suoi giorni e quelli della sua famiglia.

Su tutto, emerge chiara l’umanità e la determinazione di dover vivere quei momenti in prima persona: anche questo è uno dei temi su cui si sviluppano le vicende e su cui si struttura il rapporto di Ninetto con la sorella minore Rosa. Una relazione fraterna, tardiva, ma ricca e piena di ricerca, conoscenza reciproca e riconoscimento. Una sorta di recupero segnato dalle scelte altrui e dall’amore riscoperto.

Trattandosi di una storia famigliare, la narrazione però non si limita ad un canale unidirezionale: l’autrice, Giulietta Fabbo, dà voce scritta alla storia dei genitori del protagonista, Giuseppe e Teresa, al loro incontro, alla costruzione della famiglia e alla loro emotività. Dalla guerra al ritorno a casa, dalla partenza del loro primo figlio per l’America alla continuazione quotidiana sempre condivisa: in un flashback, presente soprattutto nelle parti iniziali del romanzo, questa storia famigliare, fatta di ogni singolo componente, si intervalla al presente e a quel tempo che passa, che scivola tra le mani lasciando il posto a consapevolezze nuove, a punti di approdo imprevisti e a risvolti a volte tragici.

La scomparsa e la morte compaiono inevitabilmente in questa famiglia, così come la nuova vita e la costruzione del futuro. È forte quel senso di riscatto e di risalita ma anche la presenza di quell’inesorabilità di cui è fatto il cammino di ogni personaggio. Non c’è quel senso di costruzione tipico di un racconto con un inizio e una fine lieta, ma a predominare è quel lato comune dell’esistenza, fatto di vita e di perdita, di inizi e di imprevisti che sbaragliano la strada, portandola su versanti impensati. Sono elementi che si sperimentano inevitabilmente in quanto persone, proprio perché si vive.

Questa storia nasce infatti dal cuore e dalla realtà stessa della sua autrice. La sua scrittura è semplice e diretta, genuina come il carattere del suo protagonista, indagatrice di quello che è avvenuto nel passato e che ad oggi viene a mancare. Stili di vita diversi, una quotidianità fatta di piccole cose, di sentimenti condivisi, quella considerazione di un tempo “lento” e delle relazioni che sono stati trasformati dai grandi mutamenti degli ultimi anni.

Le parole presenti, che descrivono quest’unità temporale a sfondo delle vicende familiari, sanno di schiettezza e spontaneità, velate a tratti da malinconia e da lucidità. “Le storie degli uomini assecondano sempre le epoche e i contesti in cui essi vivono” è uno dei riferimenti più concreti e più veri che si possono trarre da questa lettura, così come un punto specifico che permea la narrazione e l’esistenza stessa di questa famiglia (e che, un po’, mi ricorda Eraclito): non c’è nulla di eterno tranne il cambiamento. Una frase che, forse, racchiude davvero quel senso di vita che spesso sfugge. Tutto subisce una svolta, un cambio repentino. Resiste e rimane la vita che va avanti, che continua nonostante i protagonisti. Quella casa, centro della famiglia Belfiore, ha conosciuto partenze e addii irreversibili, gioie e separazioni, condivisione e nascite: un luogo e un simbolo, come l’albero di nespole sotto cui Giuseppe si ritirava e amava, di come tutto sia cambiamento ed evoluzione, trasformazione e passaggio. Ed è, paradossalmente, questo che dura e permane, accomunando indistintamente ogni persona.

Giulietta Fabbo, con L’albero di nespole, rende questa frase evidente e chiara, regalando uno spunto in più direttamente dalla sua esperienza, grazie ai passi e al cammino di Ninetto e di ogni suo personaggio.