Festen, un bel film in palcoscenico

Nel 1998 Festen, film del regista danese Thomas Vinterberg, vinse tra gli altri il Premio della Giuria al Festival di Cannes diventando in breve una delle pellicole più discusse di quel periodo grazie a una sceneggiatura che tocca e scardina l’argomento principe della nostra società: la famiglia. Alla festa per il sessantesimo compleanno di Helge Kligenfeldt, magnate delle acciaierie, Christian, il figlio maggiore, invitato dal genitore a fare un discorso, confessa pubblicamente, bicchiere alla mano, di essere stato vittima insieme con sua sorella di ripetuti e costanti abusi da parte del padre. L’orrore accadeva quando i due fratelli gemelli erano appena adolescenti, e si perpetuava anche di fronte agli occhi della madre silente. Da qui prende il via una vera e propria tragedia che, pur sfiorando a volte il grottesco, fende, con la decisione di un colpo d’ascia, i tabù più scomodi e drammatici del nostro tempo: il potere di un padre padrone esercitato sull’intero clan familiare, dove molti sanno ma nessuno parla. I due fratelli minori, gli unici che davvero non conoscono la verità, dopo aver ascoltato le parole di Christian, si ergono a paladini dell’onore paterno fino a quando una prova schiacciante ribalterà il loro verdetto.

Dalla sceneggiatura di Vinterberg, Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi, ne hanno costruito – secondo le indicazioni in locandina – un adattamento teatrale: e certamente sarà così. Tuttavia, la regia di Lorenzi sembra tornare decisamente sulla struttura cinematografica dell’opera: pare infatti che il film sia stato smontato e rimontato per il palcoscenico, e soprattutto sul palcoscenico. Operazione complessa che ha impegnato i nove bravissimi interpreti a essere attori e cameraman di se stessi, alternandosi dietro la macchina da presa. Le immagini, proiettate su uno schermo trasparente calato là dove solitamente c’è il sipario (NB: è già la terza volta in questa stagione teatrale che il sottoscritto nota che la quarta parete viene utilizzata per proiezioni in diretta e non), servono a mostrare al pubblico primi e primissimi piani, dettagli e soggettive: insomma, l’inquadratura non si allarga mai oltre il piano medio perché, dietro il velo trasparente, non c’è una vera e propria scenografia, ma tanti piccoli set cinematografici che vengono anche ritoccati affinché diventino nuove location. Questo impianto registico, pur se innovativo e affascinante, e per certi versi utile a mostrare particolari che il teatro solitamente nasconde, a lungo andare smorza qualche emozione per via di quei rapporti che in palcoscenico restano fondamentali per gli attori (qui costretti a recitare quasi sempre davanti a una telecamera) e per il pubblico. Ce ne accorgiamo quando a metà spettacolo lo schermo libera il boccascena e si torna, per qualche minuto, al teatro tradizionale: immediatamente il valore della parola diventa autentico restituendo in platea un dramma che fino a quel momento sembrava teletrasmesso. Infatti, quando si riprende, poco dopo, a girare l’«effetto notte» si avverte un senso di scontento, di improvvisa fatica: giustamente siamo in teatro e vorremmo poter spegnere il video per gustarci la recitazione dal vivo. Diventa una necessità sentirsi più vicini al dramma, tant’è che anche gli attori, di tanto in tanto, avvertono il bisogno di affacciarsi in ribalta e rivolgere qualche parola direttamente al pubblico, quasi per prendere una boccata d’aria, perché i personaggi a teatro vivono del respiro del pubblico.

Questi appunti su Festen, che ha debuttato ieri sera alla Sala Umberto (repliche fino al 5 marzo), apparentemente sembrano descrivere un sentimento poco entusiastico, ma non è così. Nel complesso lo spettacolo è un fiore all’occhiello di questa stagione, soprattutto grazie a una compagnia di eccellente valore, capeggiata da Danilo Nigrelli ed Elio D’Alessandro (il padre carnefice e il figlio vittima) bravissimi entrambi; ma sono anche da ricordare Raffaele Musella e Carolina Leporatti (il fratello più piccolo con sua moglie) coppia isterica che nelle scene iniziali ha il pregio di far rivivere con autentica e spassosa verità il vecchio cinema in bianco e nero, anche se noi lo vediamo a colori (a proposito, perché non aver dato un tocco di storiografia cinematografica?). Un cenno a parte merita il nonno di Angelo Tronca (impegnato anche nelle vesti del cuoco), ruolo comico naturalmente e riuscitissimo: l’evidente finta parrucca, i grandi occhiali con montatura nera anni Sessanta, il profilo pronunciato dell’attore e il sorriso fatuo e vago hanno riportato sul grande schermo alcune immagini esilaranti del grande Peter Sellers. Applausi, comunque, al magnifico cast e al film girato in palcoscenico.

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Festen. Il gioco della verità, di Thomas Vinterberg, Mogens Rukov & BO Hr. Hansen; adattamento per il teatro di David Eldridge, traduzione e adattamento di Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi; con Danilo Nigrelli, Irene Ivaldi, Carolina Leporatti, Yuri D’Agostino, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Angelo Tronca. Regia di Marco Lorenzi. Sala Umberto, fino al 5 marzo