L‘ombra del figlio si staglia sull’Hamlet

L’omosessualità, ahinoi, fa ancora scandalo.

In scena al Teatro Hamlet di Roma, L’ombra accanto, di Antonio Mocciola, con la regia di Giorgia Filanti

È una danse macabre  patetica ed erotica. Ha ben poco di eroico od edificante. Ma è umanissima. Scandita con cura da Filanti per mezzo della luminotecnica, delle musiche, della grafica (Marco Lausi), conduce  con sè anche il pubblico. Sin dall’incipit, fulminante. 

In proscenio, sulla destra, vediamo un uomo nerboruto e  nudo che si muove, con ostentata  sfrontatezza e prosaicità, come un Dio greco. È Marzio, l’amante, un Francesco Giannoni che brilla per la recitazione piuttosto  muscolare. 

Sulla sinistra, la moglie Antima. Una donna bambola di mezza età, l’isterica ed accorata Serena Borelli, abilissima. Parrucca bionda munita, si atteggia quasi  copulando con la scrivania mentre spolvera ed urla a squarciagola una canzonetta in stile Cindy Lauper. 

Attonito e sopraffatto, al centro, Ilario. Il marito ad un tempo baricentro e vittima. Insofferente in giacca e cravatta. Ad interpretarlo il versatile, intenso Gabriele Guerra .   

Ci rivolge un monito, logorando la quarta parete. Quasi  una avvertenza a chi guarda. “Il sesso non dovrebbe mai essere una questione morale”. Eppure le cose vanno in tutt’altra direzione. Come nella vita. 

L’omofobia è il tema che innerva lo spettacolo. Nonostante le numerose battaglie per i diritti civili e sociali resta sempre estremamente attuale. E non è ancora non completamente risolto, anzi. Non si supera mai. Anche a causa della miriade di  problematiche culturali che dipana. Ancor più alla luce della realtà socio-geografica dalla quale proviene Mocciola, prolifico autore napoletano. La presenza massiccia della nudità scenica appare a tratti stucchevole, se non ingombrante. Se turba forse l’animo di alcuni, appare funzionale alle tematiche trattate ed alla visione dell’autore.

La pièce si dipana tutta in un corpo a corpo. Torrido. ”Torbido e morboso”,  asserisce la voce fuori campo. Che invoca  poi ”l’ombra di un adolescente perduto”. 

La musica, curata da Elisa Zedda, anche aiuto regia, la coreografia, l’atmosfera appaiono ritagliate nella luminotecnica – luce blu, rossa, curate da Diego Pirillo. Nell’ombra e nella oscurità. Nei ritmi serrati, concitati della drammaturgia e della partitura scenica. Si palesano dense di un pathos soverchio, ab initio. Che poi tuttavia  sfuma . Per iniziare sanguignamente il pubblico ad una dimensione di prosaicità. Una ruvidezza esistenziale e di costume , di gusto almodovariano se non ruscelliano. Cui si presta la efficace regia di Filanti, con tentativi à  la Ricci-Forte, si pensi alla scena del marito trascinato come un cane dall’amante. 

Scene da un matrimonio che naufraga. Scene da un non matrimonio. Autopsia di un dolore innominabile ; quanto lo è il vero  protagonista della pièce, Andrea. Il Figlio omosessuale morto suicida, così lungamente invocato dal triangolo moglie-marito-amante, Borelli, Giannotti, Guerra. Invisibile e perduto. Ma eternamente presente. Quasi tratteggiato in absentia. Ricavato per sottrazione ora nelle strette maglie della drammaturgia colorita ed iperrealistica di Mocciola.

Nella  coreografia. Nell’uso della voce. Nel movimento scenico, che indulge allusivamente negli accessi carnali . 

Il trittico familiare è atipico. È  mutilo, orfano, defraudato della componente filiale. La sua condanna è il moto perenne . Brutalmente onesto, viscerale, quasi ordinario nella sua semplicità. Ma  è da quel movimento che trae forza. 

Un muoversi volutamente scomposto.

Nella meschinità, nelle ipocrisie  e nelle sbavature del vivere reale. Una realtà senza filtri e distante dagli infingimenti della rete e delle convenzioni sociali .  Corpi dai quali prende fiato la drammaturgia stessa, dai quali prendono forma, consistenza e statura i personaggi. Acquisiscono  poco a poco densità . Vengono presentati senza sconti e senza pietà . Tratteggiano anche plasticamente la  furia e la foga delle passioni e delle dinamiche del triangolo erotico. Sono ritratti non le ferite, ma lo strappo crudele delle reciproche azioni ; non l’inanità ma la potenza sanguigna ed iraconda delle pulsioni; non l’elucubrare, ma il ribollio del sangue, cui fa da contraltare il fustigarsi anche concreto, fisico, omofobo . 

Di sicuro impatto, anche indulgendo in un eccesso di dettagli, il ritratto del battagliare amoroso omosessuale. Un amour fou, tra Ilario e Marco, un battersi. Un dibattersi contro se stessi, contro le proprie  ombre, dei due amanti, nel gioco di ombre cinesi che si nutre del cieco abbandono e della voluttà esibita, forse a tratti ostentata. Ma dettata dalla vis critica verso una Italia  che spezza le ali al diverso. Al punto di annientarlo anche solo con un gesto o una parola, provenga dal sacerdote, dal genitore assente o dal bullo della scuola. A quel punto il negletto, l’escluso, l’abbandonato non può che capitolare. Come Andrea, come i molti adolescenti gay che si tolgono la vita ogni giorno.

Soccombono in una sorta di suicidio assistito o indotto. Del quale siamo tutti responsabili, correi, in quanto parte del sistema  . 

Prorompente anche  la scena nella  quale Ilario si riveste e torna a casa dalla moglie patetica e “bevuta” che chiede pretende implora ancora una volta  ciò che il marito  non può darle : l’eros, ma anche la tenerezza e l’amore coniugale . In uno sciabolare dei corpi che somiglia ad una battaglia navale, senza speranza. Sono anime perdute come lo è quella del figlio scomparso. Comunicano efficacemente al pubblico lo struggimento doloroso della fisicità negata. Sono geografie umane : tentano di attraversarle, ma li vede incompatibili tout court  . E così via, fino alla fine. Fino alla morte del figlio. Le quattro mura domestiche, scisse tra la cucina- gabbia sulla sinistra e l’alcova inquietante sulla destra, vibrano . Vibrano di un’altra presenza. Quella di Andrea. Che rivive nelle parole della madre : dal ricordo del loro amore solitario e morboso all’episodio del diario, abbandonato freudianamente  dal figlio in bagno, in una sorta di coming out forse  inconsapevole. Sino alla commossa rievocazione della nascita del ragazzo. 

 Intanto Ilario torna dall’amante, prima prega e poi avviene l’amplesso . Che somiglia più ad una fantasticheria erotica. Ai deliquii e agli abissi di un delirio intimo ma spettacolarizzato dell’autore. E la regia abbandona le ultime scorie naturalistiche per rendersi clamorosa  .

“Dimmi  che ami ami”, implora Ilario. “Ti staró  attaccato come un’ombra”. Ma l’ombra accanto, nomem omen, quella del titolo, e la voce, è quella dell’amante Marzio, non del figlio. I peccati dei padri ricadono sui figli?  E quelli di omissione sono i più gravi. Il peccato autentico, più che l’omosessualità negata è un altro. L’aver abdicato al ruolo di padre. 

Un appunto. L’amante allo specchio che recita una preghiera in latino e avanza verso la platea mimando una danza con le braccia e prostrandosi e fustigandosi – di fianco alla moglie stramazzata al suolo e all’uomo di spalle catatonico – rientra in un simbolismo che ci sfugge, ed appare fin troppo didascalica . Soprattutto quando Ilario lascia la moglie. Confessa di amare “un’altra persona”, un uomo. Di “farci sesso, ovviamente”. La povera moglie straparla, come sempre sola. Tutto risulta penoso e di sicuro impatto . 

Alcuni potrebbero obiettare  semplicisticamente : le turbe spirituali  dei gay devono giocoforza  rovinare la vita alle donne etero? Ma questo è un interrogativo facile. Il discorso è più complesso. Forse davvero la colpa è della società retrograda ed oscurantista. Che ci impedisce di vivere liberi e felici. Travalicando le etichette ed i gioghi culturali e di costume . Forse davvero siamo tutti vittima e carnefice. 

Al punto che nel finale Antima confessa ad Ilario l’insospettabile sulla morte del figlio. È allora che il dramma nel dramma cessa e trascolora in giallo. Ed inizia il thriller . 

Susanna Quattrini 

Teatro Hamlet, Roma

dal 10 al 12 marzo 2023

L’OMBRA ACCANTO

Di Antonio Mocciola

Regia Giorgia Filanti

Foto di Marco Lausi

Con Serena Borelli 

Francesco Giannotti 

Gabriele Guerra