In mostra fino al 12 Febbraio negli spazi accoglienti della KOU Gallery, va in scena una personale dell’artista Nicola Rotiroti dal titolo Tratto da una storia vera.
Un nome che sembra riecheggiare la produzione di un film o talvolta di un libro e ci fa capire come l’artista intenda proprio raccontarci le pagine (o i fotogrammi) della sua vita.
Sette grandi opere occupano le pareti della galleria in Via della Barchetta 13, “incastrando” lo spettatore nella trama ramificata della realtà che porta inevitabilmente in uno stato di disorientamento con conseguente blocco e perdita di certezze.
Quella che crea Rotiroti è una camicia di forza di ramoscelli secchi, ed è di radicale importanza la loro secchezza in quanto certamente più duri, ma al contempo più facili da spezzare.
È questo ciò che propone l’artista, un tentativo di superare il proprio blocco per immaginare un futuro diverso. “Tornare all’umano” – così lo definisce la curatrice della mostra Ludovica Palmieri – attraverso il superamento del vuoto (e aggiungerei anche del pieno) sottolineato dalle parti di bianco che compongono la tela.
Il bianco che nelle opere successive diventa assoluto protagonista.
A sostegno della tesi della Palmieri- secondo cui l’opera Migrante, oltre che rappresentare il vuoto, lascia una speranza all’orizzonte – mi avvalgo dell’esempio di Gericault che nella sua Zattera della Medusa dipinge una costruzione piramidale simile, proprio per indicare la speranza di salvezza per il naufrago (molto spesso al giorno d’oggi diremmo “migrante”) che sventola il drappo rosso alla vista di una nave all’orizzonte.
La tecnica del bianco in sezioni del quadro, il cui capostipite è il modello di riferimento per la pittura novecentesca, Paul Cezanne, ha un forza espressiva dirompente, indicativa sia esteticamente di una discontinuità che attrae, sia concettualmente di senso di vuoto da colmare.
Il ventaglio cromatico carica di freddezza l’ambiente silvano, caratterizzandolo piuttosto che come luogo ameno, come antro boschivo inaccessibile e pericoloso.
Questa lettura ci rimanda idealmente all’atmosfera di avventura dei romanzi cavallereschi che Paolo Uccello dipinse nel ‘400, a cui, per l’appunto, è intitolata un’opera.
Se dunque si interpretano le sette opere come metafora della realtà incatenata dalla tecnologia (che si manifesta in maniera interessante nell’intreccio di rami, quindi del suo alter ego opposto, la Natura), si giunge alla conclusione che il rischio del progresso sfrenato porti al blocco dello stato contemplativo. La cosa interessante, a mio parere, è che quando solitamente un artista inserisce una critica alla società tecnologizzata per mezzo dello strumento “Natura”, la venera e mitizza nei suoi aspetti più positivi.
Rotiroti invece utilizza sì la Natura, come indagine critica degli eccessi della modernità, ma la dipinge come oscura e temibile.
Una lettura mitizzante-antica della Natura che ci fa riflettere sulla sua pericolosità se non la si tratta con rispetto e attenzione.
“Tratto da una storia vera” di Nicola Rotiroti – a cura di Ludovica Palmieri e Massimo Scaringella – Fino al 12 febbraio alla Kou Gallery