John Steinbeck scrisse in C’era una volta una guerra: “Il teatro è l’unica istituzione che sia stata in punto di morte per quattromila anni e non abbia mai capitolato. Per tenerla viva ci vuole gente ostinata e fedele”.
Considero questa citazione tra le più emblematiche ed illuminanti su quello che per molti è passione, per altri lavoro o hobby spesso non riconosciuto, solo per pochi eletti vita, patto d’amore e fedeltà.
Oggi, 27 marzo, in questa giornata mondiale dedicata alla più antica fra le Arti – istituita nel 1961 per iniziativa dei componenti del IX Congresso dell’Istituto Internazionale del Teatro – sembra riverberarsi nei pensieri e nelle riflessioni che tento di mettere nero su bianco.
In quante circostanze questa enorme macchina di creazione è stata sull’orlo del lastrico, quante morti e trasformazioni si sono verificate soprattutto nei due anni di chiusure? Ma quante consapevolezze assunte sui diritti dei lavoratori dello spettacolo dal vivo, a seguito proprio dell’inevitabile tracollo? Quante ancora da raggiungere…
Il teatro è il luogo dove si racchiude simbolicamente l’umanità, l’intera esistenza. Non è un caso accompagnare nel linguaggio quotidiano metafore legate al mondo della scena, nei sipari che si alzano e richiudono, nella spettacolarità delle azioni inaspettate che attraversano le ore del giorno. Considero un po’ questa giornata come la fine di un anno o meglio come l’inizio di un nuovo, un tempo di memoria e bilancio. Per questo il mio tentativo è di celebrarla con due esempi agli antipodi: una chiusura ed una grande speranza nel panorama scenico italiano.
La prima riguarda un piccolo luogo di ricerca teatrale a Milano Teatro-i che a dicembre dello scorso anno ha chiuso definitivamente i battenti. Desiderato e voluto da Renzo Martinelli, Federica Fracassi e Francesca Garrolla è stato inaugurato nel 2004, dando vita ad un percorso culturale che nei suoi anni ha dato spazio e movimento creativo a diverse personalità risonanti nel mondo teatrale e artistico come Edoardo Sanguineti, Rodrigo Garcia, Stefano Massini, Ricci/Forte, il Royal Court Theatre o ancora i Motus, Masque Teatro, Fanny&Alexander. Un luogo semplice, alcova in fermento di pensieri liberi ed innovativi. Nell’ultimo post presente sulla pagina social si legge: “[…] Poter dire di avere lavorato per diciotto anni ci fa credere di essere stati bravi, un poco coraggiosi, sicuramente molto testardi, nonostante le difficoltà e le stanchezze, nonostante un palco che si faceva sempre più stretto e nonostante il tempo che fa cambiare le città, le persone, le azioni, e anche noi. Ma è solo con gli occhi del dopo che alcune cose si vedono, nel mentre, nell’oggi, le cose si fanno. In fondo, dirsi di essere stati bravi ha il sapore delle cose che finiscono. E così, appena maggiorenne, a dicembre 2022, Teatro i chiude. Abbiamo cercato di non farlo, di non deciderlo, di rimandarlo, ma ci sembra la scelta più responsabile da prendere. Non vogliamo fare male quello che sino ad oggi abbiamo cercato di fare bene. […]”
L’ostinazione e la fedeltà, a volte, non bastano, il fervore artistico deve fare i conti spesso con il concreto sostentamento, scendere a compromessi per restare in piedi. E spesso questo non sarà nemmeno ricordato negli archivi d’arte. Ha incrinato gli animi di molti della comunità teatrale questa notizia, ma con la consapevolezza beckettiana di un fallimento, “fallire meglio, di nuovo e ancora”.
Il secondo esempio è quello della grande speranza. È rappresentata dagli oltre trent’anni di instancabile “non-scuola”, un laboratorio teatrale ideato negli anni Novanta da Marco Martinelli, uno dei fondatori del Teatro delle Albe e da Maurizio Lupinelli. Complesso riuscire a sintetizzare in poche battute cosa sia e rappresenti questo ribaltamento di esperienze pedagogiche, ma basti pensare che, nata dapprima negli istituti superiori della città di Ravenna, “la non-scuola” è giunta in diverse parti del mondo, in alcune delle quali si perpetua ancora: da Milano alla Sicilia e alla Sardegna, a Scampia e Napoli, Lecce, Matera, Roma, Vicenza, Lido Adriano e Santarcangelo, dagli Stati Uniti alla Francia, dal Senegal al Brasile e al Kenya.
È utile riportare le parole di Marco Martinelli che racchiudono il senso di questa ultra decennale esperienza: “Le facce dei trecento adolescenti che a Ravenna partecipano ai laboratori nelle scuole medie superiori, dai licei agli istituti tecnici, le conosco tutte. Fanno parte della mia vita di regista, di direttore artistico, di scrittore, così come le facce di tanti ateniesi erano parte viva dell’immaginario e della scrittura di Aristofane. […] Il palco si fa luogo di energie sporche, furibonde, non accademiche, la vita irrompe nel tessuto dei testi antichi, li attraversa senza rispetto, e il linguaggio fisico della scena diventa per chi se ne impossessa più esaltante di un videogame. Le oscenità della commedia antica o i lirismi di Shakespeare rivivono sulla bocca dei quindicenni come lezioni di nuovo teatro, per me e per gli spettatori che le ascoltano».
La grande speranza è un contagio, trasmette vigore, dà origine al sempre nuovo. Tra quelli adolescenti sono emersi gli attori e anche i tecnici della Compagnia delle Albe, le guide attuali della “non-scuola”, in un continuo flusso di dono e raccolta. È vivo il desiderio di non rinchiudere il teatro in luoghi specifici, ma farlo debordare e deflagrare nello spazio dell’apprendimento e del gioco, un gioco serio e fatto con piacere doveroso.
L’estate scorsa ho conosciuto una persona che non solo lavora per il teatro, ma che in maniera ostinata e fedele l’ha scelto come ragione di vita e professione. Considero una fortuna aver potuto condividere del tempo con la sua passione e commozione. Di lì a poco avrei ritrovato molte persone come lui. Ma questo ancora lo ignoravo.
Auguro a chi legge di potersi immergere, almeno una volta, nella vita dei teatranti o di chi lavora per loro, che spesso sa essere folle ed inconcludente, ma mostro sacro nella migliore delle accezioni, un modo per toccare la vera pelle che ci riveste.
Scomoderò il Poeta con una parafrasi, lui mi perdonerà: “Ah straziante meravigliosa bellezza del…Teatro!”