Purtroppo le battaglie teatrali, da quando se ne possono fare per le vie riconosciute dalle autorità (sindacali e ministeriali), restano deflagrazioni assai silenziose: oggi più che mai! Coinvolgendo direttamente soltanto una esigua fetta di lavoratori, né il grido di protesta né i disagi che eventualmente questi arrecherebbero con uno sciopero metterebbero a repentaglio la cittadinanza. Diciamo la verità, dopo l’esperienza catastrofica causata dalla pandemia, nessuno si accorgerebbe dei teatri improvvisamente chiusi.
Forse è proprio questa la ferita più crudele. Agli attori, ai tecnici, e a tutte le maestranze teatrali qualcuno ha tolto loro la voce: voce di protesta, voce di ribellione, voce di confronto lavorativo. Un paradosso per chi, dal palcoscenico, ha nella voce la propria arte, la propria ragion di vita.
Per molti anni, a ondate regolari, ci si è battuti per conquistare un albo professionale che potesse proteggere la categoria, ma non è mai stato codificato: sempre troppi i pareri contrari e tantissimi gli agnostici. Ma, viste le drammatiche condizioni che schiacciano le attività artistiche teatrali, non si può nemmeno rimpiangere la mancanza di un albo. Molto probabilmente nulla sarebbe cambiato. Le battaglie che i teatranti potrebbero intraprendere (e alle quali giustamente non si dedicano più) non avrebbero alcuna eco: da tempo ormai i media (che un tempo si chiamavano giornali) non si occupano più di faccende teatrali, pertanto ogni reclamo riscuoterebbe il successo di uno sbadiglio.
Il teatro ha bisogno di aiuto: non voglia sembrare una sterile ripetizione. Non si tratta più, adesso, della solita banale necessità economica: sovvenzioni, contributi e quant’altro. No. Per come stanno procedendo i flussi di denaro in questi ultimi mesi sarebbe sciocco elemosinare due euro e cinquanta centesimi da un ministero che da qualche anno si dimentica sistematicamente dell’esistenza del teatro. Nell’ultima Legge di Bilancio, approvata in Parlamento meno di un mese fa, il teatro non viene neanche menzionato. Occorre fare un passo indietro: il teatro oggi avrebbe bisogno innanzi tutto di un’opinione pubblica, giacché s’è visto che, in fin dei conti, la gente a teatro continua ad andare. Ultimamente le platee (le poche sopravvissute allo sterminio perpetuato dall’ex ministro), lentamente e con fatica, stanno riconquistando spettatori: non chiassose moltitudini da stadio, non oceaniche folle da social, ma un manipolo di affezionati che ancora crede in una dottrina un tempo popolare oggi elitaria.
Per costoro bisogna stringere i denti e lottare. Per conquistare dieci spettatori ogni sera così che siano loro la voce nuova del teatro, la pubblica opinione della ribalta, visto che le storiche testate giornalistiche ormai tacciono. Sere fa un collega della carta stampata mi ha confessato che gli è stato concesso di scrivere un articolo a settimana per il teatro. Non è più il tempo di tentare di risolvere il problema, ma occorre prima far luce sul problema, affinché questo torni ad essere visibile. Fin quando non avremo una massa con un suo peso, penso che ben poco si potrà fare per risolvere la situazione patetica in cui s’è venuto a trovare il teatro in Italia.
Se il mondo teatrale ha fallito per anni con le sue rimostranze, se è stato messo in condizioni di non poter nemmeno protestare, occorre trovare un alleato: il pubblico, l’unico alleato possibile.