L’ultima volta che l’ho intervistato è stato alla Mostra del cinema di Venezia due anni fa, nei giardini dell’hotel Quattro Fontane a pochi metri dal Palazzo del Cinema che lo ha visto tante volte protagonista con i suoi film, da Storia d’amore nel 1986 che lanciò come protagonista una giovanissima Valeria Golino, che in quella occasione conquistò la Coppa Volpi come migliore attrice esordiente o quando nel suscitò consensi di pubblico e critica con Ornella Muti, protagonista di Codice privato. Accompagnato dalla moglie Stefania Brai su una “cinematografica” sedia a rotelle, lucido, sempre sorridente, innamorato come non mai di cinema, ieri a 92 anni ci ha lasciato Francesco Maselli, il regista formatosi nell’Italia del dopoguerra come allievo prima del centro sperimentale a soli 17 anni, aiuto poi di icone come Visconti, Antonioni e Chiarini, firmando capolavori come Gli Sbandati del 1955 con Lucia Bosé e Isa Miranda, opera prima premiata proprio a Venezia.
Film generazionale che affronta il delicato tema della Resistenza e del ruolo della ricca borghesia e dei suoi giovani rampolli in anni cruciali per le sorti dell’Italia, fra riflessioni, contraddizioni e ambiguità. E poi con I Delfiniinterpretato da una giovane Claudia Cardinale, attraverso un tema sociale che toccava a fondo la formazione culturale di un’Italia che stava uscendo dal boom economico oppure con Gli indifferenti girato nel 1964, ispirato all’omonimo romanzo di Alberto Moravia.
“Citto” era il soprannome che gli aveva dato fin da ragazzino lo zio acquisito Luigi Pirandello, amico del padre, che a soli 14 anni iniziò a collaborare con la Resistenza durante la guerra, portando viveri e armi ai partigiani e poi come giovane iscritto al partito comunista italiano a cui rimase sempre fedele. Una fede politica che si evidenzia anche nei suoi film più politici come Lettera aperta a un giornale della sera del 1970 o ancora Il sospetto del 1975, una coraggiosa analisi sull’estremismo e sulla borghesia intellettuale con protagonista uno straordinario Gian Maria Volonté, film che seppur contestato da una certa nomenclatura comunista dell’epoca, confermava la personalità e lo sguardo libero dell’uomo Francesco Maselli e del “Citto” il cineasta.
«Se tornassi indietro», mi disse in quell’intervista, «rifarei tutto, compresi gli errori, anche quando mi feci convincere da Fellini a interpretare il ruolo di un professore di scienze in Amarcord.»