Addio a Maurizio Scaparro, signore del teatro

Oggi, venerdì 17, arriva la notizia che Maurizio Scaparro è passato a miglior vita.

Nel 1979 Scaparro dirigeva Bruno Cirino in un film su Rocco Scotellaro. Bruno, che fu compagno di classe di mio padre, all’istituto della Salle a Napoli, lo portò nella nostra casa romana, a una delle tante cene che si facevano un tempo. Io ero appena un ragazzo e rimasi affascinato dalla signorilità di quel galantuomo, dall’educazione impeccabile, dal tono di voce soffuso e pacato, opposto alla simpatica goliardia che immediatamente si ristabiliva tra Bruno e mio padre quando si ritrovavano insieme. Già frequentavo le platee dell’Eliseo, dell’Argentina, del Valle, e mi capitava spesso di incontrare Scaparro a teatro, e sempre – sottolineo sempre – sia che stesse lì come spettatore che come regista, sempre, mi riconosceva e mi stringeva la mano per salutarmi.

Scaparro è stato uno degli organizzatori teatrali più attivi degli anni Ottanta e Novanta: abile e affabile, svelto e con la soluzione a portata di mano. Riusciva a mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa e, magari, farli recitare a braccetto per un’intera stagione. Aveva un carattere apparentemente mite, ma perseguiva lo scopo con la decisione di uno stratega.

Valeria Moriconi, ricordando la sua esperienza ne «Il teatro comico» di Goldoni (1993), rideva a crepapelle del fatto che pur di arrivare a chiudere i conti per l’allestimento dello spettacolo con un budget improvvisamente dimezzato (anzi di più!), Scaparro ebbe la trovata di riproporre la stessa idea scenica di una sua precedente regia. «Voleva portare in scena il testo di Goldoni e ci riuscì, malgrado qualcuno si opponesse a quel riciclo». In effetti si trattava di una semplice pedana poggiata sul palcoscenico, un’operazione già vista nel «Pulcinella» (e anche altrove): sarebbero cambiati soltanto gli arredi. Ma Scaparro – è il racconto della Moriconi – con una serenità quasi ipnotica convinse tutti che il pubblico non avrebbe mai notato quella magia. Disse proprio magia!

«Maurizio, ma come, una magia! Questa è evidente mancanza di denari

«Figurati se con un’attrice come te, qualcuno si va a ricordare della pedanina.»

Aveva ragione Scaparro. E il tempo gli ha dato doppiamente ragione.

Ma oggi è venerdì 17… e faccio un passo indietro nel tempo.

La nostra conoscenza non è mai sfociata in amicizia. I nostri incontri si sono sempre mantenuti su cordiali saluti e affettuosi e sintetici scambi di opinione, fino al giorno in cui mi trovai al suo cospetto con una lettera in mano nella sua stanza al teatro Argentina, che all’epoca dirigeva. La sera precedente accadde che al tavolo del Cantuccio (famoso ristorante romano che ormai non c’è più), seduto con Giuseppe Patroni Griffi, Mario Ferrero e Aldo Terlizzi, arrivò la notizia che un certo attore aveva appena firmato il contratto con lo Stabile per l’intera stagione. Patroni Griffi andò su tutte le furie perché si trattava proprio di un caro amico che gli avrebbe risolto il ruolo rimasto scoperto per una sua eventuale regia di uno spettacolo che poi andò in fumo. Lo sfogo serale ebbe un risvolto il giorno dopo. Mi consegnò una lettera da portare a mano al direttore artistico dell’Argentina. Ero dunque lì, di fronte a lui, e avendo ascoltato le ragioni che avevano spinto Patroni Griffi a scrivergli, immaginavo che Scaparro non avrebbe digerito la mia presenza. Fui preso da un evidente impaccio.

«Non essere imbarazzato, sono un ottimo incassatore» disse sorridendo con dolcezza.

La sua frase mi fece arrossire e le sue parole corsero al nostro primo incontro, a casa mia, ai miei 14 anni. A Bruno Cirino.

Si ricordò dell’amicizia di mio padre con Bruno. «Deve essere stato un duro colpo per tuo papà. A me è dispiaciuto moltissimo.» Cominciò a parlare di Bruno Cirino e di quel che avrebbe potuto fare in scena e al cinema; e dei loro progetti che erano stati interrotti dalla improvvisa scomparsa dell’attore. E poi: «Sono rimasto molto colpito dalla sua morte perché non potevo sopportare che una persona colta e brava e appassionata al suo mestiere di attore, che è un mestiere anche intellettuale, fosse così tenacemente ancorato alla superstizione, a una credenza popolare. Che se lo è portato via proprio un venerdì 17 di qualche anno fa».

Non si poteva rassegnare Maurizio Scaparro a questa inconcepibile coincidenza. Lui non era superstizioso. Non era napoletano.

Ma oggi è venerdì 17.