Everything everywhere all at once: chiamatemi Oscar

Lo aveva previsto senza mezzi termini in un suo articolo sul Fatto Quotidiano di qualche giorno fa Daniele Luttazzi che Everything everywhere all at once avrebbe stravinto all’ultima edizione degli Oscar. “Se ami la fantascienza, la filosofia orientale, la satira sociale, il melodramma e la parodia dei film di genere“, questo in sintesi è il film diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert noti come i “Daniels”; “ti piacerà immensamente e ti sembrerà meritata la caterva di nomination“(ben 11 al pari di Ben Hur e Titanic) che ha sbancato l’Academy Award lo scorso 12 marzo.  Film che ha consacrato anche come migliore attrice  la malese Michelle Yeoh  che ha raccolto dopo 40anni di carriera elogi e premi grazie al ruolo di Evelyn Wang, una donna di mezza età immigrata cinese, trasportata in un multiverso futuribile altamente spettacolare, dalla lavanderia di famiglia in un mondo parallelo(come i videogiochi);  dove una sua alter ego a sua volta multiforme si trova a dover difendere il mondo dalle mire della perfida Jobo Tubaky con il volto di Jamie Lee Curtis (altro Oscar come attrice non protagonista).

Allora ecco che il “multiverso” di Michelle con gli Oscar al miglior film,  regia, attori, compreso  il non protagonista Ke Huy Quan  e quello per la sceneggiatura (per un totale di sette statuette), affossa tutte le previsioni della vigilia, annullando anche la favoritissima Cate Blanchett di Tár,  il regista simbolo di Hollywood Steven Spielberg,  colossal come Mission ImpossibleAvatar la via dell’acqua o il gettonatissimo Gli spiriti dell’isola e relativi protagonisti Colin Farrell in testa e soprattutto il travolgente Elvis di Baz Luhrmann. Che significa? Forse che la “follia” dei giovani ha conquistato Hollywood? Resta il fatto che Tutto, ovunque, contemporaneamente, questo il titolo in italiano del film è indubbiamente sulla carta nella storia degli Oscar, quello ad appannaggio dei così detti outsider compreso quello dopo 45 anni di carriera a Jamie Lee Curtis, bravissima attrice ancorché figlia non “raccomandata” di icone come Tony Curtis e Janet Leigh che finalmente ha conquistato la preziosa statuetta. Insomma un successo che premia non una paludosa major, ma una piccola e coraggiosa società indipendente (produzione e distribuzione), fondata nel 2012 come l’autostrada A24 che collega Roma a Teramo!

Qualcuno in rete disilluso ha scritto che questo film è un ” “Fanta-pippone-scientifico, sconclusionato, irriverente stucchevole, noioso, indigesto e sopravvalutato, che si riesce a seguire solo per i primi 30 minuti. Poi annoia.”

Ma al di la di chi invece avrà ancora voglia di usare l’immaginazione, la voglia di sognare, di viaggiare con la fantasia, anche con la voglia di credere a una dimensione diversa, come scriveva il grande Azimov, allora questo film vi stupirà.  E citando, un monaco cinese dell’anno mille, Luttazzi in conclusione scrive: “bisogna fare qualcosa di più della banale perfezione” e credo che al di la di tutto anche la potente Academy degli Oscar  con i suoi novemila e passa giurati, fra cui finalmente molti giovani, questo lo abbia capito.

Per la cronaca, gli altri Oscar più importanti sono andati a Brendan Fraser, magnifico protagonista del film The Whale e quello al miglior film internazionale è andato a Niente di nuovo sul fronte occidentale.  Meritatissima infine la statuetta in apertura del Gala andato all’avveniristico film d’animazione Pinocchio di Guillermo Del Toro.

Dispiace infine per l’italiana Alice Rohrwacher, regista del documentario Le pupille e anche per Aldo Signoretti nominato per il trucco del film Elvis; ma arrivare comunque a una nomination significa anche entrare a far parte della storia del cinema.