Orsini e Branciaroli mettono alla prova l’amicizia con un sì o con un no

Com’era bello il teatro quaranta anni fa, si direbbe parafrasando l’incipit di un romanzo, ahinoi, sconosciuto ai più giovani. Quattro o cinque decenni orsono, infatti, i tre artisti che ieri sera hanno dato vita a Pour un oui ou pour un non erano ancora nel pieno della loro carriera e lavoravano insieme a Luchino Visconti, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Giorgio De Lullo, Rossella Falk, Carmelo Bene, Luca Ronconi. Oggi Pier Luigi Pizzi, regista e scenografo, Umberto Orsini e Franco Branciaroli, insieme, superano i duecentocinquant’anni d’età, ma la loro freschezza non ne dimostra nemmeno la metà.

Pizzi, classe 1930, non era presente alla première perché impegnato in un’altra regia; Orsini e Branciaroli, invece, erano lì a dividersi i meritati applausi dopo aver illuminato con la loro ineccepibile recitazione il teatro Argentina che li ospiterà fino al 5 marzo prossimo con la delicata commedia della scrittrice franco-russa Nathalie Sarraute.

Due vecchi amici, di quelli che davvero si vogliono bene, si ritrovano insieme a discutere del loro improvviso reciproco distacco. Si interrogano sulle ragioni della loro separazione e scoprono che le cause sono da rintracciare nei silenzi tra le parole dette, e soprattutto in alcune ambiguità nate da intonazioni male interpretate dalla momentanea indisposizione all’ascolto dell’uno o dell’altro. Questo è il tema centrale di «Pour un oui ou pour un non», titolo che si può semplicemente tradurre con «Per un sì o per un no», insomma per una quisquilia.

Il poeta (Umberto Orsini) invita a casa l’amico (Franco Branciaroli) a chiarire il dissidio. In lui, naturalmente, c’è disponibilità a volerlo riabbracciare; un desiderio che nell’altro sembra addirittura una necessità. Eppure il chiarimento naufraga subito in una discussione quasi insensata, che pare un capriccio irrisolto tra due innamorati. La responsabilità sarebbe da rintracciare nelle parole non dette, ma poi – in un ricordo – spuntano tre paroline ambigue, quando, tempo addietro, il narcisismo dell’artista reclamò l’attenzione dell’altro che gli avrebbe dovuto confermare un piccolo successo letterario. Il poeta rammenta con precisione che in quell’occasione l’amico gli rispose con un «Ah, bene, è così!», ma pronunciato con un tal tono sull’esclamazione, un insinuante accento sul «bene» e una sospensione maliziosa prima di «è così» che con tutta evidenza celava una «degnazione»: ossia, quel sentimento di chi, anche per pura compiacenza, acconsente a mostrarsi benevolo e cortese verso una persona a lui inferiore.

La loro maturità, comunque, li esorta a comprendere che quando certe discussioni cominciano si rischia di parlare a sproposito, si dice molto di più di quel che si pensa. L’offesa resta lì, sempre in agguato, anche dietro una virgola; così l’amico prende il cappotto per abbandonare ogni argomentazione, quando l’altro lo richiama con una sola parola, decisa e inequivocabile: «Scusa». Potrebbe essere il verdetto finale, ma non lo è, perché ciascuno cerca, sempre con le parole, di attirare l’altro nella propria gabbia, dove il primo soffoca e il secondo vacilla.

Malgrado i buoni propositi, i due fronti avversi persistono con tenacia. Nessuno cede. Ci si confronta animatamente anche su un verso di Verlaine, che toglie possibilità alla riconciliazione. «La vita è là, semplice e tranquilla», fuori la finestra, davanti alla quale i due amici ancora si incantano ad ammirarla. Allora si intuisce che il distacco amicale è dovuto soltanto alle diverse esigenze che la vecchiaia impone prima del silenzio. Il resto è davvero una sciocchezza.

Tutt’altro che sciocca, invece, è la recitazione dei due immensi interpreti che, malgrado l’età, si sono divertiti a snocciolare ogni sillaba senza l’aiuto del microfono, così come s’è fatto il teatro fino a quarant’anni fa. Diversissimi tra loro, proprio come un sì e come un no: Orsini resta sempre il più impeccabile matematico dell’arte recitativa, nulla è lasciato al caso o all’improvvisazione, finanche i respiri si possono contare in scena; Branciaroli è l’opposto: il virtuoso, l’elegante affabulatore che si prende gioco della sua stessa abilità passando, con estrema nonchalance, da un tono altissimo a un bassissimo senza mai prendere una stecca, anzi.

Con due attori di tal calibro, metà regia è già impostata e Pizzi si è concentrato sull’eleganza della scena, tra il bianco e il grigio su cui spicca un rosso divano. Bianchi sono i libri e le librerie: siamo d’altronde, nel covo di un poeta, dove si può scrivere anche sulle pareti. Tante analogie scenografiche che riportano, alla noiosa memoria dei nostalgici, un altro divano di quarant’anni fa sommerso in mezzo ai libri, un altro poeta che il naufragio delle parole colse impreparato: un gigante del palcoscenico, tra le più affettuose amicizie di Pizzi, quel Romolo Valli che ci lasciò sulle parole di «Prima del silenzio».

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Pour un oui ou pour un non di Nathalie Sarraute, con Umberto Orsini e Franco Branciaroli. Regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi. Al teatro Argentina, fino al 5 marzo.

Teatro Roma
Francesca Romana Moretti

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