Al Palazzo delle Esposizioni, il coraggio spudorato del cinema Pre-Code

I famosi anni Trenta, intorno ai quali tanto si è favoleggiato, vuoi per la moda rivoluzionata, vuoi per il nuovo cinema che ha cominciato a spopolare, vuoi per una primissima idea di globalizzazione (ancora pacifica) che vedeva le distanze del pianeta accorciate dai voli aerei che divenivano sempre più frequenti e accessibili, non sono poi – come il termine fa pensare – gli anni che corrono dal 1930 al 1940, ma sono, per quanto riguarda l’eleganza degli abiti alla moda dei vari Adrian, Banton, Dior, quelli che vanno dal ’29 al ’36; per il cinema – il primo grande cinema di Hollywood esportato in quasi tutto il mondo – quelli che vanno dal ’28 al ‘34. Lasciando ora da parte la moda, che in questo tema entra come appendice al successo cinematografico delle dive della celluloide (da Greta Garbo a Marlene Dietrich, da Jean Harlow a Norma Shearer) concentriamoci sulla settima arte.

Il 1927 ha rappresentato un importante giro di boa proponendo la prima pellicola accompagnata dal sonoro. Un clamoroso evento salutato dal film di Alan Crosland, The jazz singer con Al Jolson nei panni di un cantante di colore che intonava, o meglio «stonava» (a causa del nuovo sistema vitaphone che riproduceva suoni, oggi diremmo, molto lontani dall’alta fedeltà delle nostre apparecchiature) brani vocali dedicati niente di meno che alla Mamy. Era un film spensierato, pieno di leggerezze, forse troppe; era più che altro un’esibizione del sonoro, un test che manteneva ancora nascosto un risvolto assai amaro per molti attori che dovettero arrendersi di fronte alla necessità di dover recitare con la propria voce e non più con le sole doti fisiche: John Gilbert e Ramon Novarro furono i nomi eccellenti costretti a fare marcia indietro. Stessa sorte sarebbe toccata al divo dei divi, Rodolfo Valentino, se non fosse stato colto da morte prematura (1926).

Accanto a queste affascinanti vicende ormai leggendarie che hanno reso il mondo di quel cinema ancor più attraente, altre storie faticano ancora oggi a essere divulgate al grande pubblico: materiale che soltanto studiosi e appassionati sono riusciti a rintracciare. Motivo che ha spinto l’Azienda Speciale Palaexpo e La Farfalla sul Mirino, in collaborazione con Quinlan.it, a realizzare il progetto «Il cinema senza censure del Pre-Code» che si terrà quasi ogni sera nella Sala cinema del Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale a Roma, dal 30 marzo (ieri) fino al 14 maggio.

Prima del 1930, negli Stati Uniti, una sentenza della Corte Suprema del 1915 aveva stabilito che «la proiezione di immagini in movimento è un business nato e gestito per il profitto, e non può essere considerato quale mezzo di formazione della pubblica opinione, pertanto i film possono essere usati anche per fini malvagi». Il verdetto dell’alto tribunale, anche se per i più bacchettoni potrebbe apparire discutibile, in effetti, seguiva esattamente l’atteggiamento che i censori americani mantenevano su tutte le opere d’arte. Con il passaggio del decennio però una nuova mentalità più moraleggiante andava diffondendosi, soprattutto per le tensioni sociali scaturite dopo il crollo economico del ’29. L’America, dopo anni di bagordi clandestini (a causa del proibizionismo degli anni ‘20) sentì il dovere di restringere le regole sul permissivismo: anche il cinema fu regolato da un codice redatto da William Harrison Hays, nel quale erano indicate alcune linee educative che miravano a non mortificare la morale pubblica, affinché la popolazione non fosse istigata a macchiarsi con comportamenti immorali che facilmente sarebbero potuti sfociare in atti illegali. Pertanto nei film non si dovevano mostrare scene di nudo e danze lascive, vietate le immagini in cui si consumava alcool e droga, i delitti, le perversioni sessuali e le scene troppo passionali. Era fondamentale, secondo la schiera dei censori, che le simpatie del pubblico non fossero mai spinte in direzione del crimine e del peccato in genere. Tuttavia il codice venne seriamente applicato soltanto dal 1934. In questi quattro anni e mezzo, denominati «pre-code», alcune pellicole furono girate volutamente con piglio assai spudorato, affrontando molti temi, già considerati scottanti, con una libertà che a Hollywood tornerà soltanto nel 1968 (quando fu abrogato il Codice Hays).

Artefici di questa impresa coraggiosa furono registi che segnarono un’epoca: Frank Capra, Ernst Lubitsch, Howard Hawks, Josef von Sternberg, Michael Curtiz, Victor Fleming, Mervyn LeRoy, e altri. Le loro «dispettose» e sferzanti trovate registiche al momento passarono la censura che ancora non era persuasa dalle nuove normative, ma quando nel 1934 il Codice divenne legge tutte le pellicole furono riesaminate, cosicché molte scene «immorali» furono tagliate. In Scarface (pellicola che ha aperto la rassegna), per esempio, sparì l’attimo in cui il protagonista sfrega un fiammifero sulla stella dello sceriffo per accendersi una sigaretta; in Io sono un evaso di LeRoy (1932) furono cancellati i fotogrammi del detenuto che compie lo stesso gesto sulla bara di un altro prigioniero: censurati perché considerati gesti di disprezzo, l’uno nei confronti delle autorità, l’altro della religione. Mancanze di rispetto del vivere civile.

Oggi quelle scene sono state inserite di nuovo e le opere completamente restaurate, masterizzate e per la maggior parte proiettate in Dcp (Digital cinema package). Il programma della rassegna è reperibile sul sito https://www.palazzoesposizioni.it/rassegna/hollywood-proibita-il-cinema-senza-censure-del-pre-code

Tutte le proiezioni sono in lingua originale con sottotitoli. Buona visione.

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«Il cinema senza censure del Pre-Code», rassegna cinematografica sul cinema americano precedente al Codice Hays. Progetto curato da Azienda Speciale Palaexpo e La Farfalla sul Mirino, in collaborazione con Quinlan.it Da venerdì 30 marzo fino a domenica 14 maggio, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, sala Cinema

Nella foto: Marlene Dietrich con Cary Grant in «Venere bionda» (Blonde Venus, 1932) di Josef von Sternberg